Nick Hornby aveva già lasciato il suo indelebile inchiostro su Highbury quasi un decennio prima, segno che l’Arsenal da sempre produce una sorta di chimica delle emozioni nel mondo del football con pochi eguali. Chissà cosa ne avrebbe scritto di quei due, qualche anno più tardi, dopo aver ammirato i Gunners di Arsene Wenger e innamorarsi perdutamente di Dennis Bergkamp e Thierry Henry.
Un elogio dell’estetica, manifesto d’eleganza e classe pura, terminali offensivi di una delle squadre più affascinanti dell’ultimo ventennio. Romanticismo autentico sì, per una coppia d’attacco che prima di ogni cosa vinceva partite e faceva dell’efficienza abbinata all’armonia dei suoi elementi, un cimelio da preservare nel tempo.
Storie è la nostra rubrica più passionale, uno spazio virtuale dove per una volta al mese ci lasciamo andare, guidati dalla voglia di raccontare in maniera coinvolta qualcosa che durante tutto l’arco del mese non ha spazio. Giustamente, perchè altrimenti si perderebbe il gusto di farlo, se non fosse soltanto un guizzo, un sobbalzo distaccato da ciò che è lecito secondo noi descrivere. I nostri tempi, quelli che viviamo e che mutuano assieme a noi, attraverso lo sport, che appassionatamente seguiamo come parte integrante della nostra quotidianeità. Ecco perchè Storie arriva a fine mese, per prendersi una pausa da ciò che stiamo vivendo, leggendo un passato non troppo lontano che resta, per poi ripartire e accantonare la nostalgia che, talvolta, offusca il nostro presente.
Dreamcast
Certo, tipico dell’Arsenal, ce ne servono due e ne fanno uno giusto per farci arrapare!
Nel 1999 sbarca in Europa la prima console a 128 bit, arriva ovviamente dal Giappone e si chiama Dreamcast. Nello stesso autunno l’Arsenal firma un contratto di sponsorizzazione per avere il marchio sulle proprie magliette. Gli ultimi tre mesi del ventesimo secolo concidono anche con l’acquisto dei Gunners di un ragazzino in cerca di fortune, appena tornato a testa bassa dalla Juventus. Il suo connazionale e – già in passato suo allenatore al Monaco – Arsene Wenger confida nel porci le basi del progetto tecnico dei prossimi anni. Si chiama Thierry Henry, per tutti Tity. Qualche anno più tardi non solo porrà le basi ma lascerà radici inestirpabili dalle parti di Highbury.
È in quella stagione che il francese di origini di Guadalupe incontra la sua nemesi calcistica. Uno spilungone leggiadro come una farfalla con l’inconvenevole problema di spiccare il volo. Biondo e proveniente da una terra limitrofa alla sua. Si chiama Dennis Berkgamp, per molti l’olandese non volante. La sua è una fobia autentica: se la fa sotto quando c’è da prendere un aereo.
Con questa jersey – proposta e appositamente adagiata su un tipico sofà inglese dai colori opachi – annata 99/2000, i due si conoscono, prima ancora caratterialmente che calcisticamente. Sembra tutto calzare a pennello: dei giapponesi fanno sognare milioni di ragazzi con una console rivoluzionaria e mettono il nome all’inizio di un ciclo memorabile per i supporters dei Gunners. Bergkamp & Henry ancora non lo sanno, e infatti finiscono la prima stagione al secondo posto prendendo venti punti dal Manchester United campione d’Europa uscente. Il primo particolare che li accomuna, è che entrambi hanno steccato in Italia. Il fiammingo ha giocato due stagioni all’Inter a metà degli anni novanta, senza lasciare un bel ricordo ai tifosi, i quali conservano accuratamente nella loro memoria un trio di tedeschi molto più pragmatici rispetto alla carta d’identità calcistica che porta con se l’olandese.
