VRC: Villas-Boas Rally Championship
Villas-Boas a bordo di una Toyota Xilux alla Parigi-Dakar è quanto di più hipster si possa immaginare. L’ultima parentesi calcistica in Cina, naufragata in questioni politiche extra-calcio, lo hanno fatto momentaneamente disinnamorare del gioco. Il che è ancora più strano, se ciò accade a 40 anni e fai l’allenatore. Nella sua assurda adolescenza ha avuto il tempo, fra una dispensa tattica e l’altra, di partecipare ad un campionato di enduro. La passione per i motori deriva da suo zio Pedro, che all’età di 40 anni ha corso più edizioni della competizione. La passione per la cabalà, ce l’ha sempre avuta. Così a 40 anni, come suo zio, alla 40esima edizione della Parigi-Dakar, si dà al rally.
Dopo appena quattro giorni di gara, Villas-Boas è stato costretto al ritiro, dopo che Andrè e Ruben si sono schiantati su una duna di sabbia. Con la schiena malconcia e un ricovero in ospedale, il portoghese è in cerca di una nuova squadra, in attesa del suo grande ritorno in Europa.

André Villas-Boas ha trascorso gran parte della sua vita a bruciare tappe. A 23 anni è stato allenatore delle Isole Vergini, un arcipelago caraibico a largo di Porto Rico. A sedici anni il suo cv vantava un’esperienza da osservatore nell’Ipswich Town alla corte di George Burley. Costantemente in bilico tra precocità e l’essere un visionario, Villas-Boas ha l’aria di essere uno terrorizzato dalla noia e dalle sue sfumature monocorde.
Villas-Boas fa cose: un po’ per passione, un po’ perchè ne ha un bisogno incessante. Questa sua personalità iper-attiva è stata senza ombra di dubbio accompagnata da una buona dose di talento. In particolare nel giuoco del calcio, quello teorico e prettamente didattico, anche perchè stando a una sua recente intervista, per quello giocato non avrebbe avuto abbastanza tempo da dedicargli. Il patentino Uefa ottenuto da neanche maggiorenne giustifica una certa fretta nell’arrivare, o semplicemente nel fare qualcosa per cui ci si ritenga estremamente competenti.
Jovem prodígio
Di Villas-Boas se ne parla come fosse un veterano, ma è un classe ’77 , un anno in meno di Francesco Totti per intenderci. Eppure, c’è stato un momento nella sua, sin qui lunga e precoce carriera, in cui i panni di nuovo jovem prodígio della scuola tattica portoghese, si sono rivelati essere piuttosto scomodi da indossare. Nel maggio del 2011 Villas-Boas vince l’Europa League sulla panchina del Porto a soli 33 anni, diventando il più giovane allenatore ad aver vinto un trofeo internazionale. Il suo calcio associativo e propositivo ed il suo percorso calcistico gli valgono il soprannome di The special two. Oltre che il preludio ad una serie di insuccessi e percorsi interrotti a metà.
Il suo incubo si chiama Josè Mourinho, l’uomo che i media hanno etichettato come suo mentore. L’associazione è molto semplice: giovane, portoghese, prematuramente vincente con il Porto. Anche l’aver fatto parte del suo staff all’Inter, sebbene i due abbiano modalità di approccio alla tattica totalmente diverse, ha influito e non poco sul bisogno incessante di dare continuità alla storia del calcio. Di fatto, per il giovane André, è stato un timbro forgiato nel ferro bollente, che lo ha fatto allontanare dal calcio europeo molto presto.

The Special Flop
Ho conosciuto il suo lato oscuro, abbiamo rotto perchè avevo l’ambizione di crescere.
Villas-Boas si congeda da Mourinho all’alba di un triplete nerazzurro nell’autunno del 2009. Due personalità troppo forti e un talento in rampa di lancio con le ali tappate. Va detto che ci ha anche messo del suo nel perpetuare la favoletta dell’allievo ed il maestro. La vittoria dell’Europa League con il Porto sembrava il canovaccio perfetto per imbastire quel tipo di trama. Una storia di pallone poco originale in fondo, ma i risultati arrivano, più in fretta di quanto si potesse pensare. Villas-Boas è ambito dai migliori club europei, il vecchio continente è inebriato da una ventata di allenatori giovani e propositivi sulla scia del Barcelona di Guardiola. Saltano ruoli e concetti secolari sul gioco, il portoghese appare come il prototipo ideale di un nuovo calcio di posizione, fatto di superiorità numerica in zona palla e di principi offensivi innovativi.
