15 luglio 2008, questa è la data del passaggio di Ronaldinho dal Barcellona al Milan. Questa la data in cui sbarca nel campionato italiano il giocatore che, in epoca moderna, più ha incarnato il calcio per quello che è.
Lo volevo ma non lo sapevo
Prima di parlare del suo periodo al Milan, quindi, vorrei tentare di spiegare cosa rappresenta per me Ronaldinho.
Alla base c’era, e c’è tuttora, solo un amore sproporzionato per questo grande bambino dal genio assoluto che mi ha mostrato il calcio che volevo, ma che ancora non sapevo di volere finché non l’ho visto: era, infatti, come se io avessi vissuto il calcio non in maniera totale, non al pieno del mio desiderio. Una sorta di mancanza perenne che nessuno era stato in grado di colmare. La prima volta che vidi Ronaldinho, però, dentro di me si accese una scintilla e capii che finalmente tutta la mia insoddisfazione si sarebbe presto appagata. Il brasiliano mi ha mostrato un calcio fatto di pura fantasia, di estro e tecnica. Il tutto condito con la felicità che mi ha fatto letteralmente innamorare. Il vero punto forte del brasiliano è stato proprio questo. Giocare sempre in quello stato di spensieratezza unica che lo elevava al di sopra di tutti e che gli permetteva di pensare il calcio in una maniera differente.
Ronaldo de Assis Moreira, noto come Ronaldinho (al mondo) o Ronaldinho Gaúcho (in Brasile) è stato il calcio.
Spesso ci dimentichiamo della natura semplice di questo sport che noi tutti amiamo. Il calcio ci deve soprattutto divertire e guardare il Gaúcho giocare rimarrà per sempre la cosa più divertente ed emozionante che mi capiterà di provare, a livello di spettatore sportivo, nella mia vita.
La felicità
La prima stagione a Milano
Nel 2008, dunque, Ronaldinho arriva al Milan che lo paga 21 milioni più 4 di bonus legati al piazzamento o meno in Champions. Arriva da giocatore già affermato e vincente ma con ancora la voglia di stupire e, sopratutto, di vincere. Capita in un Milan pieno di campioni: Kakà, Thiago Silva (ve lo abbiamo raccontato nella nostra prima puntate estiva di Storie) Pirlo, Nesta, Seedorf, Inzaghi, Gattuso, Maldini e molti altri. La situazione, come capirete, è delle migliori per poter esprimere un calcio bello e vincente.
La sua prima stagione a Milano, tuttavia, è caratterizzata da due fasi. La prima è di assoluta positività. Nei primi mesi, infatti, Dinho risulta essere molto voglioso e in forma. Salta l’uomo, crea e stupisce per la continuità. Difende persino.
La seconda, invece, è del tutto negativa. Prima del suo arrivo già ci furono dei mezzi problemi legati a una questione caratteriale con il suo connazionale Kakà. La stampa sosteneva che l’arrivo del Gaúcho fosse il pretesto per la partenza dell’altro fantasista, per via dell’incongruenza umana tra i due. Sobrio uno e troppo poco sobrio l’altro. Kakà, però, smentì tutto e accolse a braccia aperte il futuro numero 80 rossonero facendo felice tutti i tifosi.
Le cose col proseguo della stagione, però, non andarono come previsto. Nella sua prima stagione al Milan totalizza 29 presenze e solo 8 reti, un bottino scarso per il giocatore che era. Ancelotti, infatti, durante l’anno lo mette sempre più in disparte e fuori dalla squadra, bloccando la vena di fantasia del brasiliano. Ronaldinho smette di correre, letteralmente, non aiuta più i compagni e sopratutto non inventa più quel calcio meraviglioso che eravamo abituati a vedere. Un calo fisico e psicologico che si va ad aggiungere ai tanti problemi della società, all’epoca di Berlusconi, che infatti arriverà solo terza a -10 dai rivali storici dell’Inter.
