Cinque poesie sul gioco del calcio

Non voglio essere banale, è una cosa che detesto. Ovunque si leggono le stesse cose, si vedono le stesse foto e si ascoltano le stesse storie e suoni. Due sentimenti nobili come il romanticismo e la nostalgia sono stati resi stucchevoli, fastidiosi al palato. È come mangiare ogni giorno il proprio piatto preferito: alla fine ci stancherà. Ecco perché non se ne può più di storie romantiche sul calcio, costruite tutte ad hoc sul canovaccio di sconfitta-sofferenza/allenamento-riscatto finale. Il calcio non è poesia: è sudore, gioco duro, tattica, a volte sangue, imprecazioni, denaro e poi sogni e delusioni. È un dizionario della vita, contiene tutto. Ecco, a volte però, da questo dizionario, qualcuno va a prendere le parole giuste, quelle che servono, e lì sì che riesce a creare la poesia. È esattamente questo quello che ha fatto Umberto Saba quando, nella sezione Parole del terzo volume del suo Canzoniere composta nel 1934, scrive le Cinque poesie per il gioco del calcio.Umberto Saba e il calcio | Numerosette Magazine

Saba e il calcio

Il poeta triestino è stato il primo, nella nostra letteratura, a mettere in poesia – questa volta il termine è più che appropriato – il caleidoscopico mondo del pallone e l’ha fatto seguendo pienamente quelle che sono le caratteristiche di tutta la sua produzione. Saba è un anti-avanguardista, la sua poesia è lontana dai tentativi estremi che zampillavano qua e là all’inizio del ‘900. Il suo Canzoniere è quasi un romanzo, un racconto lineare.

È la storia di una vita, povera (relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e risonanze interne. 

Questa definizione è di Saba stesso e calza a pennello con quello che è il calcio. Di per sé una partita del più popolare degli sport non è nulla di eccezionale: a renderla eccezionale è come viene percepita. Cos’è un dribbling se non uno strano movimento di un uomo con una palla? Cos’è un tiro se non il tentativo di scagliare una sfera tra tre pali? Nulla di eccezionale; l’enfasi viene data da come noi viviamo questi gesti attraverso le nostre risonanze interne. Fino allo spasimo.

La poesia di Saba è lontana dallo sperimentalismo dei futuristi, dalle chiusure dell’ermetismo e dalle folgorazioni di Ungaretti. È una poesia della realtà, in tutte le sue forme, sport compreso. Il calcio, nella metà degli anni ’30, è già uno sport di massa. Proprio nel ’34 l’Italia di Pozzo vince il suo primo Mondiale e Saba sembra travolto anche lui da quella nuova onda di vitalità, passione e umanità che è il pallone.

Umberto Saba avrà tifato per l'Italia ai Mondiali del '34? | Numerosette Magazine
L’Italia di Pozzo campione del Mondo nel ’34.

Squadra paesana

Le modalità con le quali Saba e il calcio si incontrano ce le dà lui stesso, parlando di sé in terza persona, in Storia e cronistoria del Canzoniere. La vicenda rende il tutto ancora più interessante, a tratti divertente. Il poeta triestino, infatti, non ha il calcio come passione, anzi, quasi lo disturba quell’universo irrazionale, soprattutto per i meccanismi del tifo. Il caso – o gli dei del pallone, a voi la scelta – vuole, però, che un amico gli regali il biglietto per Triestina – Ambrosiana del 1933. In campo c’è Giuseppe Meazza, che sbaglia un rigore, e la partita tra l’Inter – che non si poteva chiamare così per l’Internazionale Comunista – e i rosso-alabardati finisce zero a zero. È questo incontro a smuovere l’interesse di Saba; a fargli provare in prima persona la sopraffazione vitale ed energica che deriva dal tifare per una squadra. Capisce che non è un gioco, ma un impulso poetico.

Il pareggio privo di reti di quella partita dell’ottobre del ’33 è quello che si cela dietro al «Nessun’offesa varcava la porta» della poesia Tre momenti, ma il componimento nel quale Saba riflette tutto se stesso è il primo dei cinque: Squadra Paesana. C’è la sua visione della vita, c’è la sua concezione della poesia, fatta di disposizioni precise delle parole e risonanze classiche. C’è il calcio, che prima non toccava che marginalmente la sua vita di intellettuale non soddisfatto e che ora, con prepotenza, lo accomunava a tanti che una poesia non l’avevano probabilmente mai letta, figuriamoci se l’avevano scritta.