Nell’estate 2011 passa al Chelsea, a questo punto sembra a tutti gli effetti una sfida personale contro il suo ex amico, della serie: “vado dove vai tu e faccio meglio di te”. Non sappiamo che grado di casualità ci sia stato in questo suo approdo nel nord di Londra, quello che è certo è che l’esperienza si è rivelata completamente nefasta. Da questo momento in poi il personaggio André Villas-Boas si gonfia di carica mediatica, fino a farlo diventare prigioniero delle aspettative della stampa. La differenza sostanziale con Mourinho, prima ancora delle idee tattiche, è stata il suo approccio con il diretto e granitico mondo britannico. Mondo con il quale Mourinho si è trovato a suo agio fin da subito, grazie a delle capacità comunicative flessibili ed assertive. In parole povere: siamo a casa vostra, parliamo come si mangia da queste parti.
Villas-Boas diventa improvvisamente spocchioso: dialettica fine, gergo calcistico raffinato e apparente sicurezza nei propri mezzi. In pratica quello che sta facendo Guardiola al City, ma con grandi risultati sul campo. Mezzi estremamente diversi rispetto ai canoni dell’allora Premier League, ancora insiti di concetti base che hanno contraddistinto il calcio oltremanica del secolo scorso. L’anno precedente si candidò alla panchina del Burnley, si presentò con un curriculum dettagliato in power point, usando un linguaggio estremamente erudito e un inglese soprendentemente fluente. Il fatto che si sia proposto ai Clarets non è certo stata una mossa astuta: il Burnley è una delle società più storicamente legate alla tradizione del calcio inglese. Non a caso, gli ottimi risultati di questa stagione sotto la guida di Sean Dyche, palesano un modo di giocare diametralmente opposto ai concetti proposti qualche anno fa da Villas-Boas.
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The Special Who?
AVB usa un blocco note da 5,99£, ma c’è una pagina su cosa fare quando si è in dieci durante il derby del Nord di Londra?
Il Daily Mail e il suo inconfondibile English humor.
Il portoghese comincia a perdere di credibilità in Inghilterra, ma nella stagione successiva si sposta ad un paio di fermate della metro, nel borgo londiese di Haringey. Il Tottenham, reduce da sodalizio quinquiennale con Harry Redknapp, allenatore di stampo tradizionalista, decide di avviare un nuovo progetto tecnico. Calcio più moderno, con uno sguardo più attento ai prodotti del settore giovanile. L’idea iniziale, impersonificata poi con ottimi risultati dalla figura di Pochettino, portava il nome di André Villas-Boas. The Special two sembrava poter rispondere a quei requisiti, con caratteristiche giuste per un progetto a lungo termine di questo tipo. I cattivi rapporti con la stampa e con i giocatori creeranno un clima di tensione insostenibile dopo poco più di un anno. Reo di aver speso in malo modo i soldi della cessione di Gareth Bale al Real Madrid, Villas-Boas saluta definitivamente il nord di Londra dopo due sonore sconfitte: un 6-0 contro il Manchester City e un 5-0 a White Hart Lane contro il Liverpool.
Il flop con gli Spurs costerà caro soprattutto ad Ashley Van Buren, autrice di spettacoli teatrali a Broadway, che ha avuto la sfortuna di condividere con Villas-Boas l’acronimo AVB, affidatogli dai tabloid inglesi. I tifosi del Tottenham hanno erroneamente scambiato il profilo Twitter della scrittrice con quello del manager, inondando la sua bacheca Twitter di insulti di ogni genere.
Reminder that I am NOT the U.K. football coach, so if you send me a death threat meant for him, I'm gonna tweet you a musical theater lyric.
— Ashley Van Buren (@avb) December 15, 2013
La brillante Ashley ha ben pensato di rispondere ad ogni insulto, citando di volta in volta diverse celebri frasi dei musical di Broadway.
The Special Zar
Lo zar Pietro il Grande costruì questa grande città con la sua mentalità russa, io spero di poter prendere qualcosa da lui per portare lo Zenit a grandi successi.
La carriera di Villas-Boas assume contorni paradossali, come se fosse entrato in una dimensione satirica indipendentemente dalla sua volontà. A dire il vero, le sue dichiarazioni non fanno altro che costruire un’aurea del tutto singolare attorno al suo personaggio, creando attorno a sé scetticismo per le sue uscite da mitomane. Si presenta sulla panchina dello Zenit San Pietroburgo accostandosi allo Zar Pietro il Grande, tra lo stupore generale degli addetti ai lavori.