A proposito di Inter…
28-09-2008 Milan 1-0 Inter. Primo gol di Ronaldinho Gaúcho di testa
(qualcun altro si presentò così)
La seconda stagione a Milano
Il secondo anno con i rossoneri è decisamente il migliore. In panchina arriva, guarda caso, il brasiliano Leonardo. Il rapporto tra i due è ottimo e Dinho sembra ritrovare la tenuta psico-fisica di un tempo. Gioca nettamente meglio e realizza 12 reti condite da 16 assist che lo fanno entrare in quasi tutte le marcature milaniste. Alcuni alti e bassi ci sono, ma la costante rimane sempre il suo sorriso e la sua voglia di divertirsi. Ritorna a saltare l’uomo, a essere decisivo sotto porta e a sfornare assist ai suoi compagni di reparto. L’intesa con i partner offensivi risulta ottima, sopratutto quella con Marco Borriello il quale beneficia più di tutti della vena ispiratrice del Gaúcho. Nel corso del campionato si toglie lo svizio di segnare due gol alla Juventus e di vincere anche il Golden Foot 2009 davanti a un mostro sacro come Raúl, ribadendo al mondo la sua classe cristallina. Ammiriamo, così, dopo un anno di buio, il ritrovato Ronaldinho, maestro di fantasia.
Nonostante il fuoriclasse con i dentoni abbia fatto una buonissima stagione, il Milan di Leonardo si classifica di nuovo terzo, portando all’esonero del tecnico brasiliano. Un duro colpo per Ronaldinho che con il suo connazionale in panchina e il suo 4-2-fantasia aveva trovato di nuovo la giusta formula per fare bene.
La terza stagione a Milano
In panchina arriva Max Allegri. Tecnico alla prima esperienza in una grande squadra, ma con le idee molto chiare. Via gradualmente Pirlo (complice un infortunio) per favorire un centrocampo più fisico con Van Bommel in “regia” mentre come nuovo attaccante arriva l’accentratore di gioco numero uno al mondo, ovvero Zlatan Ibrahimović.
A guardare l’inizio di stagione le cose sembrano andare bene, Ronaldinho sembra in forma e sopratutto sembra essere sereno. Gioca le prime sette partite sempre da titolare dimostrando di poter essere nuovamente decisivo. La prima di campionato a San Siro è un show sia per la squadra che per il brasiliano. 4-0 all’esordio per Allegri e un Dinho versione funambolo che illumina il prato con giocate di assoluta qualità.
Fine a se stessa ma che bellezza
Poi, in maniera quasi annunciata e naturale, arriva il punto di rottura. A ottobre 2010 l’infortunio, lo stop forzato e la perdita del posto in squadra. Allegri ha ormai trovato il meccanismo giusto per il suo Milan, e il brasiliano inizia a essere relegato sempre più volte in panchina. Dinho, ovviamente, ci mette del suo e tra feste continue e una forma per nulla brillante nelle poche volte che scende in campo non fornisce nemmeno il beneficio del dubbio al tecnico toscano. Certo, il lampo di genio c’è sempre, seppur sporadico, ma la sua volontà ormai è quella di andare via e di tornare in Brasile per divertirsi a casa sua. A gennaio 2011, infatti, Ronaldinho lascia il ritiro di Dubai per trovare una società in Brasile, concretizzando un addio che era nell’aria. Il Milan, dal canto suo, non risente affatto della perdita del Gaúcho: al suo posto arriva Cassano, e a fine campionato vincerà lo Scudetto (l’ultimo) dopo 7 anni di relativo anonimato in terra italiana.
Il testamento di Dinho prima dell’addio
Le tre stagioni al Milan di Ronaldinho sono state complesse. Un buio dove la luce è filtrata a tratti, ma quando lo ha fatto ci ha mostrato un posto bellissimo. Giocare in Italia per un calciatore così non è facile, il tatticismo frena l’inventiva. Ronaldinho, inoltre, viveva con un’incongruenza: sorrideva sempre in un mondo che il sorriso sembra cadere nell’oblio. Il genio estemporaneo non ha bisogno di regole, ma solo di sensazioni e il Gaúcho ne possedeva a dismisura. La più importante, forse, era quella di sentirsi inappropriato qui da noi.
Gli chiedevano: “ma perché ridi sempre?”
Sono un ex juventino e quando e dai 15 ai 20 anni impazzivo per Omar Sivori che fino a poco tempo fa ritenevo il miglior dribbleur e giocoliere, non avendo niente da invidiare a Messi e Maradona, e mi dispiace che tutti gli “esperti” se lo siano completamente dimenticato.
Dopo aver visto i vari filmati, penso che Ronaldinho sia stato il più grande giocoliere e dribblomane di tutti i tempi. Superiore a Maradona e Messi. Peccato che a Milano, dato anche il suo carattere non ha potuto dare il meglio di se’; era ormai prematuramente in fase calante, e si è ritirato troppo presto.