Secondo nella classifica del pallone d’Oro africano dietro al compagno di squadra Mohamed Salah (autore della stagione della consacrazione con 44 reti in 52 partite), senza l’egiziano sarebbe l’assoluto punto di riferimento del Liverpool. Sadio Mané sembra aver fatto il definitivo salto di qualità, aggiungendo a una dimensione tecnico e atletica già devastante, un’eccezioale costanza sotto porta mai davvero mostrato nelle sue esperienze passate. Una maturità psico-fisica che lo hanno portato a diventare un fattore insostituibile per il tecnico Jürgen Klopp, il tutto tradotto negli attuali numeri: venti reti in campionato (a meno tre dal proprio record dei tempi del Salisburgo) e quattro in Champions League.
Génération Foot
10 aprile 1992, Bambali. È in un villaggio del Senegal meridionale che la parabola di Sadio Mané prende forma; una dimensione di assoluta povertà, un destino che sembrerebbe scritto e invece nel 2008 accade qualcosa. La Génération Foot di Dakar – uno dei bacini di talento più floridi dell’Africa Occidentale – nota quel ragazzino tanto tecnico quanto spaventosamente atletico:
«Tutti mi dicevano che ero il migliore in città, ma la mia famiglia non vedeva di buon grado il calcio. Loro sono molto devoti e probabilmente desideravano qualcosa di diverso per me, ma quando hanno capito che nella mia testa c’era solo il calcio mi hanno dato il via libera per andare a Dakar»
Le resistenze della famiglia vengono vinte. Sadio Mané ancora non lo sa ma è il primo tassello del percorso: “Lasciai la mia città per andare nella capitale a fare un provino con mio zio. Lì c’era un uomo anziano che mi guardava come se fossi nel posto sbagliato. Mi chiese: sei qui per il provino? E io risposi di sì”. Le scarpe sono consumate e rotte ma il talento di Sadio Mané lo trasporta oltre certi impedimenti. Per gli osservatori è uno shock: “Ti ingaggio subito”.
Un anno dopo Sadio Mané è già al Metz (con cui la Génération Foot vanta un partenariato esclusivo). Dalle strade polverose all’Europa. La storia del senegalese è già ispirazione.
Dalla Francia all’Austria
Tanto shock, tante aspettative. Eppure, come spesso accade, il primo impatto con una dimensione del gioco superiore è complicato e la prima stagione di Sadio Mané come professionista in Francia – in Ligue 2 nella stagione 2011/12 – termina come peggio non potrebbe; ventidue partite e tre reti, sono questi i miseri numeri del senegalese, afflitto dai postumi della pubalgia. Come se non bastasse il Metz, per la prima volta nella sua storia, retrocede nel National, la terza serie del calcio francese. Eppure da qualche parte la classe ancora inespressa di Sadio Mané viene a galla; da Salisburgo fiutano la grande occasione. Mané passa alla squadra della Red Bull per quattro milioni di euro, voluto fortemente dal Ds Gerard Houllier, una cifra importante considerando l’annata del senegalese e della squadra francese. In pratica, un clamoroso affare.
A Salisburgo, Sadio Mané rivela una l’esplosività straordinaria, associata a un controllo di palla, anche ad alta velocità, rara. Nel 4-2-2-2 del tecnico tedesco Schmidt, Mané esplode: 45 reti in 87 partite, una ogni due partite, in appena due anni di Austria. Numeri che cominciano ad attirare le attenzione del grandi squadre europee, sopratutto perché il Salisburgo è una squadra che incanta, anche in Europa. Come nel match di sedicesimi di finale di Europa League 2013/2014 contro l’Ajax. Finte, accelerazioni, contropiede, gol. È la presentazione ufficiale in Europa, è anche il preludio dell’addio.
La tripletta
È il 16 maggio 2015, Southampton – Aston Villa 6-1. Tra il 13° e il 16° del primo tempo Sadio Mané decide di alzare ulteriormente il livello; in 2 minuti e 56 secondi – per la precisione – il senegalese entra nella storia della Premier League, realizzando la tripletta più veloce nella storia della competizione più fascinosa e seguita nel globo. Sbriciolato il record assoluto di Robbie Fowler, che resisteva dalla 1994-1995, quando l’attaccante inglese si abbatté sull’Arsenal con la maglia del Liverpool. Quello stesso Liverpool che lo osserva nei due anni passati con i Saints, entrambe terminate con la doppia cifra, tanta classe, sopratutto, una consapevolezza nuova dei propri mezzi.
