Victor victoria

Victor, victor, victor: aggettivo della seconda classe latino, traduzione “vincitore, vittorioso”. Il nome è dunque già tutto un programma.

Come ormai accade da diverse stagioni, a Siviglia non soffia la stessa fresca brezza per entrambe le sponde calcistiche del Guadalquivir. Se dalle parti del Sanchez Pizjuan si gode per i recenti successi europei e per il calcio spumeggiante firmato Jorge Sampaoli – che al momento sta rimpiazzando in maniera brillante il suo predecessore Unai Emery – sulla sponda betica tira un gelido vento che lascia basiti e preoccupa l’ambiente. La maledizione della panchina del Benito Villamarin ha colpito ancora, per la settima volta negli ultimi due anni e poco più, e a pagarne le conseguenze è stato Gustavo Poyet; chiamato per la sua esperienza intercontinentale, uruguayano ma con una lunga carriera alle spalle tra Spagna ed Inghilterra sia da giocatore che da allenatore, il povero Gus non è riuscito ad avere l’impatto sul gruppo sperato dal presidente Angelo Haro Garcia e dal DS Miguel Torrecilla.

Nonostante una campagna acquisti di livello – e relativamente dispendiosa – che ha portato giocatori del calibro di Mandi, Sanabria e Felipe Gutierrez, i verdiblancos non sono mai parsi al massimo delle loro possibilità e anche nelle vittorie portate a casa non hanno ancora convinto a pieno. Per questo l’esonero di Poyet e l’immediata ricerca di un allenatore che potesse entrare subito nel cuore del gruppo nelle due settimane offerte dalla pausa per le nazionali.

L’idea è chiara: va bene l’allenatore giovane, va bene che abbia esperienza all’estero, ma stavolta prendiamo uno spagnolo. L’identikit ha un nome ed un cognome, Victor Sanchez del Amo. 40 anni, ex centrocampista scuola Real Madrid (con cui ha vinto un campionato con Capello in panchina) e con un passato anche nel Racing Santander, nel Depor e con una parentesi estera con la maglia del Panathinaikos. Conclusa una signora carriera da calciatore, intraprende una nuova avventura come vice allenatore del suo ex compagno di squadra Michel sulle panchine di Getafe, Siviglia ed Olympiacos, fino al raggiungimento di una maturità calcistica tale da poter tagliare il cordone ombelicale e diventare a tutti gli effetti un primo allenatore.

Ad aprile del 2015 viene chiamato dal Deportivo, sua ex squadra, per sostituire Victor (il destino…) Fernandez e per condurre i galiziani alla salvezza; obiettivo raggiunto con una vittoria, cinque pareggi e due sconfitte, esattamente 8 punti in 8 partite. Confermato anche per la stagione 2015-16, il Deportivo inizia a prendere una chiara forma, ad immagine e somiglianza del suo mister, del suo condottiero. Ma non per tutti. Una polemica irrompe al Riazor, Luisinho esterna con forza il suo malcontento per le continue esclusioni e per il trattamento subito da lui e da altri compagni da parte di Victor; il mister ci mette la faccia, si presenta davanti alla stampa da solo dichiarando di non aver alcun tipo di problema personale con il terzino brasiliano ma che, al contrario, è proprio quest’ultimo assieme ad altri compagni a remare contro di lui ed il suo staff. La salvezza viene raggiunta, tutto sommato il Depor disputa una stagione positiva 8(specialmente nella prima parte), sia nei risultati che nel gioco espresso in giro per la Spagna, ma come spesso accade in situazioni destabilizzanti, a fine anno ad interrompere il rapporto con la società è proprio mister Victor.

Nonostante il taglio del cordone, Victor decide comunque di ricalcare pedissequamente le orme del suo mentore Michel, accettando l’offerta dell’Olympiacos. Ambiente già conosciuto e calcato, calcio affrontato sia nelle vesti di giocatore che di allenatore, sulla carta pare un’avventura all’altezza del 40enne madrileño. Invece una nuova beffa è dietro l’angolo. Probabilmente tradito da una preparazione fisica scelta per raggiungere il picco della forma a metà stagione, Victor affronta il delicatissimo preliminare di Champions con una squadra imballata fisicamente e forse non ancora totalmente a suo agio con gli schemi del giovane allenatore spagnolo: ne esce fuori una clamorosa sconfitta al terzo turno preliminare – neanche raggiunti i playoff – contro il modesto Hapoel Beer Sheva (anche l’Inter adesso ne sa qualcosa). E non solo, Victor viene incredibilmente esonerato dopo due sole partite ufficiali.

Così arriviamo dunque all’attualità, con Victor che dopo pochi mesi si rituffa in una delicata situazione, di nuovo in terra iberica; come in tutte le storie d’amore, dopo una forte delusione capita di cercare conforto con una nuova fiamma, il più classico dei “chiodo scaccia chiodo”, e così è valso per Victor. Per dimenticare un’avventura nata male e forse finita peggio, ci si lancia ad occhi chiusi nella speranza di essere premiati per il coraggio. Così ha scelto il Betis.

L’inizio è stato incoraggiante: dopo due sole settimane di lavoro, è già arrivata la vittoria contro la sorpresa del campionato Las Palmas, la prima in casa dopo quasi due mesi. Dettami semplici, 3-5-2, gioco veloce e concreto, spinta sulle fasce e finalmente giocatori al proprio posto. Un esempio? Ruben Castro viene spostato dall’esilio tattico di Poyet che lo schierava esterno destro, tornando finalmente a casa sua, al centro dell’area di rigore con un compagno al suo fianco (Joaquin, nell’inedito ruolo di seconda punta).

Un allenatore subentrante al Villamarin non vinceva all’esordio dal lontano 2008/09 (Nogués), ma ciò che più ha sorpreso di Victor è il modo in cui si è imposto in così poco tempo: idee chiarissime, la scelta di puntare su un pivote fisico davanti alla difesa come Donk e di dare totale fiducia a Ceballos, nella speranza che tutto il suo potenziale esploda definitivamente. Grande pressing da parte di tutti, anche dei vecchietti là davanti, che ha tolto il pallino del gioco che tanto piace a Sétien ed ai suoi uomini di giallo vestiti, e vittoria meritata con tanto di porta inviolata per il Betis.

Victor ha voglia di rivalsa, il Betis vuole tornare al livello dei concittadini, apparentemente il connubio sembrerebbe perfetto. Come si suol dire, chi ben comincia è a metà dell’opera. E con un nome così, si può stare tranquilli…

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