Anno del signore 1998: mentre Zinedine Zidane illumina i cieli di Francia, dalla vicina Germania si alza, direzione Vancouver, un aereo con a bordo un ragazzino di appena vent’anni, un piccolo grande uomo di 2 metri e 13 centimetri. Ad attenderlo c’è il Draft NBA e quel ventenne tedesco è il miglior prospetto europeo di quell’annata. Verrà selezionato con la numero 9 dai Bucks ma a Milwaukee ci metterà piede solo da avversario perchè verrà immediatamente scambiato con Dallas.
Dallas è da sempre una delle capitali del football americano con la squadra locale, i cowboys, che, pur non essendo la squadra più titolata, è una delle franchigie a stelle e strisce più famose in tutto il mondo.
Da quando però quel gigante teutonico è arrivato in città, il centro dello sport cittadino si è decisamente spostato sul basket, sia perché i Cowboys non vincono un titolo dal ’95, sia perché quel ragazzo arrivato da Würzburg, che di nome fa Dirk e di cognome Nowitzki, ha cambiato per sempre la storia dei Mavericks.
Per dare un’idea dell’importanza di Wunderdirk basti pensare che, nei primi 18 anni di vita della franchigia, quelli che si potrebbero definire “avanti Dirk“, la squadra si è qualificata ai PlayOff appena 6 volte mentre, nei successivi 18 anni, quelli “dopo Dirk“, i PlayOff sono stati centrati 15 volte su 18 occasioni.
C’è addirittura qualcuno che vorrebbe metterlo nell’Olimpo della città texana, dove farebbe compagnia a un grande nativo di Dallas e tifosissimo dei Mavs, Chuck Norris. Beh, ecco, in realtà, nel caso dell’attore, è stato lui a decidere di entrare in questo prestigioso club, non qualcuno che l’ha proposto.
Forse il buon Dirk dovrebbe chiedergli il permesso, a meno che non voglia prendersi un calcio rotante, non so se mi spiego…
Non pensate che sia stato tutto rose e fiori però, perché di momenti difficili ce ne sono stati parecchi anche per Dirk. Del resto una bellissima storia d’amore passa anche da questo. L’ambientamento, al di là dello sport, di un tedesco in Texas non deve essere proprio cosa facile; infatti la prima stagione in NBA è un mezzo disastro, in molti sembrano storcere il naso alla vista di quel gigante biondo un po’ impacciato.
Mai però sottovalutare la forza d’animo di un tedesco. Nel giro di una stagione o poco più, con l’aiuto del suo storico mentore Holger Geschwindner, riuscirà ad arrivare a una media di oltre 20 punti a partita, statistica che terrà per 12 stagioni consecutive.
Adesso, 18 anni, 29mila e passa punti, un titolo di MVP e uno di campione NBA dopo quel giorno del ’98, Dirk Nowitzki, a 38 anni, si appresta ad iniziare una nuova stagione alla guida dei suoi Mavericks, con una squadra rinnovata e vogliosa di tornare in alto, anche se la strada, perlomeno oggi, appare in salita.
Il roster sembra infatti aver perso qualcosa rispetto alla scorsa stagione e l’accesso alla post season sarà tutto da guadagnare. Innanzitutto non è stato trovato un sostituto degno a Raymond Felton, volato a Los Angeles, sponda Clippers, nel corso dell’ultima Free Agency. Il Play era il ricambio di Williams e Barea e aveva fatto intravedere buone cose, soprattutto nei PlayOff dove, nonostante Dallas sia stata subito eliminata, ha tenuto una media di 15 punti, secondo al solo Nowitzki.
Nel ruolo l’unico nuovo arrivato è Jonathan Gibson, 29enne volato dalla Cina e senza alcuna esperienza NBA. Toccherà a Williams, fresco di rinnovo per un altro anno, e Barea fare gli straordinari, almeno all’inizio, per permettere a Gibson di adattarsi in un contesto completamente diverso.
Altro cambio tutto da valutare sarà quello avvenuto nel ruolo di ala piccola dove, al posto di Parsons, andato ai Memphis Grizzlies, è arrivato direttamente dalla baia Harrison Barnes, fresco vincitore dell’oro olimpico (anche se quasi mai in campo) e del titolo di due anni fa.
Parsons nella scorsa stagione ha tenuto una media di punti e assist superiore a quella di Barnes che, tuttavia, con i Warriors aveva a disposizione pochissimi possessi visto che il gioco era monopolizzato da Curry, Thompson e Green. Inoltre, in fase difensiva, Parsons era probabilmente più prestante rispetto a Barnes che tuttavia, visti anche i suoi 24 anni, ha ancora grandi margini di miglioramento.
Quello di Barnes non è stato l’unico movimento sull’asse Dallas-Oakland; infatti Zaza Pachulia e Andrew Bogut si sono scambiati la casacca, compiendo il viaggio tra Texas e California al contrario.
Bogut, classe ’84, va a rinforzare il pacchetto lunghi della franchigia texana e offre oltretutto una buona intesa con Harrison Barnes, visti gli ultimi 4 anni passati insieme con Golden State.
L’australiano, prima scelta assoluta al draft 2005, è stato scambiato per una seconda scelta futura e potrebbe rappresentare un vero e proprio colpo per i Mavs che hanno ottenuto un buon giocatore, perfetto per sostituire Pachulia, senza perdere troppo, né in termine di giocatori, né in termini di scelte.
Ancora da decifrare gli arrivi da Sacramento di Quincy Acy e Seth Curry, buoni “role player”, ma sicuramente non giocatori di primo piano. Non ce ne voglia il fratello scarso di Steph, ma per ambire ai piani alti ci vuole di meglio.
Interessante sarà anche osservare l’apporto dell’argentino Brussino, ala piccola classe ’93, con già parecchie esperienze tra campionato argentino e nazionale. Chiude il capitolo nuovi la 46ª scelta del Draft, A.J. Hammons, centro dal fisico imponente ma che non sembra, almeno per ora, destinato a una carriera NBA di primo livello, anche perché è entrato in “The League” a 24 anni, un po’ tardi rispetto agli standard.
Coach Rick Carlisle si trova quindi a disposizione un quintetto rinnovato si, ma non necessariamente migliore di quello dello scorso anno. Anche perché, grande critica rivolta alla società, l’età media della squadra inizia ad essere abbastanza alta. Per esempio, se prendiamo un ipotetico quintetto titolare composto da Williams, Matthews, Barnes, Nowitzki e Bogut, notiamo come solo Barnes abbia meno di 30 anni, mentre tre importanti pedine che potrebbero uscire dalla panchina, Barea, Harris e Mejri, hanno ormai raggiunto la soglia dei 30.
I giovani, dal canto loro, non sembrano, Barnes a parte, offrire buone garanzie e sembrano più utili per ottenere magari qualche scelta futura, piuttosto che dare un reale apporto sul campo. In questo senso, non è impossibile che i Mavs, quando Nowitzki appenderà le scarpe al chiodo, decidano di “tankare” per un paio di stagione al fine di ottenere qualche scelta alta, visto che pezzi pregiati per trade importanti non ce ne sono.
Nel frattempo, spetterà ancora a Wunderdirk tenere in piedi la baracca, e chissà che a colpi di fadeaway non riesca ancora a riportare i suoi Mavericks, come ha quasi sempre fatto nei suoi anni in NBA. Pardon, negli anni “dopo Dirk“.