I capelli lunghi, lo sguardo cupo e scuro come l’iride dei suoi occhi, la testa sempre alta, i calzettoni tirati giù e la maglia numero 10 sulle spalle: Manuel Rui Costa da Lisbona è sempre stato questo, fin dai primi anni di carriera nelle giovanili del Benfica nel quale fu portato da un certo Eusebio, la Pantera Nera nonchè compianta leggenda portoghese, che lo scoprì a soli 9 anni.
Inizia così la sua carriera con la maglia delle Aguias portoghesi, portando sulle spalle la pesante etichetta di potenziale crack europeo e un numero dal peso specifico non certo indifferente: il 10. Le stigmate del campione le ha sempre avute visto che a soli 19 anni vince da trascinatore il mondiale under 20– segnando il rigore decisivo nella finale contro il Brasile di Roberto Carlos – a fianco di una generazione che lo accompagnerà anche nella nazionale maggiore (gente come Jorge Costa, Joao Pinto e Luis Figo) e solo qualche anno dopo – tra il 1992 ed il 1994 – vince Coppa di Portogallo e campionato portoghese con il suo Benfica.
A 22 anni è pronto per il grande salto, su di lui ci sono tutti i maggiori club europei – su tutti il Barcellona allenato da Cruyff – ma a sorpresa la spunta una società italiana che lo acquista per la modica cifra di 11 miliardi di lire grazie alla supervisione di un altro numero 10, Giancarlo Antognoni: la Fiorentina. Nasce un amore folle, di quelli che possono nascere soltanto nella Firenze calcistica, uno di quelli che ti spinge a lasciare la macchina in mezzo alle altre davanti al Bar Marisa – storico ritrovo dei tifosi viola davanti allo stadio – per vivere fino in fondo la passione della gente di fede viola.
Eredita la 10 da un certo Roberto Baggio e la onora con prestazioni illuminanti come i suoi traccianti per Gabriel Omar Batistuta, compagno di squadra e amico vero, dal quale erediterà anche la fascia di capitano dopo la sua cessione alla Roma nel 2000; a Firenze lascia realmente un pezzo di cuore, visto che con la Fiorentina vive 7 lunghe stagioni iniziando con Ranieri – noto per averlo reso il giocatore più sostituito della Serie A – passando poi per Malesani fino ad arrivare a Trapattoni e Terim, con i quali vive il suo periodo di acme illuminando il Franchi con assist e gol che lo faranno entrare sia nella storia della società viola – visto che è lui ad alzare al cielo da capitano l’ultimo trofeo vinto dalla Fiorentina, la Coppa Italia del lontano 2001 – che nel cuore dei tifosi, che non faticano a posizionarlo a fianco di mostri sacri come Batistuta e Antognoni.
Dopo la vittoria della Coppa Italia arriva una tumultuosa estate: è fine giugno, e la Fiorentina di Cecchi Gori naviga in acque molto agitate visti i debiti accumulati negli anni e non colmati nonostante le cessioni di Batistuta prima e Toldo poi. Rimane solo un gioiello da poter cedere per risanare le finanze, ma Rui Costa non vorrebbe lasciare Firenze per niente al mondo, tanto da provare in tutti modi a convincere la dirigenza a non farlo partire rifiutando anche piazze del calibro di Parma e Lazio (che a quei tempi erano tra i colossi del calcio italiano). Alla fine arriva il Milan che se lo porterà via, ma non prima di un addio straziante e commovente allo stadio Franchi con la gente che acclama il suo 10 per l’ultima volta, tra i cori dei tifosi contro Cecchi Gori e le lacrime del portoghese asciugate dalle tante sciarpe lanciate all’ormai ex capitano.
Per la cifra record di 85 miliardi è Berlusconi a regalare il nuovo numero 10 al Milan. Sì, Rui Costa si è preso la 10 anche tra i colossi rossoneri, quel numero che è stato di Rivera, Savicevic e Gullit e che non fu lasciato neanche ad un campione del calibro di Rivaldo. Segna poco con la maglia rossonera – solo 11 volte in 5 anni – ma anche San Siro viene irradiato dai numerosissimi assist del talento portoghese – ben 70 – che contribuiscono a portare nel palmarès della società una Coppa Italia, un campionato ed una Supercoppa italiana, oltre alla Champions vinta nel 2003 nella finale tutta italiana contro la Juventus. L’unico neo rimarrà sicuramente la tragica sconfitta di Istanbul nella rocambolesca finale di Champions del 2005 contro il Liverpool. Il portoghese ha avuto anche il merito di aver “svezzato” un potenziale campione – poi diventato tale – come Kakà, con il quale ha condiviso una staffetta durata un anno intero fino al 2006, anno in cui O Maestro decise di lasciare spazio al giovane talento brasiliano e quindi di lasciare anche il Milan rescindendo consensualmente il suo contratto.
Come tutti i grandi amori che “fanno giri immensi ma poi ritornano”, anche Rui Costa decide di chiudere la carriera con i colori che lo hanno lanciato nel grande calcio, quelli del Benfica. Gli ultimi due anni giocati ad un livello accettabile – sia in Primeira Liga che in Europa – fino all’11 maggio del 2008, nel suo match di addio contro il Vitoria Setubal all’Estadio Da Luz. Standing ovation, grandi emozioni, ma pochi giorni dopo subito al lavoro nelle vesti di direttore sportivo dello stesso Benfica, ruolo che tuttora ricopre nella speranza di poter scovare altri talenti portoghesi e di poter diventare ciò che Eusebio fu per lui: una leggenda che scopre un’altra leggenda.
Felicidades Rui!