Squadre d’annata: Ancona 2003/2004

Quella che state per leggere è la dimostrazione di come non serva vincere per poter entrare nella storia, o per essere una Squadra d’annata. Anzi, a volta la chiave è proprio perdere.
O almeno, lo fu per l’Ancona 2003/04, la squadra dei 13 punti in un campionato, la peggior formazione in serie A degli ultimi 20 anni.
Solitamente, a questo punto scappa un sorriso un po’ a tutti, o per sorpresa o per ricordo. In realtà, prima di cominciare a narrare, sarebbe opportuno chiarire che da ridere c’è ben poco. Le vicende anconetane di quegli anni sono l’anticipazione di un calcio e un mondo italiano che stava per entrare in una crisi dalla quale, ancora oggi, fatica ad uscire.

Estate rovente

In una delle estati più calde della storia, ad Ancona successe di tutto. Già il giorno dopo il solstizio, l’allenatore dell’incredibile promozione ottenuta solo un paio di settimane prima, Gigi Simoni, venne esonerato tra le polemiche.
Le cause vanno ricercate nel rapporto conflittuale creatosi tra il controverso presidente Ermanno Pieroni e l’ex tecnico dell’Inter, accusato di non aver preparato i programmi per la nuova stagione e di essersi messo a trattare con il Genoa. Critiche che, ovviamente, l’allenatore di Crevalcore spedì al mittente, rimproverando a sua volta il presidente per essere irraggiungibile da giorni.
Al suo posto, dopo un toto mister che vide coinvolto anche Carletto Mazzone, venne scelto Leonardo Menichini, esordiente in A e storico vice del Sor Magara.
Scelta particolare, considerando che la sua ultima esperienza da primo allenatore fu 12 anni prima nell’allora C2, sulla panchina del Riccione. E se ve lo steste chiedendo, sì, anche quella avventura finì con una retrocessione.

Anche sul mercato dei calciatori l’ex collaboratore di Gaucci operò in modo piuttosto discutibile. Con la convinzione di dover sfruttare il fattore esperienza per avere un vantaggio competitivo sulle concorrenti per la salvezza, mise insieme un gruppo di giocatori attempati, la maggior parte dei quali non più adatti alla Serie A.
Fu così che dal Piacenza appena retrocesso arrivarono un 36enne Hübner e un 34enne Di Francesco, a cui si aggiunsero Rapaic dall’Hajduk e, da varie parti d’Italia, Sussi, Poggi, Milanese, Berretta e Viali, con i suoi 29 anni il più giovane tra quelli citati.
Per bilanciare l’età arrivarono poi Fábio Bilica, Mads Jörgensen, il fratello scarso di Martin, Davide Carrus e un giovanissimo Goran Pandev, in prestito dall’Inter.
A questi innesti, Pieroni pensò bene di aggiungere la riconferma di alcuni veterani decisivi per la promozione, come Scarpi e Maurizio Ganz, al tramonto della sua carriera.

Probabilmente conscio di ciò che lo aspettava, durante la presentazione Menichini si limitò ad individuare l’obiettivo in una risicata salvezza.

Settembre nefasto

In realtà, fu necessario solo il mese di settembre per allontanare il povero Menichini da Ancona. Pieroni era cresciuto alla scuola dei presidenti padri, padroni e vulcanici, quindi 4 partite senza vittorie erano sufficienti per un cambio al timone. Poco importa se, tra le 4 formazioni affrontate, ci fossero anche Roma e Milan, a fine anno le prime due della classe.
Proprio contro i rossoneri, in un Del Conero strapieno, avvenne l’esordio in campionato. Da una parte una formazione di vecchie glorie con un’età media di quasi 31 anni, dall’altra i campioni d’Europa.
La squadra dorica però non sfigurò e, a decidere, furono solo un errore di Scarpi su punizione di Shevchenko e un contropiede finalizzato sempre dall’ucraino dopo un paio di numeri a centrocampo di un esordiente Kaká.
Insomma, nulla di troppo allarmante.

Una prima partita accettabile.

Dopo un brutto stop al Via del Mare di Lecce, alla terza giornata il pareggio in casa contro il Modena di Malesani permise di ottenere il primo agognato punto in campionato.
Vedendo le immagini a posteriori però, si capisce molto della disastrosa stagione dell’Ancona. Emblematico fu il gol degli emiliani, dove, su un banale lancio lungo,  la difesa biancorossa sbagliò in modo piuttosto grottesco la trappola del fuorigioco, permettendo a Camara di saltare Scarpi per il gol del vantaggio. Il pari arrivò pochi minuti più tardi con Bilica, che festeggiò lanciando la maglia dopo essersela levata, in un periodo storico in cui questo non era ancora considerato eccesso di esultanza.
A fine partita Menichini parlava di una squadra che aveva buttato il cuore oltre l’ostacolo, facendo intendere che un 1-1 contro il Modena potesse essere considerato un grande risultato. Effettivamente, giudicandolo nel 2018, non gli si può dare torto.

Aveva però le ore contate sulla panchina marchigiana e la settimana successiva, dopo una sconfitta per 3 a 0 all’Olimpico contro la Roma, Pieroni decise di dargli il benservito. Appena 4 panchine che, ad oggi, sono ancora le sue uniche in serie A.

