Squadre d’annata: Genoa 2008/09

1 settembre 2008. Un normale pomeriggio genovese, non proprio soleggiato, afoso, perfetto per andarsene al cinema in compagnia di qualche amico: sinceramente, non ricordo il titolo del film, ricordo un altro aspetto. Forse perché ero mentalmente proiettato verso un altro schermo, quello dell’Atahotel, dove stava succedendo di tutto: il Saragozza faceva muro per il tanto agognato ritorno di Milito al Genoa. Lo aspettavano tutti, a Genova, ma il tempo passava e alle 19 calava il sipario: grazie a quel film dimenticai un po’ tutto il resto. Ma poi l’illuminazione, un messaggio da parte di mio nonno: È arrivato Milito!!. Ricordo esattamente il punto in cui lessi la notizia, ricordo i bermuda scozzesi che andavano di moda tra i miei compari, ricordo tutto. Questo per farvi capire, un attimo, l’importanza di Milito per i tifosi.

Si chiuse così, il calciomercato rossoblù, con il clamoroso lancio del contratto dell’agente Pastorello alle 19.02, una scena da farwest preambolica ad una stagione fuori dall’ordinario. Era la ciliegina sulla torta per rendere doppiamente gustosa una squadra di per sé interessante; Sokratis, Bocchetti, Ferrari, Criscito, Palladino, sono alcuni tra i nuovi acquisti che Gasperini ha potuto plasmare per un Genoa a sua immagine e somiglianza.

Fortino Ferraris

Casa dolce casa. Al Ferraris – Marassi è il quartiere che lo ospita – va in scena il Genoa migliore dell’allora new generation, quella degli anni ’90, quelli che erano troppo piccoli o ancora in grembo quando Pato Aguilera stese il Liverpool ad Anfield con una doppietta: toccava a Milito, adesso, che 1191 giorni dopo torna a casa e trafigge Abbiati. Oltre al gol e al tacco su Maldini con cui se lo procura, è simbolica la sua partecipazione al vantaggio di Sculli, altro pupillo di Gasperini.

Milito Sculli Genoa | Numerosette Magazine
La sapienza calcistica del Principe è ciò di cui aveva bisogno il Genoa per il salto di qualità.

Intelligenza tattica invidiabile per sfruttare lo spazio vacante creato dal suo stesso movimento. Era la sua giornata, chiaramente, finora abbiamo parlato solo di lui: presto, però, scopriremo che quel Genoa doveva scangurizzarsi dal suo numero 22, anche per necessità.

Nelle prime giornate non ha avuto bisogno di farlo, anzi, ha sfruttato il suo imprinting tecnico-tattico, oltre che emotivo, per blindare il Ferraris. Già, perché sei vittorie nelle prime sei partite casalinghe mettono paura a chi dovrà far visita all’eccentrica formazione di Gasperini; ma se fra le mura amiche gli avversari tremano, in trasferta sorridono. Alcuni incolparono il tecnico grugliasco reo di non saper leggere in maniera ineccepibile alcune situazioni di gioco, specie fuori casa; quella versione di Gasperini era diversa da quella che stiamo ammirando all’Atalanta, molto più integralista e deciso ad affrontare il rischio in faccia, anche quando non conveniva. Nel ritorno contro il Borussia Dortmund sembrava di rivedere il Genoa sprecone e tardivo nel chiudere i conti, proprio come la Dea.

Con Roma e Napoli, il rischio ha pagato: proprio con i partenopei, conoscemmo Sokratis Papastathopoulos.

Sokratis Genoa Napoli | Numerosette Magazine

Eccolo, il primo Sokratis. Completamente differente da quello visto gli anni seguenti, tra Dortmund e ora Arsenal, più impulsivo – dopo si farà espellere – e temerario: fu una delle tante sorprese. Un Genoa fin da subito in palla, con il suo 3-4-3 fino a quel momento desueto nel contesto italiano ma perfettamente calzante con le caratteristiche dei giocatori. Il gol di Sokratis potrà essere accindentale, ma in un certo senso è frutto della mentalità offensiva permeata e predicata dagli alunni più brillanti del primo gasperinismo.

Un culto che ebbe alla base un’incessante spinta offensiva, ricerca della profondità, ampiezza, ma soprattutto piccole e rapide combinazioni tra compagni di reparto per scardinare le linee avversarie e disperdere più riferimenti possibili.

Scambio Milito Palladino Genoa
La grande e irreprensibile retroguardia del Siena.

Quel che forse Gasperini non sapeva – o forse sì – è l’effetto collaterale a cui poteva indurre l’estetica. Quante volte siamo attratti dal bello, dal sublime, dalla giocata bella però fine a se stessa, senza una conclusione degna della bellezza appena vista; ecco, il Genoa del Gasp non sempre riusciva a tramutarla in risultati concreti, e quest’eccesso di arrivare in porta con il pallone giocò un tiro mancino non indifferente.

