In ogni storia di calciatore c’è della sofferenza, piccola o grande che sia
Nicolas Burdisso
Altos de Chipiòn, cuore dell’Argentina, nella provincia che porta il cognome di quell’Ivan Ramiro dell’Inter ma che ha visto nascere, crescere e diventare uomo un altro difensore da antologia: Nicolas Burdisso, El Leòn.
A Cordòba c’è un po’ di tutto: las Sierras Chicas, catena montuosa che rende la vista della città mozzafiato, le chiese cappuccine, il centro spaziale più affidabile del paese, il Banfield, Javier Pastore e persino i difensori eleganti.
Nicolas sarà uno di questi, ma per scoprirlo dovrà passare del tempo. Madre insegnante in una scuola elementare, il padre lo mise fin da subito sulla strada – se non buona quantomeno giusta – del calcio, dico giusta perché Enio Burdisso era un calciatore, giocava nella Serie A argentina e lo faceva con la maglia dell’Instituto de Cordoba. Altri tempi quelli, un calciatore professionista non poteva di certo garantire alla famiglia uno stipendio faraonico, detto questo Nicolas e il fratello Guillermo intrapresero la stessa strada.
Destino volle che la carriera di Nicolas cominciasse da Buenos Aires, a 700 chilometri da casa ma infinitamente vicina al credo calcistico del difensore: alla Bombonéra, se ne esci vivo, impari cosa sia la vita.
Lo impari talmente bene che a soli 5 anni di carriera professionistica hai già in tasca due campionati argentini, tre Coppe Libertadores e due Coppe Intercontinentali in maglia gialloblù.
Probabilmente durante gli anni passati nella capitale argentina il giovane Burdisso avrà visto di sfuggita qualche maglia rossoblù, incontrato e chiacchierato con italiani provenienti da Genova, città di mare patria degli Xeneizes per eccellenza. Fatto sta che all’età di 23 anni arrivano da Milano i nerazzurri, convinti di poter aprire un ciclo con Roberto Mancini e decisi a farlo rinforzando la difesa con uomini coraggiosi, duttili e capaci di unire uno spogliatoio notoriamente diviso in decine di nazionalità come quello dell’Inter.
In Italia Burdisso ritrova proprio Ivan Ramiro Còrdoba, la colonna portante chiamata Javier Zanetti ed una colonia albiceleste pronta ad inaugurare una lunghissima striscia di successi tutta nerazzurra: el Cuchu Cambiasso, el Jardinero Julio Ricardo Cruz, Kily Gonzales e La Bruja Juàn Sebastian Veròn, tutti uniti per un solo obiettivo.
La vita di Nicolas subisce all’improvviso uno scossone dolorosissimo, di cui non ci assumeremo la briga di parlare per delicatezza, che tuttavia cambiò per sempre la carriera di un giocatore già maturo ma ancora sul ciglio del dirupo per diventare un uomo. Soprattutto un padre, costretto a dover curare la figlia Angela ed aiutato dal presidente nerazzurro Massimo Moratti.
“Non dimenticherò mai quello che ha fatto per mia figlia” dirà il difensore, disvelando finalmente come anche nel calcio e negli spogliatoi si possano trovare fraternità e compassione. Viene la sera e Nicolas Burdisso decide di rifugiarsi nella scrittura, chiedendo all’Inter di poter lasciare per qualche mese il campo di allenamento per potersi concentrare unicamente sulla famiglia.
C’è una frase di Murakami che dice: ‘Per capire le cose che mi succedono devo scriverle’.
E così ho buttato giù la storia della mia vita, ho fatto leggere qualcosa solo a mia moglie e scrivere mi ha aiutato a riflettere.
Dopo aver superato il trauma e riacquistato serenità, torna a Milano dove vince e convince.
Il rapporto con Roberto Mancini è ottimo, nonostante i due abbiano passato momenti decisamente contrastanti e abbiano spesso litigato – Burdisso dixit – ma le leggi del calciomercato superano molto spesso le promesse e le parole date. Così arriva la Roma, punta su di lui e lo porta all’Olimpico, dove gioca e stupisce per grinta, tempismo e maturità.
