7 portieri che giocano solo ai Mondiali

Esistono delle figure mitologiche delle quali raramente si sente parlare.
Queste hanno una sola capacità, quella di risorgere per un mese ogni quattro anni, per poi spegnersi immancabilmente di nuovo. Non hanno nemmeno particolari forme, semplicemente si limitano ad indossare un paio di guantoni e una divisa di qualche nazionale, possibilmente bizzarra.
Esistono infatti dei portieri fenice che sembra non abbiano mai giocato in un club nella loro vita, semplicemente vengono rispolverati dall’armadio ogni 4 anni per difendere la porta della loro nazione durante i campionati del mondo.
Molti di loro sono saltati spesso agli onori delle cronache per eclatanti prestazioni con la maglia del proprio paese, ma non sono poi riusciti a confermarsi anche con le rispettive squadre, ergendosi a figure di culto per la loro bipolarità. Altri invece hanno semplicemente giocato per mancanza di alternative, non essendo loro stessi dei fenomeni.

Benché molti dicano che nell’epoca del villaggio globale queste storie non esistano più, abbiamo spulciato le rose delle edizioni recenti dei Mondiali, e abbiamo individuato sette di questi portieri-fenice.

1. Eiji Kawashima

Kawashima è l’unico asiatico tra i portieri selezionati.
La sua presenza è dettata sia dal fatto che, dopo Benjamin Price, il Giappone non ha più prodotto grandi portieri, sia dalla costanza con cui i nipponici si qualificano al Mondiale.
Il 35enne Eiji è al comando della difesa della formazione del paese Sol Levante per il terzo campionato del mondo consecutivo.
Con la sua Nazionale ha vinto anche l’unico trofeo della carriera, la Coppa d’Asia del 2011, venendo, tra l’altro, nominato man of the match della finale.
Sì, perché, pur non essendo un fenomeno, Kawashima è tutt’altro che un cattivo portiere, ma sembra non essersene accorto nessuno, al di fuori dei vari CT del Giappone.
A livello di club, la sua parentesi più felice è stata allo Standard Liegi dove, tra il 2012 e il 2015, ha giocato più volte come titolare, pur non ottenendo grandi risultati.
In Belgio ci era arrivato nel 2010, al Lierse, formazione in cui ha disputato l’unica gara della storia interrotta per un episodio di razzismo verso un giapponese, lui ovviamente.
Nell’ambito della mitologia del portiere fenice, Kawashima rappresenta un caposaldo, un modello a cui ispirarsi, soprattutto se si è nati in una nazione senza una straordinaria tradizione calcistica.
Tra Lierse, Standard Liegi, Dundee United e Metz, dubitiamo che un commissario tecnico nipponico abbiamo guardato anche un solo minuto di una sua partita, eppure lui è sempre lì, titolare fisso, primo nome nella lettura della squadra.

E quando cerca di convincere l’arbitro che la palla non è entrata, nonostante la Goal Line Technology ci piace ancora di più.

2. Vincent Enyeama

Enyeama rappresenta, nella nostra narrazione, un atipico portiere africano ai Mondiali. Infatti, al contrario di molti suoi colleghi continentali, ha sempre dimostrato di essere un buon portiere, capace di limitare gli errori e di fornire grandi prestazioni.
Come per il caso di Kawashima, la sua resurrezione è dettata dal fatto che, per buona parte della sua carriera è rimasto alla periferia del calcio, venendo rispolverato solo per la coppa del Mondo.
La Nigeria si è affidata a lui sia in Sudafrica che in Brasile, con risultati molto simili: 0 vittorie, sconfitta con l’Argentina e uscita al primo turno.
Probabilmente, il CT Rohr, vista la ricorrenza della sfida contro l’Albiceleste nel gironcino, avrà pensato che non convocarlo in Russia fosse la scelta scaramantica migliore. Che dire, a giudicare dall’esordio con la Croazia, poteva fare scelte migliori.
Enyeama, nella sua atipicità, ha tutto quello che vogliamo da un portiere che gioca solo un mese ogni 4 anni: potenziale mai espresso, eccentricità, simpatia e gli piace esultare abbracciando gli arbitri.
Il fatto poi che, al di fuori della Nazionale, sia stato fino a 29 anni in Israele, per poi passare al Lille, accompagnando la squadra dal tetto di Francia fin quasi al collasso economico e alla retrocessione, gli dona una sorta di aura di portasfiga di cui difficilmente non ci innamoriamo.

3. Boubacar Barry

Boubacar Barry è una figura mitologica a sé stante.
Sebbene, non sia il più forte, né il più presente ai Mondiali del gruppo, è un portiere che merita un posto nel cuore di ogni appassionato di calcio.
Ha fatto parte della rosa della Costa d’Avorio sia nel 2006, che nel 2010, che nel 2014, mentre a livello di club si è stabilito in Belgio, dove gioca dal 2003.
In questo caso il concetto di fenice ha una valenza doppia. Se infatti ci siamo stupiti nel vederlo ad ogni Mondiale, pensando sempre che avesse appeso i guantoni al chiodo da un pezzo, non possiamo che meravigliarci del fatto che sia la resurrezione calcistica di Tupac Shakur.
Copa – questo il nome con cui è conosciuto dal grande pubblico – rappresenta la storia calcistica della Costa d’Avorio, avendo partecipato a tutte le edizioni del Mondiale a cui i suoi si sono qualificati.
E sebbene il suo nome per noi non sia familiare quanto quello di Drogba o Yaya Touré, lui ha scritto la storia quanto, se non più, di loro.
È infatti stato il protagonista dell’unico successo della generazione d’oro ivoriana, la Coppa d’Africa del 2015. Copa Barry si rese protagonista del torneo, non subendo nemmeno un gol e soprattutto parando 3 rigori al Ghana in finale, con tanto di penalty decisivo trasformato.
È probabile che, per qualche giorno, nel suo Paese sia stato amato più di Drogba.

