I soliti monotoni rituali, ripetuti ormai centinaia di volte, evidenziano però, da subito, una mal celata voglia di mantenere un basso profilo. Ci si aspetta da un momento all’altro la domanda sbagliata; la considerazione in grado di far saltare il tappo di champagne e lasciar sgorgare una rabbia schiumante da tempo in attesa. Comprensibile. Sconfitta senza dubbio pesante, arrivata tra le mura amiche, per di più contro una diretta concorrente per il tanto agoniato pass Champions.
Il contratto di governo
Eppure inizialmente l’intervista, condotta dal sempre puntuale Alciato, sembra trascinarsi tra analisi tattiche astruse e domande dalla risposta scontata. Nulla sembrerebbe presagire una delle conferenze stampa più drammatiche, calcisticamente parlando, degli ultimi anni a tinte neroazzurre.
È bastato fare il suo nome: Quanto ti toglie tranquillità il caso-Icardi? E da lì più la rabbia non controllò.

Probabilmente i lieto fine sono altri, ma ci saremmo comunque accontentati. La società, nei panni di Marotta, era riuscita a strappare l’accordo alla controparte capitanata – scusate il gioco di parole – dall’avvocato Valentini. Inter e Icardi come un nuovo capitolo del SalviMaio per dirla alla Scanzi. Fingiamo di volerci bene e di collaborare ma, nei più profondi tuguri della mente, non vediamo l’ora di pugnalarci alle spalle a vicenda. Poco male. All’Inter serve l’ex capitano per agguantare il quarto posto e all’ex capitano serve l’Inter per continuare a vedere la sua stella brillare. Terminata la simbiosi termina il mandato e arrivederci.
Su queste fragili premesse si costruiva la rampa di lancio per il reintegro dell’ammutinato nell’equipaggio.
E Spalletti?
La cosa buffa è che tutti si aspettavano la fine della telenovela che da due mesi dava da scrivere a tutti i giornalisti d’Italia. Ma mai dare scontato il morboso desiderio di autolesionismo insito nel DNA della Beneamata. Perchè, come dice l’inno cantato dai 60.000 di San Siro, Pazza Inter amala….
La società, convinta di aver risolto il contenzioso nella maniera migliore possibile, aveva scordato solo un dettaglio: chiedere a Spalletti, il vero condottiero dell’Inter, cosa pensasse delle sue strategie. Errore imperdonabile di una dirigenza che si crede grande ma che, nella realtà dei fatti, non è neanche lontanamente vicina a sfiorala quella grandezza.
Come volevasi dimostrare, il fragile accordo stipulato solo poche ore prima si scioglie come neve al sole:
L’ho trovato come un calciatore nuovo per certi versi. Si è allenato e dobbiamo reinserirlo nel nostro comportamento in allenamento. Visto quanto è successo ieri, compreso ieri, ritengo giusto che ancora per questa partita non possa essere in grado di aiutare i compagni di squadra. Quindi domani non è convocato.
Così Spalletti alla vigilia. Sipario.
Parole durissime
La resa dei conti, come era facile intuire, non si è fatta attendere. Nessuno mi leva dalla testa la convinzione che, se anche l’Inter avesse portato a casa i tre punti, l’ira di Spalletti non avrebbe tardato a farsi viva. A supporto della mia tesi posso dire che, in tutte le interviste da me trovate sul web post Inter-Lazio, il leitmotiv è sempre stato il medesimo: fiducia, comportamento, disciplina. Parole non casuali che suonano come una condanna definitiva, senza possibilità di appello. Con buona pace della dirigenza neroazzurra dell’avvocato Valentini e ovviamente dei supporters interisti.
Alle eloquenti parole del tecnico, che non necessitano di spiegazione alcuna, mi premerebbe sottolineare un aspetto che forse non tutti hanno colto.
Spalletti non solo critica aspramente il comportamento di Icardi reo di aver bisogno di ulteriori motivazioni, come se non bastasse di per se l’essere tesserato per una delle società più importanti d’Europa, per indossare la gloriosa casacca neroazzurra. Ma, soprattutto, rimarca a gran voce come Icardi non sia assolutamente un campione e che fare la differenza in campo non è un fattore a lui ascrivibile. Parole di una pesantezza inaudita dette da colui che sentitosi tradito, ha scatenato l’orgoglio da uomo e allenatore non lesinando certo sulla semantica.
Spalletti al muro

