La Fiorentina è sprofondata

Sono passati 18 anni dal momento più basso della Fiorentina. Era l’estate del 2001, e si passò in un lampo da Batistuta, Rui Costa e Toldo, alla retrocessione. A distanza di anni, i viola sembrano in balia di un secondo blackout generale, triste epilogo di un’intera stagione sotto aspettative decisamente più rosee; pensare che la Viola non sia ancora matematicamente salva inquadra perfettamente un’annata che non ha bisogno di ulteriori aggettivi.

Antecedente

In realtà, le deludenti prestazioni della Fiorentina vivono direttamente del lascito di un mercato dubbio, fondato su un criterio abbastanza incomprensibile. Ciò va specificato, affinché vi sia un’osservazione dei fatti distante dalle conseguenze psicologiche della vicenda Astori, per cui rispetto è bene soffermarsi prettamente sul campo. Il progetto disegnato da Pantaleo Corvino era lo stesso da quando il direttore sportivo si trova in Toscana, ossia quello di scovare il talento di turno per poi rivenderlo in breve termine. Tale ragionamento aveva già dimostrato le proprie lacune, tant’è che la società ha iniziato a cedere profili ormai fondamentali al club, come Borja Valero e Bernardeschi. Il passaggio di Badelj alla Lazio, tra i migliori mediani dell’annata trascorsa, rendeva fede al metodo, così come gli ingaggi di scoperte e giocatori quasi finiti. Esempi lampanti, da un lato il navigato Mirallas che veniva dal campionato greco, la cui condizione fisica restava precaria sin dall’epoca Everton, mentre dall’altro Edmilson Fernandes, talentino del West Ham che avrebbe dovuto rinfrescare, con Gerson, il centrocampo. Due prospettive dall’indole tutt’altro che difensiva, posti in mediana per rimpiazzare il tattico croato. Questa scelta errata sta alla base dell’assenza di gioco vistasi in campionato, una linea mediana scomposta dove il dinamismo degli altalenanti Benassi e Veretout crea vuoti incolmabili a metà campo. La forzata idea offensiva non ha trovato geometrie, complice il tridente offensivo orfano del gol. La caparbietà di Chiesa si è rivelata subito solitaria rispetto alla scomparsa totale di Pjaca e l’illusionismo di Simeone, inteso come abilità nello scomparire e riapparire di tanto in tanto.

Marko Pjaca, che flop | Numerosette magazine
L’ultimo reperto stagionale del desaparecido Marko Pjaca.

Senza punti di riferimento

Il Cholito è una punta di movimento, dedita anche al rientro e al sacrificio, eppure sulla rendita realizzativa ha sempre destato preoccupazioni; nelle prime battute di Serie A tutti i dubbi parevano sepolti, risaltando una spavalderia notevole, evidenziata nelle goleade a Chievo e SPAL. L’intuizione Milenkovic targata Stefano Pioli risultava efficace, all’occorrenza anche terzino, il grosso difensore pareva davvero potersi consacrare gara dopo gara affiancato dalla diligenza di Pezzella. Ma se da febbraio ad aprile la Fiorentina ha subito almeno un gol a partita, un motivo ci sarà. La formazione è diventata in sostanza dipendente da un classe ’99, vale a dire Alban Lafont.

Lafont | Numerosette magazine
Il portierino Lafont sarà stato venerato come un santo, alle volte.