Diversamente simili
I due, all’anagrafe, segnano otto anni di differenza. La continuità del francese nel resto della sua carriera è stata direttamente proporzionale al suo smisurato talento. Non si può dire lo stesso di Bergkamp, il quale rispetto ad Henry si è portato sulle spalle il peso di diverti infortuni e di un carattere più introverso che lo ha privato di una certa leadership ad alti livelli. Paura di volare la chiamano, anche in senso metaforico. Il carisma di Tity lo ha elevato ad un piano dell’Olimpo superiore nell’Universo Arsenal, probabilmente quello più alto di sempre.
Ciò nonostante, il giovane Henry ha sempre rispettato lo statuto del suo compagno di reparto, più esperto, più anziano, ma con cui condivide un’arte preziosa. Un codice di valori sottinteso e implicito che ha a che fare con l’estro, la classe e il trattamento sublime che questi riservano ad Eupalla, citando Gianni Brera e il suo neologismo protettore di ciò che su un campo da calcio è tremendamente bello. Come quei due, che per sette stagioni hanno contribuito a rendere quell’Arsenal un oggetto di culto del calcio oltremanica. Quell’Arsenal ha vinto, ha entusiasmato, e nel 2003/2004 verrà ricordato come quello degli invincibili, senza mai perdere una partita in 38 di Championship. La sinfonia calcistica che Wenger aveva transcritto per i suoi meravigliosi interpreti, può essere semplificata e tradotta nelle qualità dei suoi due attaccanti.
Con le loro prodezze a fare da contorno barocco, sfrontate e folli, ma allo stempo essenziali nella sua natura per l’eleganza con cui venivano esibite. Averlo fatto quasi sempre assieme, per sette anni, dal 1999 al 2006, ha reso Berkgamp & Henry nella mente degli appassionati un’unica figura iconoclasta, di inestimabile bellezza. Nella decade precedente, una simbiosi simile di dimensioni iconiche la si poteva ammirare in Nba, quando con la canotta degli Utah Jazz, John Stockton e Karl Malone diventarono unanime Stockton to Malone.
Bergkamp to Henry
Dennis Berkgamp è nato ad Amsterdam, alla fine degli anni ’60, da bambino sognava Johan Cruyff come qualsiasi ragazzino della sua generazione. La scuola olandese ne ha prodotti ogni decennio di quella caratura, lui rientra tra i talenti olandesi calcisticamente più hipster perchè ha riservato poche perle, ma che restano simboli vintage di genuino estetismo ma funzionale. Le sue giocate più celebri sono frutto di una mente perfettamente connessa e cosciente del proprio immenso talento con i piedi, e tutte sono culminate con gol e assist vincenti.

Thierry Henry ha vinto classifiche cannonieri, numerosi premi individuali, eccetto il pallone d’oro. Onoreficienza che a cavallo tra il 2003 ed il 2006 lo ha visto arrivarci vicino e forse anche meritare per la sua straordinaria costanza e incisività. Tity aveva un fondamentale che lo accomunava al suo compagno di reparto: il primo controllo di palla. Entrambi sapevano sfruttare le loro leve lunghe per mettere giù palloni di una difficoltà estrema.
La grande particolarità era il modo in cui lo facevano: come un tuffatore cinese che non lascia uno schizzo in vasca, con una delicatezza e sensibilità che lasciava agli spettatori un senso di leggerezza percepibile, in quel gesto tecnico che li vedeva agganciare il pallone e danzare sulle punte.

Un gesto talmente rappresentativo da diventare un marchio di fabbrica, celebrato e raffigurato in varie forme e firme grafiche. Henry sospeso in volo che estende la gamba e accarezza il pallone prima di toccare il suolo e addomesticarlo. Come lo stesso Bergkamp sapeva fare, deliziando Highbury in maniera del tutto spontanea.
E così Bergkamp to Henry: ruoli differenti per stili affini, stesso linguaggio palla tra i piedi. Il francese ha ottenuto più gloria dalla sua professione. Un dettaglio non innocuo: ha sempre fatto tanti gol. A Bergkamp l’onorato compito di farglieli fare, senza essere un peso, divorato da un’invidia che tra i due non è mai esistita.