Sadio Mané come Dennis Rodman
Trenta milioni di sterline, è questa la cifra con cui Sadio Mané arriva alla corte di Jurgen Klopp. Un incontro già sfiorato anni fa quando il tedesco allenava il Borussia Dortmund e che schiude una nuova visione calcistico per il senegalese; in definitiva il Klopp rappresenta per Sadio Mané quello che Phil Jackson ha rappresentato per Dennis Rodma, l’amore tecnico della sua carriera.
Arrivato da giocatore sostanzialmente completo, Mané sperimenta altri livelli atletici e tecnici, rendono ancora più estremi quelli standard offensivi e d’aggressività già assaggiati a Salisburgo; talento e rapidità certo ma, sopratutto duttilità e capacità di ricoprire ogni ruolo dell’attacco, in Salah e Firmino ha trovato i compagni d’avventura ideali, con cui forma uno dei tridenti più spettacolari e prolifici d’Europa. Inesplorate capacità che lo hanno decretato come centro gravitazionale dei Reds, acquistando una caratura di responsabilità mai indossata nelle sue precedenti avventure
«Non deve convincere la gente ora. Sappiamo tutti che è un giocatore di livello mondiale, e ha iniziato a rendersene conto da solo» Jurgen Klopp
Una diverse consapevolezza che ha influenzato il suo modo di stare in campo, cambiandone per certi versi l’attitudine che si è fatta più concreta; frenare l’istinto naturale per il dribbling per diventare maggiormente concreto sotto porta. Meno numeri fine a se stessi per renderli mai casuali ma sempre finalizzati a un’utilità. Con Jurgen Klopp il senegalese ha completato quel percorso calcistico, iniziando tra le strade soleggiate e sconnesse del Senegal, con l’acquisizione di una grande capacità d’adattamento e flessibilità per la squadra, due caratteristiche nate nella stagione 2017/2018. Se da un lato la scorsa annata l’exploit di Salah ha penalizzato e deresponsabilizzato Mané in fatto di realizzazioni, dall’altro ha permesso al senegalese di ampliare il suo raggio d’azione. Adesso il suo territorio è diventato l’intero arco offensivo dei Reds.
Zinedine Zidane lo ha già messo nella lista per il suo Real Madrid; chissà, che un eventuale trasferimento potrebbe arricchire la carriera di un giocatore che tale non doveva nemmeno diventare, ma gli toglierebbe quello Jurgen Klopp che più di ogni altro lo ha saputo prendere. E lo priverebbe di un ambiente capace come pochi altri di saper esaltare uno spirito puro come quello di Sadio Mané.
Prima di qualsiasi ragionamento però ci sono alcune questioni da sistemare: la Coppa d’Africa, senz’altro. Tutto il Senegal lo sta aspettando, tutta una nazione vuole la rivincita del proprio giocatore simbolo, dopo il rigore sbagliato nel match contro il Camerun del 2017 che decretò eliminazione ai quarti di finale dei Leoni.
Ma soprattutto, un bicameralismo Premier League-Champions che rischia seriamente di trasformarsi in una debacle, in una beffa che il Liverpool non meriterebbe; per questo, la sconfitta contro il Barcellona pesa tantissimo. Pesa per com’è maturata, per quel numero 10 che ha deciso di piazzare in rapida sequenza il suo 599 e 600° gol in Blaugrana, una punizione che non ha bisogno di aggettivi.
Forse non sarebbe cambiato nulla, forse sì; non sapremo mai la risposta. Eppure Mané conferma il suo più grande difetto, ovvero la grande quantità di occasioni sprecate. Ne capitalizza tante, ma ne spreca altrettante, quasi come se fosse psicosomaticamente attratto dallo spreco; strano da spiegare, come il calcio.
D’altronde Mané sa creare, ma anche distruggere.