Claudio Ranieri vede in lui qualcosa di speciale, Nicolas apprezza la fiducia e non digerisce probabilmente mai del tutto le sue dimissioni il 20 Febbraio 2011 al termine di una rocambolesca sconfitta in casa del Genoa. Da 0-3 a 4-3 in 45′, una difesa totalmente sfaldata e troppo poco carattere giallorosso: lui segna pure, ma non riesce a “salvare” il posto ad un uomo che aveva creduto in lui sin dal primo minuto.
A proposito di Genoa, se sei argentino e sei passato almeno una volta nei 2113 calles di Buenos Aires, devi aver sentito almeno una volta parlare del rosso e del blu cuciti per forgiare una casacca, proprio quella del Grifone.
Da buon scrittore, Nicolas Burdisso ha vissuto la sua vita e carriera calcistica come un romanzo di formazione, tanto in campo quanto nel privato: in difesa o con la penna in mano, davanti ai microfoni o con gli amici, la saggezza del Leòn è rassicurante per chiunque abbia la fortuna di avvicinarlo.
Per concludere l’avventura in Italia una tappa a Genova era perciò necessaria, così nel 2014 si lega ai colori che aveva visto qualche volta sugli spalti della Bombonéra. Anche se, troppo impegnato a dover impedire le scorribande degli avversari nelle praterie dei campi argentini, non ci aveva fatto forse neanche caso.
Lasciare l’Argentina per molti anni non è facile, ne sono la prova vivente i tantissimi calciatori che hanno preferito un ritorno a casa piuttosto che sbocciare definitivamente in Europa, continente ricco ma troppo distante dallo stile di vita sudamericano, impossibile da comprendere se non vi nasci ed onestamente inimitabile.
Genova infatti non ha nulla a che vedere con Buenos Aires, se non per questioni storico-dialettali e per qualche palazzo o viale che ricorda vagamente e più in piccolo le costruzioni della capitale dell’Argentina, ma Nicolas Burdisso sceglie di affrontare la nuova sfida con lo spirito del leader, senza paura.
Dalla Bombonéra al Ferraris, invece, sebbene le dimensioni siano totalmente differenti, lo scenario cambia ben poco: stesso calore, stessa passione, stessa mentalità arrembante.
Per conto di Nicolas Burdisso a parlare sono i fatti, il modo di giocare e le statistiche passano in secondo piano quando ti trovi di fronte a un professionista con la “p” maiuscola. Un ragazzo, anzi un uomo capace di mettersi in gioco, senza mai trascurare la famiglia e perdersi nel vortice della popolarità, un argentino simbolo della saggezza e capitano del Genoa, patria di argentini per antonomasia.
La nuova stagione porta inevitabilmente con sé un fiume di impegni e responsabilità per un capitano diventato persino piuttosto social, consapevole di dover guidare la squadra rossoblù con tutti i mezzi possibili, adeguandosi ai tempi come deve fare un nobile e saggio condottiero.
Si, anche con l’asado.
Primo ASADO stagionale???????? Primer ASADO del año para la banda sudamericana???????? pic.twitter.com/JeA2aeQYaR
— Nicolas Burdisso (@NicoBurdisso_8) August 17, 2016
Non sarà l’ultimo anno, ma non è importante parlare di me quanto della squadra. A 35 anni sono felice di essere arrivato a questo punto
Noi siamo felici di aver raccontato, o perlomeno aver provato a farlo, la vita di un giocatore troppo spesso “dato per scontato”, una certezza in campo e un guerriero silenzioso nella vita.
Del resto gli scrittori amano la penna, lui però ha sempre avuto un secondo sogno nel cassetto: il pallone.
La storia di Nicolas Burdisso è una grandissima lezione di vita, soprattutto per i giovani calciatori che si accingono a diventare professionisti ma non riescono a trovare un esempio degno, sicuro, a cui appigliarsi per non cadere nel vortice della popolarità.
Si tratta solo di passaggi, soltanto passaggi e passaggi di tempo, ma in un calcio sempre più moderno la figura del Leòn di Altos de Chipiòn è la prova vivente di come possano ancora esistere giocatori, uomini ed umili ma carismatici condottieri racchiusi in una sola persona.
Anime salve in terra e in campo.