Ecco, adesso sono guai.

Quella maledetta domenica

Chi scrive in questo momento sta riaprendo una ferita sportiva enorme. Non vuole palesarsi, forse, per paura di farsi nuovamente male, o per non rubare la scena ad una delle domeniche più infauste del Genoa: la perfetta rappresentazione del surrealismo che si cela dinanzi a questa squadra.

Quel 15 febbraio 2009 poteva segnare forse una svolta nel campionato. Genoa e Fiorentina diedero vita ad una battaglia Champions irripetibile, dal sapore dolciastro, che vide luci e ombre in soli 90 minuti: eroico fu il secondo tempo della Fiorentina che, dal rigore di Mutu del 3-1, mise sotto assedio il fragile fortino rossoblù.

Thiago Motta Milito Genoa vs Fiorentina | Numerosette Magazine
La ricerca degli uno-due era uno dei punti fermi.

Ed eccolo, Thiago Motta, che si presenta nel racconto come fece a Genova: nel silenzio, tra le incertezze di una rendita fisica barcollante e un curriculum ben superiore rispetto alle cavalcate al Granillo di Giandomenico Mesto. Era di un’altra categoria, un centrocampista universale in grado di coniugare fase di proposizione e interdizione; quello visto a Brasile 2014 era una versione spenta, scarica, del resto in due anni complessivi è stato spremuto da Gasperini e Mourinho per ottenere Europa League e Triplete.

Insomma, quel freddo pomeriggio faceva presagire ben altri scenari. Eppure, andò tutto storto: il Genoa, in 10, non riuscì a gestire il triplo vantaggio e la Fiorentina sfruttò le insicurezze dell’appena rientrato Rubinho. Parlandone con i conoscenti, traspare la sensazione che a portieri invertiti, sarebbe stata un’altra storia: un condizionale consolatorio ma non troppo, quasi satirico nei confronti di un Genoa che ha scherzato col destino tramutatosi in uno straordinario Adrian Mutu, autore della tripletta che sigilla il definitivo 3-3.

Ero allo stadio con un mio caro amico e suo padre. È un uomo di fede, ci portava in chiesa alla fine di ogni partita: eppure, quella domenica, si è lasciato andare. 

Basta questo a descrivere le sensazioni dei genoani. Che ora dovevano affrontare la corsa con alcuni ostacoli.

Nessuno indispensabile

Nessuno indispensabile; questo fu il messaggio che diede, chiaro e tondo, Gasperini. Non c’era tempo per crologiarsi nei propri rimpianti, bisognava guardare avanti e il Genoa fu molto lesto; si aprì uno dei tanti minicicli della stagione rossoblù. Nelle sette giornate seguenti arrivarono cinque vittorie, un pareggio e una sconfitta: come già accaduto dopo il derby d’andata, Milito non è al top della condizione. Salterà diversi turni, ma qui Gasperini si supera riuscendo a rivitalizzare giocatori snaturati nel corso delle proprie sciagurate carriere: non so voi, ma il Pollo Olivera che segna due gol da sei punti contro Chievo e Cagliari, dal nulla, fa salire l’hype. Era il mago delle punizioni, sapeva eseguirle e lavorarle davvero bene.

La sensazione – poi confermata negli anni venturi – è che Gasperini riesca ad estrarre il massimo dai propri discepoli. Degni interpreti del gasperinismo quali Sculli e Palladino non ebbero fortuna dopo aver lasciato la comfort-zone rossoblù, ed è forse questo il grande enigma dei talenti usciti dal suo bozzolo: non tutti riescono a imporsi altrove. Basti pensare a Mirco Gasparetto, gregario vecchio stampo che transitò al Genoa e riuscì a raggiungere il suo secondo score stagionale più alto, con 6 reti; prima di Genova, aveva segnato 23 reti al Prato. Un caso, che lo aveva proiettato poi a raccogliere le briciole dei suoi gol fatti, pochi, ma nonostante ciò Gasperini lo mise in condizione di esprimersi al meglio. Poi si perse, di nuovo.

Salute mentale prima che fisica, insomma. Ha sempre lavorato su questo, e se un catalizzatore di attenzioni mediatiche e non solo come Milito non riesce a scrollarti il buon umore, facendoti comunque sentire importante, significa che c’è l’ambiente perfetto per ottenere buoni risultati: poi, beh, il Genoa si superò in alcune circostanze.

Palladino gol in Genoa Juventus | Numerosette Magazine
La vittoria del gregariato.

Ricordo perfettamente i discorsi alla vigilia di Genoa-Juventus: mancava Milito, la Juventus era superiore, indubbiamente. Però traspariva fiducia nella squadra, tutti si fidavano di Gasperini e di chi scendeva in campo. Si era creato un panismo incondizionato tra la natura selvaggia ed emotiva della tifoseria e i giocatori in campo.