Il portiere ex Tolosa ha saputo mettere in mostra pregi e difetti di una spregiudicatezza che rispecchia perfettamente questa Fiorentina, dai miracoli con il Napoli agli errori con il Chievo, troppo altalenante per conferire sicurezza a un reparto frastagliato e incerto. La retroguardia ha pagato il particolare concetto di laterali che vige al Franchi. Con un mancino di spinta quale Biraghi, l’opzione Laurini è stata difatti deleteria, togliendo ogni barlume di sicurezza all’undici titolare. Tanto cuore ma poca sostanza, idee e disorganizzazione, aspetti diversi che paradossalmente sono coesi fino all’esasperazione collettiva; numericamente parlando, le difficoltà della Fiorentina sono riassumibili nei 47 gol fatti in totale, giusto uno in più dell’Empoli, terzultimo. L’arrivo di Muriel certo ha scosso la sonnecchiosa monotonia che affliggeva l’ambiente; anche il colombiano poi è accorso verso la deriva dell’intermittenza, regalando magie quali il rocambolesco 3-3 contro l’Inter e semplicemente osservando la tragica sconfitta per mano del Frosinone. Se volessimo indicare un momento spartiacque nel disastroso girone di ritorno della Fiorentina, sicuramente sarebbe proprio la sfida del 7 aprile scorso; con il club ancora in corsa per l’Europa, sono venute a mancare le energie mentali utili ad agguantare una vittoria sulla carta semplice, creando una crisi identitaria. Nessuna guida, troppe responsabilità da sostenere e obiettivi stagionali inequivocabilmente mancati, persino per un duro come Stefano Pioli si era toccato il fondo.

Una squadra in cerca d’autore

Le dimissioni del tecnico hanno gettato il panico sulla Firenze calcistica, alla disperata di cerca di un condottiero almeno sino alla fine del torneo. Ed ecco una seconda svista societaria, quella di puntare su un tecnico fresco d’esonero, Vincenzo Montella.

Montella è l'emblema di questa Fiorentina | Numerosette magazine
La pioggia non ha mai smesso di accompagnare Montella nel suo ritorno fiorentino.

L’aeroplanino aveva lasciato ricordi felici da quelle parti, con ottimi piazzamenti raggiunti nel triennio 2012-15, ma dall’esperienza milanese il futuro di Montella aveva assunto fattezze straniere, distanti dall’Italia. Puntare di nuovo su di lui era rischioso, soprattutto in una situazione bisognosa di certezze e non di probabilità. Montella ha lasciato invariati anche gli aspetti negativi su cui sarebbe stato chiamato a intervenire, inanellando una serie negativa difficilmente comparabile con la storia recente del giglio. L’ultima vittoria fiorentina risale ormai al 17 febbraio, con il poker rifilato agli estensi, ma la sontuosa prestazione di Ferrara non si è ancora neanche lontanamente ripetuta. È da quella 24esima giornata che i toscani hanno smarrito il rapporto coi tre punti, da lì 6 pareggi e 7 sconfitte, volendo escludere l’eliminazione dalla Coppa Italia causata dall’Atalanta. Tentando di spezzare un’ascia a favore della Fiorentina, ossia evitando di considerare gli scontri con le grandi tra cui Lazio, Roma, Juve, Milan e la stessa Dea, le grandi preoccupazioni giungono dalle prestazioni con le compagini di media-bassa classifica. Mancare il risultato favorevole contro squadre prive di pretese a questo punto, quali Bologna e Sassuolo, sottolinea l’assoluta demotivazione che colpisce anche i cosiddetti leader tecnici. Resta ignoto il nome di chi debba trascinare la squadra sul terreno di gioco, addirittura l’allenatore sta ricorrendo all’utilizzo di calciatori della Primavera come Vlahovic e Tofol Montiel, alla disperata ricerca di uno sprono per i suoi, o magari di un magico amuleto. Lo scossone vero e proprio ha colpito nell’orgoglio i fiorentini sabato sera, nel preciso istante della rete di Calhanoglu; con lo scorrere dell’incontro, sicuramente qualche tifoso avrà consultato lo smartphone, notando che la Viola sta rischiando sul serio. Se n’è reso conto pure Federico Chiesa, tanti come lui avranno pensato che l’entusiasmo empolese potrebbe giocare un bruttissimo scherzo alla Fiorentina, quindi costretta a un rush finale in casa del Parma, per poi sperare di terminare questo brutto sogno o tranquillamente al Franchi contro il Genoa.

La Fiorentina ha 180 minuti per risvegliarsi dall’incubo della retrocessione, tanti quanti quelli a disposizione delle dirette avversarie che affronterà nelle giornate conclusive. Se per esser di Firenze vanto e gloria, lo si vedrà adesso.

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