Ci sono storie che meritano di essere narrate e ascoltate. Ci sono film che vale la pena girare e gustarsi. Ci sono libri che hanno il sacrosanto diritto di essere scritti e letti. Ci sono partite da giocare e da godersi, per 90 minuti di pura gioia per chi ama il mondo del pallone. Sevilla – Real rientra a pieno merito in questa cerchia di opere illustri.
Sevilla, capoluogo dell’Andalucia nonché punto di riferimento di tutta la Spagna meridionale: qui nacque, nel lontano gennaio del 1890, il Sevilla Futbol Club. I Rojiblancos hanno sempre mantenuto nella propria storia una nomea di squadra ostica, capace di non perdere mai la calma e la concentrazione, in linea con il motto della città. Nel comune andaluso infatti il mantra della gente è NO8DO, che si legge NO – MADEJA – DO, espressione fonetica che in italiano significa “Non mi ha abbandonato”. Un rebus, come quelli che si trovano nella “Settimana Engmistica”, come quelli che si trovano ad affrontare sul campo gli avversari della squadra di Sampaoli.
Poco più su, nel territorio come in classifica troviamo Madrid. La capitale, città spagnola più visitata, è impreziosita da luoghi dall’alto valore culturale e simbolico (Plaza Mayor e il Museo del Prado, solo per citarne un paio), nella stessa misura in cui la formazione del Real è ricca di giocatori dal talento inestimabile.
Sevilla – Real, uno scontro al vertice inaspettato per chi ama giudicare un libro dalla copertina, per chi vive il calcio secondo il blasone. Perché se il primo posto dei Blancos non è una sorpresa, la seconda piazza con cui gli andalusi si affacciano a questo 2017 non era facilmente preventivabile.
Il Sevilla si tiene alle spalle Barça e Atletico, nell’anno (almeno sulla carta) della rifondazione. Via Emery ,troppo ghiotta l’offerta del PSG; al suo posto arriva Jorge Sampaoli, capace di trionfare in Copa America con il Cile due anni di fila. Il cambio è radicale: dal gioco concreto, fatto di possesso palla ma soprattutto di tante ripartenze del tecnico tre volte vincitore dell’Europa League (primato che detiene insieme con Giovanni Trapattoni nella versione “Coppa UEFA), si passa a quello dell’allenatore argentino, amante del gioco in verticale, del giro palla a volte quasi presuntuoso e ridondante, fino a che le difese non si aprono infilate come il burro dai Ben Yedder-Vietto di turno. Sampaoli inoltre da un’importanza maniacale al pressing, a volte quasi forcing, ed ha plasmato un equipo che sa muoversi in campo come una fisarmonica, mantenendo bene le distanze tra i reparti e bilanciando lo squilibrio offensivo di un modulo spregiudicato fatto di interpreti poco difensivi.
Il tecnico argentino è schiavo e portavoce delle sue origini e della sua carriera, da calciatore prima (conclusa ad appena 19 anni per una rottura della tibia) e da allenatore poi, spesa totalmente in Sudamerica. Alla prima esperienza europea, sta dimostrando come il suo calcio possa (con)vincere in un campionato difficile come la Liga. Per permettergli di mettere in scena il copione del gioco elegante ma prolifico la società non ha mancato di mettere a disposizione al tecnico di Casalda i migliori interpreti: Ganso, Vazquez, Ben Yedder, Vietto, Correa, in ultima istanza Jovetic, senza dimenticarsi di Nasri. Tutti giocatori che con il pallone fanno quello che vogliono. Un sovraffollamento di piedi dolci tale da mandare i tifosi in iperglicemia calcistica.
Dall’altra parte, Zinedine Zidane e il suo Real Madrid. Il tecnico francese ha saputo modellare la squadra a sua immagine e somiglianza, portandola al trionfo in Europa al primo tentativo nell’annata precedente. Tecnico e concreto, elegante ma cinico, Zidane è stato un giocatore completo, e da allenatore si sta rivelando abile a tramandare i segreti del suo successo: il francese desidera che questo mix si conservi e si rinnovi allo stesso tempo, sempre nella sua Madrid, sempre per quei blancos che forse non avranno più il gioco dei ‘galacticos’, ma ne emulano insaziabilmente gesta e numeri.
Lo scontro si prospetta serrato, imprevedibile, e soprattutto, imperdibile. È la sfida tra mentalità diverse, tra stili di gioco agli antipodi, e tra allenatori dalle biografie totalmente differenti. Come spesso accade per gli eventi di portata, vi è stata un’anticipazione, un assaggio. Giovedì in Copa del Rey per il ritorno degli ottavi di finale, il risultato di 3-0 al Bernabeu sapeva di condanna per gli uomini di Sampaoli, che hanno comunque tenuto alta la concentrazione. Il 3-3 finale, se da una parte sancisce il passaggio del turno del real, dall’altra mostra come questo match possa regalare sensazioni indescrivibili.
Emozioni che nascono da diversi duelli, vere chiavi di (s)volta del match. Come quello tra i maestri della tecnica, Isco da una parte e Nasri dall’altra: il primo in cerca di conferme, il secondo di riscatto, entrambi hanno bisogno di costanza per essere punti inamovibili delle proprie squadre.
Voglia di rivincita che accomuna e contrappone anche Benzema e Ben Yedder. Il centravanti delle Merengues deve riprendersi da un periodo tutt’altro che indimenticabile (anche causa infortunio), Ben Yedder dopo mesi di difficile adattamento sembra aver trovato la sua dimensione nel calcio spagnolo, e vuole che il 2017 sia l’anno del Sevilla, grazie ai suoi gol.
P.s.: ne ha fatti solo tre all’Anoeta.
Nonostante questi diversi punti nevralgici, Sevilla – Real ha il suo luogo di supremazia a centrocampo. Qui le macchine di Sampaoli e Zidane hanno i propri motori. Giocatori come N’zonzi e Vazquez da un lato, Kroos e Casemiro dall’altro, sono il braccio e la mente di queste due squadre. E a giudicare dai risultati ottenuti, dal gioco espresso, la sintonia è ai limiti della perfezione.
E Ronaldo?
Non ci siamo dimenticati di lui. Semplicemente non esiste nessuno che può duellare con lui: o decide di salire in cattedra e cambiare le sorti dell’incontro, o il match rischia di rivelarsi ancora più intrigante, equilibrato e spettacolare.
Ci sono partite di cui bisogna godersi ogni singolo attimo. E quella di domenica sera è la regina di queste partite.