Stima incondizionata
- Hai giocato con Messi, Zidane, Iniesta, Ronaldinho. Chi è il migliore?
- Il migliore? Dennis Bergkamp.
Thierry Henry risponde ad una domanda di un giornalista pochi giorni dopo il suo ritiro. Secondo lui è Dennis il più forte con cui lui abbia giocato. Chiaramente un attestato di stima verso chi ha condiviso il campo, la maglia e i trofei nella parte più emozionante della sua carriera. Ma non solo: l’olandese ha ottenuto meno riscontro mediatico di quanto avrebbe meritato, perchè il suo estro e la sua sensibilità erano di qualità superiore. L’attestato di stima del francese nei suoi confronti è lo sponsor più sincero che si possa avere, dopo averlo visto per tanti anni aprire l’armadietto e allacciarsi gli scaprini prima di iniziare la seduta giornaliera.
In realtà nelle prime due stagioni il loro idillio duologico e tecnico non fu immediato. Wiltord e Kanu venivano spesso inseriti nella formazione tipo. Ciò era dovuto ai numerosi infortuni dell’olandese non volante e ancora la non definitiva esplosione di un appena ventenne Henry. Dalla Season 2001/2002 divennero coppia d’attacco a tutti gli effetti: anno in cui, inizia si apre ufficialmente l’era gloriosa dell’Arsenal di Arsene. Perfettamente calati nella parte, Wenger aveva fatto di Bergkamp il creatore, il fantasista e il rifinitore per i gol di Tity che inconsapevolmente, con i suoi sigilli, gli ha allungato la carriera.
C’è un aspetto abbastanza significativo di ciò che sono stati entrambi per l’Arsenal. Henry nel 2004/2005 superò Ian Wright come miglior marcatore Gunners di tutti i tempi. Il suo compagno di reparto? Dennis Bergkamp. Capace di vedere trame di passaggio impercettibili, coaudivato dalla rapidità di pensiero di Thierry. Il francese, un giocatore che arrivava semplicemente prima degli altri, un concentrato di aerobica, velocità e intelligenza calcistica.
Dicevamo del record precedente di Ian Wright, come top scorer dell’Arsenal, realizzato nella seconda parte degli anni ’90: il suo compagno di reparto era proprio Dennis Bergkamp. Novantaquattro assist in undici stagioni di Premier League, abbastanza per restare nei cuori di chi ha osservato e concepito il suo piede raffinato.
Icone
Ricordare una squadra è ripercorrere i momenti, che il senso del reale e del percepito in presa diretta, non permette di immaginare esattamente ciò che poi signficheranno in futuro. Vuol dire rendersi conto di cosa è stato Henry per l’Arsenal per esempio: uno dei talenti più puri che i campi da calcio inglesi abbiano mai potuto incontrare. Con le sue accelerazioni palla al piede, le sterzate improvvise, il suo carisma in un epoca di grande fascino della Premier League.
Oppure cosa ha significato quel trasferimento nel 2005, quando Wenger portò nel nord di Londra un altro fiammingo, Robin Van Persie, in una sorta di passaggio di testimone con un Dennis Begkamp a fine carriera. I due giocheranno un anno assieme, prima che il veterano decidesse di appendere gli scarpini al chiodo.
Appena un anno più tardi, anche il francese decise di salutare, senza il suo fedele compagno di reparto, senza più Highbury. Il naturale epilogo di un ciclo d’oro, che per essere preservato come tale ha bisogno di non essere danneggiato. Wenger ci rimarrà per un altro decennio, con molti problemi e poche soddisfazioni, sperando invano di ritrovare una magia svanita. Insistendo imperterrito, testardo e irremovibile come è sempre stato verso le sue irrevocabili idee, ma già consapevole ai tempi probabilmente, di aver vissuto un’era che non tornerà più sotto la sua visionaria guida.
Nel mito dell’Arsenal.