Anch’io tra i molti vi saluto, rosso-
alabardati,
sputati
dalla terra natia, da tutto un popolo
amati.
Trepido seguo il vostro gioco.
Ignari
esprimete con quello antiche cose
meravigliose
sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari
soli d’inverno.

Le angosce
che imbiancano i capelli all’improvviso,
sono da voi così lontane! La gloria
vi dà un sorriso
fugace: il meglio onde disponga. Abbracci
corrono tra di voi, gesti giulivi.

Giovani siete, per la madre vivi;
vi porta il vento a sua difesa. V’ama
anche per questo il poeta, dagli altri
diversamente – ugualmente commosso.

Qui i destinatari del componimento di Saba sono direttamente i giocatori, ma non dei calciatori qualsiasi, quelli della squadra del paese, della terra natia. Non è il caso di rimarcare, ancora una volta, il legame antropologico che il calcio crea tra una comunità e la sua squadra. Qui si parla di poesia e quest’arte spesso ha il merito di essere più veloce delle altre discipline, più istintuale, e di riuscire così a capire prima delle cose, perché sono dentro l’animo umano e deve solamente tirarle fuori. Saba segue con passione la squadra della propria terra e si mette tra i molti, l’elemento collettivo è colto subito. I giocatori, poi, sono descritti con tre aggettivi isolati rispetto al resto – sputati, amati, ignari – e vengono quasi idealizzati. La poesia di Saba è classicista e, proprio come tale, descrive i calciatori come degli eroi, gloriosi, difesi dal vento ed eternamente giovani.

Gli ultimi due versi e mezzo, invece, ci spiegano cosa vuol dire essere un poeta, nonostante oggi si accosti questo termine a ogni individuo fuori dagli schemi. Anche Saba, proprio per il suo essere poeta poeta, ama i giocatori e si commuove diversamente ugualmente rispetto agli altri. È un uomo come tutti, quindi segue una partita di calcio alla stessa maniera, ma solo lui – in quanto poeta – riesce a cogliere cosa c’è realmente dietro a quelle undici persone, alle loro energie. Solo lui riesce a vedere – questa volta possiamo dirlo – la poesia del calcio.Umberto Saba, poeta del calcio | Numerosette Magazine

Goal

La più famosa delle Cinque poesie sul gioco del calcio è Goal, l’ultimo di questi cinque componimenti.

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non vedere l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce,
con parole e con la mano, a sollevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla – unita ebbrezza – par trabocchi
nel campo: intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questi belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere
– l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.

La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte.

Se la sua è una poesia di realtà e sentimenti vivi, non poteva non raccontare il momento più immaginifico di questo sport: il gol. I toni sono quelli della poesia classica, non sembra una lirica di quasi metà ‘900. La parte più interessante, però, è quella che ci dà uno sguardo diverso della scena successiva al gol. Nelle ultime due terzine ci si cala nella prospettiva del portiere della squadra che ha segnato. Quante volte li abbiamo visti esultare girandosi verso i tifosi, oppure buttandosi a terra con le braccia verso il cielo? Dino Zoff disse che il portiere è un uomo solo. Ecco, Saba l’aveva messo in lettere già 50 anni prima. Mentre gli altri, tutti insieme, si gettano al collo di chi ha segnato, diventando quasi una cosa sola, il portiere è una cosa sola e anche la festa è mitigata dalla sua solitudine, come a voler vivere lontano dalla mondanità. Sembra che guardi una festa in piazza dal balcone di casa: ogni tanto batte le mani insieme agli altri, ma poi si fa dentro nel buio solitario della stanza.

Cosa avrebbe detto Saba di Gigi Buffon e le sue esultanze solitarie? | Numerosette Magazine
Neanche al più grande portiere di sempre è concesso di esultare in compagnia.

La poesia nel calcio

Le Cinque poesie sul gioco del calcio di Umberto Saba non verranno ricordate certamente come dei capolavori della nostra letteratura. Il nostro ‘900 si è espresso liricamente toccando vette ben più elevate. La poesia di Saba, però, nella sua aderenza alla realtà, nel suo continuo confrontarsi con le cose di tutti i giorni, ha passato al vaglio della sua penna anche il calcio. Ne è venuto fuori un concentrato di spinta vitale, di eterna gioventù, di forza presa dalla natura e condivisa con la comunità, sia della squadra che dei tifosi.

Il grande merito di Saba è di aver tirato fuori, per primo e senza usare a sproposito questo termine, la poesia dal gioco del calcio.

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