Le tifoserie delle tre principali squadre di Istanbul sono riconosciute per avere al loro interno frange violente e difficili da gestire. La rivalità fra Galasataray SK, Beşiktaş JK e Fenerbahçe SK si espande ben oltre matrici calcistiche per sfociare in qualcosa di più radicalmente profondo e culturale, anche se negli ultimi anni queste differenze si sono affievolite a scapito di episodi senza cognizione di causa.
Nel maggio del 2013 però, è accaduto qualcosa di impensabile, almeno fino a quel momento. I supporters delle tre tifoserie uniti per una causa, per gli stessi diritti e gli stessi scopi, un avvenimento più unico che raro nel panorama europeo. Europa, parola controversa se associata ad un paese come la Turchia, da sempre una porta verso l’oriente. Più che una porta da quando si è insiediato al governo il partito dell’ Adalet ve Kalkınma Partisi (AKP) – partito per la giustizia e sviluppo – capeggiato dall’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
La rivolta di Gezi Park
Da quando Erdoğan comanda il paese, la Turchia appare sempre più lontana dall’Europa, e soprattutto dai principi del suo fondatore Atatürk, privando i turchi di un senso di orgoglio nazionale che da sempre si basa sui suoi valori, cercando di costruire un nuovo senso identitario. Da riforme scolastiche più vicine a principi islamici, a limitazioni della libertà di stampa, fino restrizioni su casi di aborto e consumo di alcol. La maniera con cui il presidente ha imposto le sue idee in questi anni è stata spesso violenta e repressiva. Le azioni di dissenso verso il governo vengono punite in modo drastico e senza soluzione di negozio politico con altri partiti che tutt’ora costituiscono una forza consistente in Turchia.

La storica caserma Taksim
Il 28 maggio 2013 ci fu il primo grande atto di dissenso contro il suo governo. Il Gezi Park è l’area verde più estesa della parte europea di Istanbul: tramite accordi commerciali, l’intenzione iniziale governativa fu quella di disboscare una grande fetta del parco per la ricostruzione della Caserma Taksim, una fortezza militare fondata ai tempi dell’Impero Ottomano, all’interno della quale costruirvi un centro commerciale.
Curioso come la veccha caserma, fu la sede nella prima parte del novecento delle tre squadre di Istanbul, dunque un luogo simbolico per i tre club e in generale per il calcio turco. Fu infatti teatro di una delle partite più significative storicamente per il paese, quando nel 1923, all’indomani dei trattati di Losanna per sancire la ripartizione dei confini turchi dopo la prima guerra Mondiale, la selezione britannica sfidò e perse contro il Fenerbahçe, nonostante un’inferiorità netta dei padroni di casa.
Quella stessa caserma, che ora riunisce i tifosi, come un tempo. Se prima sotto lo stesso tetto, adesso per la difesa di un simbolo verde di Istanbul, dove si ritene non ci sia spazio per la sua ricostruzione, per qualcosa di più grande.
Çapulcu
Il grande protagonista di questa rivolta è stato Internet e la sua sconfinata potenza virale. La rivolta è iniziata pacificamente con un gruppo di ambientalisti che si sono accampati con tende al Gezi Park. Un clima pacifico, con qualche striscione e musica dal vivo: più che un’occupazione un momento conviviale, per dimostrare la reale valenza di un parco verde in un’area urbana estesissima e caotica come può essere il centro di Istanbul. Le autorità turche hanno agito nella notte cacciando i manifestanti dalle tende e dando fuoco alle stesse, inasprendo la situazione a tal punto da attirare l’attenzione di civili in disaccordo con questo atto intimidatorio e violento.
Il giorno seguente la zona di Taksim diventa un vero e proprio campo di battaglia e Gezi Park una sorta di cittadina autogestita in trincea. Viene fornita una app con radio a tutti i manifestanti per trovare punti sicuri di ristoro e indicare posti di blocco della polizia. Erdoğan li ha definiti come vandali, in turco çapulcu. Da qui una delle frasi, con valenza ironica, simbolo dei giorni di protesta – Ne sağcıyım ne solcu, çapulcuyum çapulcu – ossia – Non sono di sinistra né di destra, sono un vandalo. La situazione diventa fuori controllo quando le forze dell’ordine iniziano ad usare armi pesanti come spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti con sostanze urticanti. Alcune persone persero la vista per sempre, altre rimediarono gravi ustioni.