Uno strepitoso Thiago Motta e Palladino furono i protagonisti nel rocambolesco 3-2 contro la Juventus – tante proteste, specie sul vantaggio del Genoa da non convalidare – che chiuse il mini ciclo aprendo la strada per la Champions.

In teoria.

Perché la storia del Genoa è fatta di autolacerazioni, autodistruzioni. E si sa, la differenza sta spesso nei dettagli: due sconfitte di fila, contro Lazio e Bologna, trafiggono nel profondo i genoani. Per fortuna, ci sono i derby.

Supremazia cittadina

7 dicembre 2008, 3 maggio 2009. Sono queste le date che riconsegnano la supremazia cittadina al Genoa di Gasperini, cancellando così l’amara sentenza di Christian Maggio nella passata stagione; un consiglio, se vi trovate in mezzo a un genoano e un sampdoriano, non accennate ai derby. Potreste immergervi inconsapevolmente in una disputa cinquecentesca, una diatriba verbale la cui epicità ti riporta al duello tra Ruggiero e Rodomonte ne l’Orlando Furioso; non sai come uscirne, vorresti avere un guizzo alla Milito.

Milito_Sampdoria_vs_Genoa | Numerosette Magazine
La qualità non è alta, ma rende l’idea.

Uno stacco, un volo, per il 12° centro stagionale, l’unico di quel tiratissimo derby: ben due gol annullati alla Samp, il primo di Bruno Fornaroli, altro desaparecidos della Serie A. Scompare, così, lo scettro dalle mani dei blucerchiati, Milito si prende il Genoa e Genova.

Se la prenderà ancor di più il 3 maggio. Immaginate una delle due più grandi godurie sportive della vostra vita, provate a scavare nella memoria e a ritrovare le sensazioni, i battiti; d’altronde, emozioni come queste non si rinsecchiscono né sciupano come succede ai libri vecchi. Pagine ancora nuove, quasi come fossero fresche di stampa, come quell’odore inebriante di libri neofiti: per il Genoa, era tutto nuovo. Sgomitare con la Fiorentina per un posto in Champions, roba da matti: com’è possibile? Dopo 14 anni di logorante gavetta il Genoa era lì, in un derby acceso e selvaggio, frammentato nella ripresa da continui parapiglia e risse da film western anni ’60. Ma la poesia arriva nel finale. Recita Compagnoni.

Ma come dissi a proposito del Mondiale 2006, avrei voluto essere più grande. Ero forse troppo piccolo e ingenuo per comprendere la reale portata di quello che stava succedendo: il Genoa che avevo visto crescere e soffrire in Serie B aveva appena vinto il derby ed era quarto in classifica.

La Genova rossoblù stava sognando.

Ma presto dovette rinunciare a sognare davvero in Grande.

Sognare fa male

Sognare può fare male, ma non possiamo farne a meno. È quello che avrà pensato il Genoa, ancora una volta autolesionista e destinato a lasciare per strada punti pesanti contro le piccole: destino avverso, o semplicemente non ha saputo sfruttare il momento. Ha saputo farlo la Fiorentina, in maniera lesta e pratica, non ha fallito negli appuntamenti importanti: aveva lacune gestionali, il Genoa, oltre ad amnesie difensive difficilmente curabili nonostante il grande apporto di Ferrari.

Il Genoa pareggia 2-2 col Chievo e conquista l’Europa matematica: grande risultato, considerata la partenza dalla C solo 3 anni prima. Ma nel profondo, i giocatori auspicavano ad un posto nei preliminari di Champions. Per questo arrivarono determinati più che mai all’Olimpico, contro il Torino gemellato e ad un passo dal definitivo baratro: finì 2-3, granata retrocessi e rissa da farwest in campo, una pessima immagine ma decisamente significativa.

Torino Genoa rissa | Numerosette Magazine

Una stagione fuori da ogni logica.

C’è spazio per l’ultima partita in maglia rossoblù di Diego Milito, contro il Lecce. C’è spazio per le lacrime, asciugate dal delicato tocco del suo 24° pallone che s’insacca sotto la Gradinata Nord, un fiume in piena che non potrà più riabbracciare il suo campione.

Meglio esserci lasciati che non esserci mai incontrati è il diktat della giornata, uno degli striscioni gentilmente offerti dall’estro di De André e offerti alla causa di un amore maniacale tra il Genoa e Milito: il Principe si prende la scena, ancora, per l’ultima volta.

Ma forse merita una menzione speciale, molto speciale, il gruppo; fu proprio quella la vera forza del Genoa.

Quella che ha reso l’Europa più che una flebile speranza.

Quella che ha risvegliato un’intera generazione da un lunghissimo incubo.

Bonus Track

Jankovic Genoa | Numerosette Magazine
La massimizzazione dell’estetica.

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