Per quanto non possa che supportare il pensiero di Spalletti, trovo inaccettabile ed estremamente dannoso come si sia giunti a questa situazione. Ma, badate bene, Spalletti non ha fatto altro che giocarsi l’ultima carta per cercare di salvare la stagione dell’Inter e, di conseguenza, la sua panchina. Il gesto di Spalletti va interpretato come l’ultimo tentativo di un uomo, ormai lasciato in balia degli eventi, di dare uno scossone alla Pinetina.
Non è colpa mia sembra dire il mister di Certaldo. E come dargli torto aggiungo io.
I fatti hanno lo hanno visto quasi sempre come vittima e mai come carnefice, almeno secondo me.
Se ricordate bene, i disguidi intorno al rinnovo del contratto di Icardi non sono di certo stati creati dall’allenatore. Spalletti ha sempre difeso Mauro, almeno all’inizio della fiction come lui la definisce. Ha sempre auspicato una conciliazione tra le parti, anteponendo il bene dell’Inter a tutto il resto e pregando che si trovasse un accordo. Così non è stato. Anzi, la società, senza nemmeno consultare il suo allenatore, ha deciso unilateralmente di togliere la fascia di capitano a Icardi, fornendo così ossigeno all’incendio che da li a poco sarebbe diventato indomabile.
Inoltre, a riprova di come il caso sia stato gestito in maniera pessima, non è stato emanato alcun comunicato ufficiale, dal quartier generale di Corso Vittorio Emanuele, sul perché della punizione.
Spalletti si è così trovato a fronteggiare, da solo, da un lato la pressione schiacciante dell’opinione pubblica sportiva. Dall’altro lato ha dovuto fare a meno del suo giocatore più rappresentativo; minando gioco, risultati e il rapporto con lo stesso e con lo spogliatoio.
Una questione di principio

Il circo, perché ahimè, di questo si tratta, ha preso sempre più i contorni di una sfida personale. Spalletti, che dal canto suo mi ha sempre dato l’idea di voler gettare acqua sul fuoco, giocoforza si è trovato invischiato nella contesa. È qui che si staglia all’orizzonte la censura che ha portato poi allo sfogo di domenica sera. Il tecnico di Certaldo, pacato e riflessivo, da me sempre denominato come il filosofo per via del suo modo di esprimersi spesso non chiaro, non è più riuscito a farsi scivolare tutto addosso.
Il tecnico ha visto, nel corso di questa tribolata storia, andare in fumo i principi per i quali ha dedicato la vita professionale e non. Lealtà, correttezza, giustizia, spirito di sacrificio, onore, lottare insieme. Mi piace pensare ad uno Spalletti romantico, che, preso dallo sconforto per aver visto quello in cui credeva andare in pezzi, abbia subito, inerme, un’esplosione di rabbia e dolore che lo hanno portato verso una collera cieca e incontrollabile. Non è da tralasciare il fatto che tutto sia successo sotto la sua gestione, nel suo spogliatoio, e che abbia pesantemente solleticato l’orgoglio di un uomo all’antica, coi suoi pregi e difetti, ma profondamente legato ai valori che da sempre lo hanno accompagnato lungo la sua esperienza manageriale.
Spalletti è un uomo triste, deluso e amareggiato. Si sente tradito da colui che riteneva un allievo, un compagno e forse un amico.
Ecco le parole malinconiche di un uomo solo contro tutti:
Oggi, per come si è comportato, è giusto che Mauro stia fuori. Gli eventi sono sotto gli occhi di tutti, dentro gli spogliatoi ci sono gli altri. Per quanto mi riguarda è 22 anni che ho credibilità con i miei calciatori, loro sanno raccontare la mia storia. È la disciplina la vera forza di una squadra e di un professionista, quella che bisogna avere verso sé stessi e verso il contesto in cui si lavora.
Riflessioni a margine

Icardi incarna perfettamente cosa sia il calcio moderno. Soldi, visibilità e gloria individuale. Tutto il resto sono solo noiosi sentimentalismi di sciocchi tifosi che ancora credono nella magia di uno sport che, ormai, ha imboccato un’altra strada. È forse questo l’aspetto che mi più rattrista pensando all’Inter. Del caso mediatico poco mi importa. Non mi sono mai affezionato a questo giocatore, che ci crediate o no. Eppure non riesco a non perdonargli di aver anteposto i suoi interessi individuali ad una famiglia. Sì, perchè l’Inter è una grande famiglia composta da milioni di tifosi che, nel bene e nel male, hanno sempre dimostrato di esserci. Tu no caro Mauro. Sei sparito nel momento più importante. Tu ti sei permesso di indossare la fascia di capitano dell’Inter senza nemmeno sapere l’importanza che ne coseguisse. Hai giocato coi sentimenti degli appassionati giurando fedeltà eterna non alla maglia, non a San Siro, ma al vile denaro. E, nel momento in cui la proposta economica ha vacillato, hai simulato un infortunio come il peggiore dei vigliacchi, dimostrando che le parole, senza i fatti, sono come polvere al vento.