Çarşı
Zona est di Istanbul, popolare e operaia, perennemente instabile. Çarşı in turco significa mercato: caotico, chiassoso e profondamente umano. Ed è anche il nome di una delle tifoserie più calde e controverse d’Europa, il gruppo ultras del Beşiktaş. Tante azioni per il sociale, tra cui solidarietà verso la popolazione armena e iniziative umanitarie, tanto disordine civile quando si è in disaccordo. Senza mezze misure, i Çarşı sono un gruppo organizzato che da 35 anni resta ancorato al suo quartiere, con i suoi ideali e i suoi punti di vista, anarchici nel pensiero e nel modo di agire. Il Bosforo a fare da sfondo. Fino al 2013 il BJK İnönü, lo stadio casalingo, vi si affacciava in modo solenne, a identificare quella fetta di città in una zona in cui è quasi impossibile non sostenere le Aquile Nere.
Stadio demolito poi per fare spazio alla nuova Vodafone Arena, l’attuale sponsor del club. Notizia accolta con profondo dissenso dai tifosi, che in occasione della cerimonia di inaugurazione, nella quale presente anche Erdoğan, furono protagonisti di feroci rappresaglie contro la polizia, a pochi minuti dal calcio di inizio della partita contro il Bursaspor.
Non riuscivo a concentrarmi, non mi sentivo bene. Non avevo mai visto un’atmosfera del genere.
Per capire la passione ed il coinvolgimento emotivo sconfinato dei supporters bianconeri basta leggere le parole di Timo Werner, attaccante del Lipsia, che in occasione del match di Champions League nella passata stagione fu sostituito dopo mezz’ora di gioco. Sostituito perchè intimorito, dai decibel prodotti dai Çarşı. Werner provò invano a procurarsi dei tappi per desistere al fracasso assordante, ma non funzionò.
UltrAslan
Mecidiyeköy, distretto di Istanbul, nei pressi del ponte di Galata. Siamo ancora nella Tracia, la parte europea di Istanbul. Zona medioborghese della città dove è possibile incontrare numerose chiese dal culto cattolico. Qui risiede, o meglio si trovava, Cehennem, in italiano: l’inferno. Il vecchio stadio Ali Sami Yen del Galatasaray. Gli UltrAslan sono la frangia estrema dei tifosi giallorossi, sono più apolitici dei rivali bianconeri. La squadra è la più titolata di Turchia, ma la sua tifoseria organizzata è una delle più recenti. Nata soltanto nel 2001, è famosa soprattutto per creare un’atmosfera tanto rumorosa quanto spettacolare a livello visivo, le loro coreografie sono annoverate tra le più belle d’Europa durante una partita di calcio.
Aslan in turco significa leone, ma la vera prerogativa di questo gruppo organizzato è il forte fiuto per il business per autofinanziarsi e lanciare il proprio leone come un vero e proprio marchio conosciuto e rispettato fra gli ultras di tutta Europa. Nonostante qualche disguido causato in passato dall’utilizzo di razzi – durante un derby contro il Fenerbahçe ne furono usati più di 300 – tra gli UltrAslan e la società vi è un costante dialogo. Ai tifosi del Galatasaray non sembra interessare più di tanto un ideale politico, quanto legittimare la loro presenza come influente per il calcio turco e per le decisioni del club in generale, in un modo meno popolare e più liberale.
Lo scorso marzo, in piena volata per il titolo, il club ha deciso di aprire le porte degli allenamenti della squadra ai tifosi. La risposta degli UltrAslan fu a dir poco sorprendente. Si presentarono in 27mila con tanto di fumogeni e cori da perfetto clima partita. Una condizione surreale nella quale i giocatori hanno sostenuto la loro seduta quotidiana, situazione a livello di tifo, che farebbe fatica a presentarsi in un normale match di Serie A tra due squadre di provincia.
Vamos Bien
Kadıköy, ci spostiamo nella parte anatolica di Istanbul, quella asiatica. È qui la casa del Fenerbahçe, nel distretto di Fener. Il nome del club significa letteralmente giardino del faro, dovuto alla presenza di un faro di epoca bizantina per la comunicazione marittima. Qui si respira aria di mare, il Mar di Marmara per la precisione, e soprattutto, ci si allontana dalla vita europea di Istanbul. Al contrario di quel che si possa pensare, è una delle zone più benestanti della città, maggior numero di istruzione e popolazione mediamente giovane.