4. Guillermo Ochoa

Esattamente in mezzo.
Non è un caso, Guillermo ‘Memo‘ Ochoa è la pietra angolare di questa razza mitologica di portieri.
Il classe ’85 è un portiere fenomenale, capace di acrobazie incredibili, peccato se lo ricordi solo quando indossa i colori del suo amato Messico.
Sembra un po’ come se, senza quella casacca, perdesse buona parte dei suoi superpoteri, regredendo allo stadio di normalissimo portiere.
Insomma, Ochoa è un onesto mestierante del ruolo, che però ogni quattro anni si ricorda di poter volare e allora per un mese si trasforma in una saracinesca, per poi tornare come prima.
Tra tutte, Ochoa è la fenice più bella, quella più luminosa e splendente, resa immortale dal fatto che sia destinata a durare sempre poco dopo una rinascita.
È uno stranissimo caso di giocatore, e portiere, che sa prendersi la scena senza usare ciò per un proprio tornaconto. Non a caso in Europa, fino allo scorso anno, ha sempre giocato per formazioni che lottavano per la salvezza e non ha mai entusiasmato, se non saltuariamente, come quando indossa la gloriosa camiseta mexicana.
Nonostante questo, le sue collezioni di parate sono entusiasmanti, peccato solo che per vederle dal vivo bisogni aspettare sempre quattro anni.

5. Stipe Pletikosa

Del lotto è forse quello che ha disputato la carriera migliore.
Con la Croazia ha giocato in 3 campionati del Mondo tra il 2002 e il 2014, tutti da titolare, saltando solo quelli 2010 per la mancata qualificazione dei suoi.
Lui è il più diverso tra tutti, per un motivo molto semplice.
L’esistenza degli altri citati, fuori dal Mondiale, veniva totalmente dimenticata, come se nemmeno esistessero.
Pletikosa invece sapevi che c’era, magari lo avevi anche visto in qualche sporadica apparizione nelle coppe europee. Eppure, vedendolo con un club, tendevi ad ignorarlo, a non considerarlo minimamente.
Poi, puntualmente, ogni 4 anni te lo trovavi lì a difendere la porta della Croazia e allora ti ricordavi anche di amarlo, e magari di comprarlo alle edizioni iridate del fantacalcio.
Nella mitologia del portiere fenice, Pletikosa rappresenta una figura diversa interessante, non bella come altre ma con caratteristiche da studiare.
Stiamo pur sempre parlando di uno slavo che ha giocato buona parte della carriera nell’Est Europa, qualcosa di bello da raccontare deve averlo per forza.

6. Richard Kingson

Forse il portiere a cui siamo più affezionati. Se vi steste chiedendo chi fosse e perché, basterebbe dirvi che era il portiere titolare del Ghana nel match d’esordio dell’Italia al Mondiale in Germania.
Al di la di questo malinconico episodio, Kingson ha vissuto le pagine più belle drammatiche della storia calcistica del suo Paese.
Era in campo quando Suárez parò il colpo di testa di Adyiah, ed era in campo anche durante la finale di Coppa d’Africa persa 1-0 contro l’Egitto.
Tra tutte le fenici lui è sicuramente quella più simpatica, malinconica e bizzarra.
Ha vissuto la sua carriera con gioia, conscio, come molti calciatori del Continente Nero, di essere scampato alla fame e alla miseria.
Allo stesso tempo ha sempre mantenuto i suoi valori, avendo anche rifiutato 300mila dollari per addomesticare il risultato di una gara del Mondiale del 2006.
Interessante come abbia detto questo ai media, dicendo che è stata la moglie a convincerlo a non cedere, quella stessa moglie che, pochi anni dopo, dichiarerà ad una tv nigeriana di aver fatto ricorso alla magia nera per rendere più difficile la carriera del marito.

Potete giudicare benissimo da soli queste vicende, nel frattempo sì, vi mettiamo gli highlights di Italia-Ghana del 2006, tanto per farci del male.

7. (Bonus track) Peter Shilton

Sì lo sappiamo, vi abbiamo ingannato.
È che per rappresentare l’ultimo tipo di fenice, un tuffo nel passato era necessario.
Peter Shilton ha difeso la porta dell’Inghilterra ai Mondiali in 3 occasioni tra il 1982 e il 1990, risultando spesso al centro delle cronache.
Shilton ha avuto una carriera gloriosa nel calcio d’oltremanica, costellata da trofei e innumerevoli presenze.
A rigor di logica qui non ci dovrebbe dunque stare, tuttavia lo abbiamo messo perché rappresenta perfettamente un certo tipo di portiere fenice.
Stiamo parlando di quello, ormai estinto, dei giocatori – e dei portieri – non televisti.
Di fatto, pur essendo uno dei più grandi portieri di sempre, le partite di Shilton con una squadra di club viste da noi si possono contare sulle dita di una mano.
Il conto non aumenta di tanto se consideriamo le gare dell’Inghilterra fuori dai Mondiali, il che lo rende perfetto per questa storia, sebbene si possa ritenere un caso particolare.

Speriamo non se la prenda il buon Peter per essere stato citato in maniera scherza in questo pezzo. In fondo pensiamo sia comunque un modo migliore di essere ricordato rispetto a quello che gli ha assegnato il destino. Ovvero quello di unico portiere della storia ad essere sempre collegato ad un tocco di mano non suo.

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