Con Nedo (non) ci credo

A questo punto, Pieroni provò a calare l’asso, lasciando da parte le idee strampalate e chiamando Nedo Sonetti, santone di provincia, che di mestiere salvava squadre disperate.
Il mister di Piombino, navigato ed esperto, pensò soprattutto a rimpolpare la fase difensiva, lasciando in secondo piano l’attacco, conscio che una sgangherata accozzaglia di calciatori come quella dovesse prima badare a non prenderle.
Purtroppo per lui, l’impresa era una vera e propria utopia.
Per farla breve, nelle 13 gare in cui rimase all’ombra del Conero, i suoi raccolsero 4 punti, frutto di altrettanti pareggi e 9 sconfitte.  A far inorridire sono però i numeri, soprattutto quelli offensivi.
Sì, perché se la difesa era in linea con quelle delle altre contendenti alla salvezza, l’attacco produsse la miseria di 5 gol distribuiti su 3 partite, il che vuol dire ben 10 incontri senza trovare la via della rete.
Una penuria di gol e di risultati che, insieme con un 5 a 0 subito a San Siro contro il Milan, fu fatale al buon vecchio Nedo.

A 0:40 un già rassegnato Sonetti.

Intanto, in mezzo a queste vicende succedeva qualcosa di leggendario.
Lo abbiamo già detto, il presidente Pieroni probabilmente pensava di poter decidere vita e morte dei suoi dipendenti, così a gennaio pensò di rivoluzionare la sua Ancona.
Fecero le valigie in 16, tra cui il pacchetto Di Francesco-Hübner che passò al Perugia di Gaucci, guarda caso.
Per capire la portata delle purghe Pieroniane, basti pensare che, alla fine del mercato di riparazione, dei giocatori titolari alla prima giornata contro il Milan erano rimasti solo Maini, Milanese e Berretta.
Al loro posto, arrivò una sfilza di giocatori o dalle qualità dubbie, come Ivan Helguera e Corrado Grabbi, oppure dalle buone doti ma che, ormai, avevano già dato il meglio, come Luigi Sartor, Dino Baggio e Sean Sogliano.
Il tutto venne coronato con il meraviglioso acquisto di Mário Jardel, all’epoca 30enne in cerca di riscatto. Ovviamente il termine “meraviglioso” è ironico.
Che fosse un flop lo si era capito fin dalla presentazione, quando confuse la curva dell’Ancona con quella del Perugia, andando dai tifosi sbagliati; ma le sue prestazioni in campo furono letteralmente indecenti. Solo più tardi si scoprirà che erano stati la depressione e i problemi con la droga a far passare il brasiliano da macchina da gol a scarpone nel giro di un paio d’anni. All’epoca, a conti fatti avevamo di fronte solo una buffa macchietta.

La nave Ancona affonda

Tornando alle questioni di campo, al posto di Sonetti venne chiamato un altro volpone italiano della panchina, Giovanni Galeone.
L’impresa da fare era notevole, ma sicuramente non impossibile. Infatti all’arrivo del tecnico napoletano la zona Play-Out distava “solo” 8 punti e, con un cambio di marcia repentino, chissà magari l’impossibile sarebbe potuto avvenire. Lo stesso allenatore ci credeva fortemente, mentre il presidente spiegò la sua scelta dicendo che voleva un allenatore capace di portare un buon gioco offensivo, perché l’Ancona aveva bisogno di vincere.
Sembra scontato dirlo, ma finì in tragedia.
Nelle sue prime 10 partite Galeone fece 2 punti, subendo 22 gol e facendone 6. Venne anche stabilito il nuovo record di giornate anche stabilito il nuovo record per le giornate passate prima di ottenere una vittoria in campionato, 28.
A questo punto, le lunghezze dalla zona Play-Out erano diventate 19, mentre i punti ancora disponibili 18, il che voleva dire matematica retrocessione a 6 giornate dalla fine, anche qui, siamo nell’ambito dei record.
Unica buona notizia di questo periodo, si fa per dire, è la rescissione di Mário Jardel, scappato dopo 3 spezzoni di partita orrendi.

Ironia della sorte, l’Ancona centrerà la prima vittoria proprio la settimana successiva alla condanna aritmetica, vincendo per 3-2 in casa contro il Bologna, grazie alla doppietta di Rapaic e al gol di Bucchi.
Quest’ultimo sarà anche il capocannoniere stagionale della squadra con 5 gol, interessante, considerando che non giocava da due anni e che ha disputato la prima stagionale a febbraio.
La sua resterà comunque la più bella pagina dell’Ancona 2003/2004, una bella e drammatica storia di redenzione dopo la tremenda e improvvisa scomparsa della moglie.

Tornando alle vicende di campo, i nostri eroi avranno anche l’opportunità di fare un altro scalpo, battendo l’Empoli alla penultima giornata e, di fatto, condannandoli alla discesa in B.
Alla fine, i punti fatti dai dorici dopo la retrocessione erano più o meno gli stessi di quelli realizzati nelle restanti 28 partite.
La somma totale, al termine del campionato, era di 13 punti, secondo record negativo da quando si assegnano i 3 punti per la vittoria. Ben 6 in meno dell’altra Ancona che visse la serie A, quella del 1992/93, quando di punti per la vittoria se ne davano 2.

Qui la partita meglio giocata dai dorici.

In teoria, a questo punto, ci dovremmo aspettare una squadra che riparte, magari con qualche difficoltà, dalla serie B.
Ad Ancona invece non successe niente di tutto questo, perché alla fine di quella famigerata stagione 2003/04 si venne a scoprire che le casse della squadra erano vuote.
Pieroni si difese negando di essersi intascato il denaro e dichiarando di averlo usato per pagare in nero calciatori e tesserati, ma questo non gli evitò di essere condannato a quattro anni di reclusione per bancarotta fraudolenta.
L’Ancona invece, un anno dopo aver sfidato i campioni d’Europa alla prima di campionato, si ritrovò a giocare negli anonimi campi di serie C2.

Oggi, 14 anni e 3 fallimenti dopo, la società nata dalle ceneri dell’Ancona, l’U.S Anconitana, è immersa nel profondo della Prima Categoria, lontana milioni di anni luce da quel sogno diventato un incubo in un battere di ciglia.

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