Rappresenta probabilmente il più illustre esponente della clase obrera del futbol iberico. Non ha profili sui social network, e già solo per questo rappresenta una mosca bianca. Non è bello, non ha classe, eppure è amatissimo da tutti i tifosi delle squadre in cui ha giocato. La sua carriera non è mai stata facile, ha sempre dovuto guadagnarsi ogni singolo secondo sul rettangolo verde, eppure si è tolto le sue soddisfazioni. L’ultima? Basta tornare a qualche giorno fa, in cui ha messo a segno un autentico golazo, un missile terra-aria che ha permesso all’Athletic Bilbao di guadagnare i primi tre punti di questa Liga espugnando un campo sempre ostico come il Riazór.
Stiamo parlando ovviamente di Raúl García, professione operaio del calcio con licenza di pennellate d’autore e gol pesanti come macigni.

Eppure raggiungere l’affermazione ad alto livello non è stato semplice. C’è stato un momento in cui la carriera di Rulo pareva in parabola discendente: male, molto male, se non hai nemmeno 25 anni e se qualche anno prima eri conteso da mezza Spagna. Sì, perché il ventunenne Raúl García si era fatto notare nella squadra della città dove era nato e dove aveva dato i primi calci a un pallone: la città è Pamplona e il club è, l’avrete capito, l’Osasuna.
Real Madrid, Valencia, Atletico Madrid: tutti vogliono questo giovane centrocampista col vizietto del gol (ben nove in due stagioni), che ha contribuito allo strepitoso quarto posto del club navarro nella stagione 2005/2006 e all’altrettanto strepitoso cammino in Coppa Uefa della stagione successiva, in cui solo il Siviglia impedì all’Osasuna di raggiungere una clamorosa finale.

Ma ignorare le offerte arrivate è pressoché impossibile, e Rulo decide di seguire Aguirre: si va a Madrid, sponda Atletico. Fa effetto a pensarci con il senno del poi, ma la sua storia con i Colchoneros non è stata sempre idilliaca: ci sono stati momenti difficili dovuti anche ad una ambiguità tattica che ne ha reso spesso difficile la collocazione in campo. Arrivano comunque la vittoria in Coppa Uefa in finale contro il Fulham e la Supercoppa Europea contro l’Inter post-triplete, ma dopo cinque stagioni Rulo sembra aver smarrito la retta via. C’è bisogno di un cambiamento per ritrovare se stesso, e a volte tornare da dove si è partiti rappresenta il cambiamento più grande: si torna a Pamplona, in prestito stavolta.
L’aria di casa fa bene, anzi benissimo a Raúl García: i gol sono ben undici, arriva un ottimo settimo posto finale e il pieno recupero soprattutto psicologico del giocatore che, durante il ritiro estivo a Madrid, riesce a convincere Diego Pablo Simeone a contare su di lui. L’ambiguità tattica non sarà mai più un handicap ma diventerà duttilità, tanto che si consacrerà come dodicesimo uomo: spesso sarà colui che, entrando dalla panchina, dovrà togliere le castagne dal fuoco.
Ruolo che gli calzerà a pennello nella storica stagione 2013-2014 in cui, partendo spesso dalla panchina, metterà a segno ben 9 reti in Liga (e 17 totali), alcune delle quali fondamentali per la vittoria di un campionato che in riva al Manzanares mancava da quasi 20 anni. Tanti gol, mai banali e quasi sempre decisivi. Ma i numeri, a volte, non spiegano tutto: l’atteggiamento, la garra, l’attaccamento alla maglia lo convertono in uno dei simboli del Cholismo. Il Calderón è letteralmente ai suoi piedi, i fischi di qualche anno prima sono solo un lontano ricordo e sono diventati adesso applausi scroscianti.

Superata la delusione della finale di Lisbona, la stagione successiva sarà l’ultima di Raúl García che non vuole più essere solo una delle tante alternative nel centrocampo colchonero, uno che entra per spaccare le partite. Dopo tanti anni vuole essere un titolare indiscutibile e decide di abbandonare la capitale lasciando indietro grandi ricordi, lacrime e la convinzione tra i tifosi colchoneros di aver perso uno “vecchio stampo”, uno che onora la maglia costi quel che costi. Uno che non capita sempre di veder giocare con la propria squadra. La conferenza stampa di addio è struggente, ci sono tutti i giocatori con cui ha condiviso stagioni piene di vittorie, trionfi, gioie ma anche cocenti delusioni e sconfitte dolorose.
Il cuore continua a battere per l’Atletico Madrid (come ha dimostrato con la lettera scritta prima della finale di Milano), ma adesso i colori rojiblancos che difende sono quelli dell’Athletic Bilbao, di cui è diventato uno dei leader emotivi e tecnici fin dal suo arrivo. Il modo di giocare non è cambiato: garra, cuore e muscoli, senza disdegnare qualche lampo di genio come quello che domenica ha squarciato il cielo del Riazór.
Già, a proposito, il cuore, quello che quest’estate aveva dato segni di malfunzionamento: lo spavento è stato grande, ma nulla di più. Questo operaio del calcio è tornato subito in campo, pronto a dare battaglia su i campi di tutta Europa, voglioso più che mai di regalare un trofeo importante ai tifosi baschi che lo hanno accolto alla grande.
Forse non sarà un tipo da prime pagine dei giornali, forse non sarà fotogenico né social ma a noi, amanti del calcio di una volta, piace così com’è.