I risultati non sono neanche così malvagi, vincerà la Russian Premier League al primo tentativo chiudendo la stagione ai quarti di finale di Europa League. Al secondo anno le cose andranno peggio, con un terzo posto in campionato e un’eliminazione agli ottavi di Champions League contro il Benfica, sulla carta un avversario inferiore. La persistente instabilità di Villas-Boas lo turba anche in Russia, nonostante tutto sommato sia riuscito a riacquistare quella credibiltà che il clima londinese gli aveva sottratto. Deciderà di non rinnovare il contratto per provare nuove esperienze, decidendo di restare lontano dal calcio europeo, il quale sembra aver smesso di provare a comprenderlo.

Shanghai-Parigi-Dakar
Il calcio cinese si affaccia alle porte di quello europeo con capitale spropositato da investire, l’arroganza e la superiorità economica con cui vengono imbastite trattative con calciatori e allenatori comincia a preoccupare il centro del mondo calcistico. Quale migliore occasione per sondare il terreno da pioniere rivoluzionario per Villas-Boas? Shanghai lo corteggia, André si lascia sedurre e strappa un contratto da 13 milioni di euro annui allo Shanghai Sipg. Il quarto allenatore più pagato del mondo, appena dietro a manager del calibro di Muorinho e Wenger. Dopo aver allenato Bart Simpson, il portoghese ritrova Hulk, il calciatore, già allenato allo Zenit.
Nonostante la meta esotica, ed un calcio distante dai riflettori accecanti del panoarama europeo, il suo atteggiamento in Cina è visibilmente scontruoso. Le sue idee, i suoi schemi, sembrano fuori portata per la maggior parte dei calciatori nella rosa, quasi interamente composta da calciatori cinesi. André Villas-Boas siederà sulla panchina dello Shanghai Sipg appena un anno, ingaggiando una rivalità più politica che calcistica con il Ghangzou Evergrande di Felipe Scolari, una delle pretendenti al titolo, nonchè ex squadra di Marcello Lippi. Il livello di frustrazione accumulato per un campionato ancora di basso livello è percepibile, considerando che i due brasiliani Hulk e Oscar, provenienti dal calcio europeo, saranno protagonisti più volte di comportamenti rivedibili.
Lo scorso giugno, il brasiliano Oscar ha innescato una rissa calciando il pallone addosso a due avversari del Ghangzou R&F. Invece di distendere il clima, Hulk e Villas-Boas hanno preso le sue difese attraverso i social facendo infuriare la federazione cinese.
Da lì in poi si instaurerà una guerra personale fra Villas-Boas e i suoi due scagnozzi, contro l’intera Chinese Super League, a colpi di polemiche arbitrali e gridi di complotto. Soltanto tre mesi più tardi il portoghese accuserà la federazione, a seguito della qualificazione alla semifinale di Champions League asiatica, tanto per cambiare contro i rivali del Ghangzou Evergrande. A dire il vero quanto è accaduto è tuttora un giallo irrisolto: una serie di incidenti, a detta di Villas-Boas causati dalle stesse due macchine, hanno fatto ritardare l’arrivo della squadra allo stadio.
Sembrerebbe che un solo club dovrebbe dominare il calcio asiatico, usando qualsiasi mezzo per riuscirci.
Quest’ultimo duro attacco dello Special two ai vertici del calcio cinese, segnerà di fatto l’inizio della fine della sua avventura in Oriente. Due settimane dopo le sue dichiarazioni, il portoghese finirà il campionato anzitempo dopo aver inveito contro l’arbitro in un match, vinto per altro, contro il Beijing Guoan. Squalifica di otto giornate e un livello di rancore e rabbia accumulata piuttosto elevato.
Il suo modo di dire addio allo Shanghai Sipg: un post a sfondo nero su Instagram
In pochi nel mondo del calcio hanno l’innata di capacità di non risultare mai banali, indipendentemente dalla simpatia o meno che si può nutrire per il personaggio. Andrè Villas-Boas rientra in questa categoria ristretta, una personalità sopra le righe, talvolta mostrata in modo eccessivo ed inopportuno. Intellettuale e dissidente, un rivoluzionario annoiato e facilmente incline a una certa insoddisfazione personale. Innamorato del gioco, ma totalmente estraneo al contesto.