Sarı Kanaryalar – i canarini gialli – sostengono la loro squadra, e la tifoseria principale prende il nome di Vamos Bien, non si sa bene il perchè di un nome così latineggiante. Nati soltanto nel 2006, sono più moderati dei Çarşı, pur sempre condividendo spirito anti-razzista e anti-capitalista. Sono molto attivi sul web e sfruttano molto la comunicazione sui social. Molti di loro sono studenti, ed è una delle realtà più interessanti sotto questo aspetto. Sono nati al tempo di Internet 2.0, e con esso hanno imposto la loro presenza nel mondo delle tifoserie, con organizzazione nella rivendicazione di diritti.
Tra Fenerbahce e Galatasaray vi è una delle rivalità più accese d’Europa. Lo chiamano il Kitalar Arasi Derbi, chiunque abbia assistito da esterno a questo match, può raccontare di un mix di emozioni tra adrenalina pura e preoccupazione per la proprio incolumità, soprattutto se vi si assiste nel cuore delle tifoserie. A dividere le due squadre, il ponte del Bosforo, e due mondi. Tracia e Anatolia, il rosso e il blu, ad accompagnare il giallo delle divise. Rivalità poco politica tra i due club più titolati di Turchia, anche perchè entrambe le zone hanno una qualità di vita elevata rispetto alla media della popolazione. Troppo poco un ponte che divide per denotare grandi differenze, a differenze di Beşiktaş, dove prevale la classe operaia e un’istruzione media inferiore.

Nel 2016, il match è stato preso di mira dall’Isis, a testimonianza di quanto sia un evento significativo per la città e in generale per il paese. La partita fu rinviata dopo un’operazione andata a buon fine dell’intelligence turca, che sospettava di un coinvolgimento di Yunus Durmaz, già primo sospettato di aver progettato l’attacco kamikaze ad Ankara, che nell’ottobre del 2015 uccise più di 100 persone durante un corteo filo-curdo.
Istanbul è unita
Quello che è accaduto nel maggio 2013 ha un potere simbolico inaudito, considerando i grandi problemi di ordine civile causati dalla violenza dei tifosi in Turchia. Per una volta, sperando che non sia l’ultima, i tre gruppi organizzati hanno messo da parte l’ascia di guerra per una causa più importante. Difendere i diritti di tutti i cittadini di Istanbul, reagendo all’ondata di repressione che ha avuto i suoi fasti nei giorni dell’oltraggio al Gezi Park. Un’azione che ha fatto da cassa di risonanza prima in tutto il paese, generando atti di solidarietà in varie città, e poi in tutto il mondo. I supporters grazie alla loro organizzazione che da sempre li contraddistingue, hanno aiutato i protestanti ad organizzarsi al meglio per resistere allo sgombero cruento messo in atto dal governo Erdoğan.
Da questi fatti, dalla straordinaria forza sociale, ne è nato un documentario dal nome Istanbul United, girato da Farid Eslam, tedesco di origine turche. Il docu-film non è ancora stato distribuito in Italia, a macchiare il suo eccellente lavoro – il documentario ha vinto l’international movie trailer festival del 2013 – sono state alcune polemiche, secondo le quali Eslam, da tifoso del Galatasaray, avrebbe calcato il suo coinvolgimento verso il club per far risaltare gli UltrAslan quelli più attivi durante le proteste. Polemiche sollevate soprattutto dai supporters del Beşiktaş, che sono stati i primi a soccorrere gli ambientalisti del Gezi Park.
Parole sterili, soprattutto considerando le innumerevoli foto che girano su internet a testimoniare la reale cooperazione tra le tifoserie dei tre club, assieme durante i giorni di guerriglia. Sono inoltre numerose le foto ritraenti scritte ironiche con bombolette spray nei confronti del governo e murales irriverenti, oltre che foto cult con gente immortalata in strada con strumenti musicali e forme d’arte di vario genere di fronte a poliziotti armati.
La rivolta del Gezi Park porta un bilancio pesantissimo sulle spalle di un popolo che vive in un’epoca di contraddizione e di attacco ai principi democratici: 9 morti e più di 8mila feriti. Immaginate tifosi di Lazio e Roma abbracciati assieme lottando per un obiettivo comune, difficile pensarlo. Ecco perchè ciò che avvenne in quei giorni ad Istanbul è un caso abbastanza unico nel mondo del calcio, soprattutto perchè questo aveva perso d’importanza di fronte ad una situazione sociale ben più importante. Durante quei giorni, Istanbul fu unita, la speranza è quella di non avere un altro pretesto come questo per far sì che riaccada. Per adesso, purtroppo, non ci resta che aggrapparci a questo sporadico ma indelebile momento.