Capisci che stai invecchiando quando le candeline costano più della torta.
(Bob Hope)
No, non siamo arrivati fino a questo punto. Però siamo vecchi, o meglio, ci sentiamo vecchi. Ci siamo sentiti vecchi domenica, all’Olimpico, quando abbiamo visto Totti giocare l’ultima partita con la maglia della Roma: diamine, quanto ci siamo sentiti vecchi.
Esco un attimo dalla prima persona plurale per dire una cosa: solo io ho ammirato la copertina degli almanacchi del Calcio che compravi in edicola? Forse solo io. Beh, nella copertina del 2000 ci sono Batistuta, Baggio, Maldini e… beh, Totti.
Di lui abbiamo già parlato, anzi, lo ha fatto meravigliosamente il nostro Francesco Simonetti: usiamo il Capitano come assist – non quelli che faceva spalle alla porta – per parlare di un altro addio. Se vi dicessimo John Terry?
Proprio lui, il donnaiolo per eccellenza che tutti vorrebbero come miglior amico, talmente amico che potrebbe intraprendere una relazione segreta ed extraconiugale con tua moglie: così è successo, e ce lo ricordiamo tutti. Ma non vogliamo soffermarci sulla cronaca rosa, perché sarebbe sprecato e irrispettoso nei confronti della carriera sportiva di JT, capace di totalizzare 492 partite in Premier League condite da 41 gol e 18 assist – trattasi di un centrale di difesa.
Terrifying
In area di rigore era letteralmente devastante, terrificante. Mi direte, è un difensore, il suo compito dovrebbe essere fermare gli attaccanti: invece no, l’attaccante aggiunto era lui. Alcuni scienziati si chiedono ancora come faccia ad imprimere cotanta forza (siamo vecchi, anche nel linguaggio) con un semplice movimento.
Era forte, John Terry. Ma soprattutto era amato in maniera incondizionata a Stamford Bridge, qualunque cosa succedeva: lui era il capitano. Del resto 22 anni nel Chelsea non possono essere cancellati con la gomma, rimangono impressi nella mente dei tifosi, che ricordano pure l’odore della sua maglia. Qualunque cosa succedeva, Terry veniva acclamato, pure se i Blues transitavano in acque non proprio limpide.
Con il suo addio ci siamo sentiti un po’ vecchi, anche se all’anagrafe non lo siamo. Abbiamo percepito nelle nostre vertebre il tempo che scorre, la sabbiolina che scende repentinamente nella clessidra senza che nessuno possa fermarlo: che possiamo fare, se non dire che siamo stati fortunati? Si, fortunati. Fortunati ad assistere a quel meraviglioso Chelsea di Terry, Lampard, Drogba, Robben (quando aveva i capelli!), Duff, Cech e compagnia cantante. Quello stesso Chelsea che eliminò il Barcellona l’8 marzo 2004, quando Ronaldinho realizzò uno dei gol più belli e imitati della storia: perché se ci sono due cose che abbiamo provato a imitare, una di queste è il suo gol. Oltre all’onda energetica.
Energetica come la zuccata di Terry, una sorta di Genkidama in cui tutto Stamford Bridge ha alzato le mani al cielo dando l’energia necessaria a JT per impattare il pallone nell’angolino e far impazzire di gioia il popolo Blues.
Insomma, ne ha passate tante John Terry, davvero tante. Ha affrontato tante avventure, bucato altrettante difese, visto tanti attaccanti andare in rete (è il rischio del mestiere), eppure una sola squadra lo ha fatto davvero indiavolare. Beh, con quest’ultimo aggettivo dovreste aver capito.
Quel maledetto United
Già, maledetto United. I Red Devils erano nel destino di Terry, fin da ragazzino: nel 1994/95 Sir Alex mise gli occhi su di lui, e tentò di portarlo in maglia rossa. Terry mostrava già buone doti nelle giovanili del West Ham, ma aveva già deciso di rimanere a Londra e giocare nel Chelsea. Fu una decisione tutt’altro che semplice, visti i condizionamenti familiari abbastanza oppressivi: papà e nonno tifosissimi del Man United, figuratevi se non spingenvano per un trasferimento all’Old Trafford, nel Teatro dei Sogni doveva poteva realizzarsi il loro sogno. Già, il loro, non quello di JT, che sentiva il bisogno di fare la storia nel Chelsea.
Da allora, lo United, lo affrontò da avversario. Scegliere due momenti iconici non è facile, ma nelle pagine nostalgiche non può che entrare la scellerata notte di Mosca 2008: vivissimi complimenti al regista che ha redatto questa sceneggiatura. Fatti vivo, che ti prendiamo a Numerosette.
Pioggia incessante e beffarda, dal sapore comunque catartico, che purifica l’anima iraconda e fortemente delusa del capitano Blues, consapevole di aver appena dato vita ad un incubo reale, alla notte peggiore della sua vita, sportivamente parlando. Come se non bastasse, contro il Manchester United, la fede di suo papà.
Terry è stato messo alla prova, ma ha resistito. Lo ha fatto da grande difensore, marcando chiunque arrivasse sulla sua strada, e con grande personalità decide un Chelsea-Manchester United del 2009.
Ma soprattutto ha marcato un attaccante forse più forte, ovvero il dolore di una Champions sfumata per un rigore sbagliato. E il Chelsea, quella coppa dalle orecchie grandi grandi, sembrava non vincerla. JT aveva bisogno della ciliegina sulla torta ad una carriera straordinaria, aveva bisogno della testata vincente: stavolta non la sua, ma quella di Drogba all’Allianz, che gli regala una delle gioie più grandi della sua vita. Quella che fece impazzire Marianella.
Goodbye
Goodbye. Siamo ai saluti pure noi, così come la carriera al Chelsea di Terry. Al discorso finale – dopo il match con il Sunderland – si lascia prendere dalla comprensibile emozione nel momento in cui ringrazia la sua famiglia per il supporto. Non ci resta far altro che sfruttare il mondo digitale nelle sue mille sfaccettature e mostrarvi l’ultimo saluto di Terry: non aspettatevi un discorso alla Totti, non aspettatevi capacità attoriali disarmanti, anche perché non capirete niente se non masticate pane e inglese, ma osservate JT. Ascoltate la voce striminzita al minuto 2.26, sentirete l’emozione del momento che attanaglia le corde vocali, un po’ come faceva lui con gli altri attaccanti. Ora non lo farà più, dopo più di vent’anni.
Capirete che, forse, stiamo invecchiando anche noi.