Welcome back NBA

L’estate è passata in fretta, lasciando dietro di sé i resti di un sole caldo e di un vento terribilmente amorevole. Così come con il suo arrivo si era portata via i sogni e la gloria dei Campioni uscenti NBA dei Warriors, fregiandosi dei nuovi colori rossobluoro dei Cavs, detentori del titolo con una gara 7 mostruosa, così alla fine ha dato spazio non solo a freddo e piogge, bensì anche all’inizio di una Regular Season che da subito ha estasiato i frementi attendisti di basket d’oltreoceano.

 Ci eravamo lasciati così…

E’ iniziato tutto con LeBron e i suoi, con quegli anelli consegnati a inizio partita a chi, l’anno passato, ha fatto gridare di gioia e piangere d’incredulità un popolo che non aveva mai provato quella sensazione di dominio e onnipotenza che Irving e la sua banda gli hanno regalato con la vittoria del titolo. I poveri sventurati che hanno dovuto soccombere davanti alla stazza di Cleveland sono stati i Knicks di Porzingis e Anthony, con la presenza del nuovo acquisto Rose che comunque ha ben figurato nel palazzetto dell’Ohio.

La città del lago ha decisamente fatto vedere il meglio di sé, con il #23 che ha ricominciato come aveva finito, con la sua prestanza sia in fase d’attacco che di difesa, con una tripla doppia che ha decisamente dato il via alla vittoria finale per 117-88. Nonostante i tre di New York siano andati tutti in doppia cifra, Irving e Love hanno fatto il brutto e il cattivo tempo, ricordando ai giovani della grande mela che le vacanze sono finite, che la nuova stagione è iniziata. All for one, One for all.

E per un roster che viene dalla vittoria del titolo, un altro si è presentato ai nastri di partenza con le dichiarazioni importanti del suo uomo simbolo: “Voglio vincere il premio da MVP“, cit. di Damian Lillard. Dopo l’addio di Aldridge, la sua permanenza a Portland sembrava semplicemente questione di mesi, in attesa di espatriare verso mete più ambite, verso spiagge più calde o compagni più forti. Ma lui è rimasto e ha deciso che questo dovrà essere il suo anno; il risultato è stata la vittoria della sua squadra per 113-104 contro i Jazz, con una partita da 39 punti, inizio che mancava ai Trailblazers da qualche tempo, non solo per il risultato quanto per la convinzione nel proporre gioco.

 Impossible is 0

E così, come un capitano guida la sua ciurma, così il numero 0 in maglia rossonera ha guidato McCollum e Crabbe (davvero niente male il ragazzo) verso una vittoria per nulla scontata contro Utah, franchigia che vuole trovare la sua rivincita dopo anni di buio, che non ha cominciato di certo con il piede giusto. Sicuramente Hood e Johnson hanno dato il meglio di loro, con 55 punti in due, con tanto cuore che per un attimo sembrava poter dare la vittoria ai Jazz. Solo un’illusione, perché Lillard, con le sue bombe da tre, ha decisamente dato il giusto colpo di timone alla barca, portandola a gonfie vele verso il primo risultato utile per diventare MVP.

E per uno che vuole diventare campione, ce n’è un altro che lo è stato per due anni consecutivi, quello Steph Curry che ha abituato tutti, tifosi propri e tifosi avversari, a tiri impossibili e giocate straordinarie. Ma non ieri. Non nella prima uscita casalinga stagionale. Per un Kawhi Leonard che regala spettacolo (e 35 punti), c’è un Kevin Durant che ancora non ha capito cosa significhi difendere; così come per un Klay al di sotto delle sue possibilità, si è visto un Aldridge che, con le sue penetrazioni e i suoi tiri dalla media distanza, sembra finalmente aver capito cosa vuole Popovich da lui.

 Ancora detta legge…

Un applauso bello grande per Jonathon Simmons, ragazzo che a 27 anni è riuscito a trovare finalmente spazio nelle rotazioni Spurs, che ha fatto nuovamente vivere a Curry l’incubo delle Finals dello scorso anno, bissando una stoppata sul tabellone che sempre nello stesso palazzetto, in ambito decisamente più importante, James aveva fatto su Iguodala. Certo, tanti punti per i ‘fab three‘ e per KD, ma gli Spurs, con il 124-100 finale, sembrano essere tornati quelli di un tempo, con una lacrima in più in un occhio per un Tim Duncan che non sarà più al loro fianco. Magari questa vittoria è anche per lui.

Qualcuno non ha ancora afferrato il concetto che le vacanze sono terminate, che si è tornati alla dura realtà. Una reale vita fatta di rimbalzi e difesa, di attacchi e triple, che stanotte sono piovute come pioggia dal cielo. Solo tre partite, ma come preludio a ciò che succederà stanotte, va decisamente bene. Perché l’NBA è come quando si va al ristorante: si parte con l’antipasto, che apre alla fame; si continua con la prima portata, che sazia ma non ancora al punto giusto; si va avanti con quei secondi piatti che spesso portano allo sfinimento; ma c’è sempre quel piccolo spazio che viene lasciato al dolce, a quel dessert che vi fa alzare dal tavolo con un sorriso sulle labbra e un piccolo senso di soddisfazione nella testa.

 

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