La tipica esultanza di Giampaolo Pazzini nasce a Firenze, quando giocava nelle file dei gigliati insieme a Luca Toni.
Lui faceva sempre il gesto dell’orecchio, a qualsiasi ora della giornata, a pranzo e a cena. Significava: “Ehi, ci sentite?”. E così che in contrapposizione è nato il mio, il cui significato era: “Ehi, ci vedete?”, così per ridere. È una cosa che piace e mi piace, per questo continuo a esultare così.
Ho sempre avuto un debole per Pazzini. Esultanza iconica, movenze da bomber di razza degli anni 80 e, dulcis in fundo, la qualità che più preferisco: stacco di testa imperioso. Alla Play Station la scelta ricadeva sempre sulla squadra che annoverava il “Pazzo” tra le sue fila.
Una cosa non gli è mai mancata: una più che discreta vena realizzativa che lo ha portato a siglare più di 170 goal in carriera. Cosa dovrebbe fare di più un attaccante? Eppure c’è qualcosa di quantomeno insolito che sembra essere un’inspiegabile peculiarità del centravanti di Pescina. Lungo tutto l’arco della sua carriera, ad eccezione di Genova, si ha sempre avuto la sensazione che la fiducia saputa guadagnarsi sul campo, a suon di goal, non fosse stata sufficiente a convincere della sua bravura i tecnici che lo hanno allenato.
Non vuole essere un’affermazione. Piuttosto una constatazione dalla quale partiremo per analizzare l’ultima grande chance calcistica di Pazzini al Verona, con un inevitabile sguardo al passato di questo enigmatico giocatore.
La consacrazione inglese
Il 27 Marzo 2007 va in scena Inghilterra U21-Italia U21 a Wembley. Lo storico stadio, simbolo del calcio inglese, riapre i battenti dopo il suo ammodernamento ospitando la sua prima partita. Pazzini, all’epoca ventiduenne, milita nella Fiorentina. Viene convocato per l’occasione dall’allora CT Casiraghi, nonostante le poche presenze in campionato.
Quella partita la vidi in televisione. E rimasi completamente ammaliato dalla sublime prestazione del “Pazzo”. Ammetto che a farmi innamorare di quel giocatore ha contribuito non poco la sua tipica esultanza. Il giorno seguente, tra le innumerevoli buche del giardino di casa e le improvvise apparizioni di alberi che fino a un secondo prima pensavi di aver “dribblato”, insieme al tuo vicino di casa, l’unico desiderio era quello di fare goal per poter sfoggiare con orgoglio la sua tipica esultanza.
Mancanza di fiducia
Sulle ali dell’entusiasmo sia i quotidiani sportivi che gli opinionisti televisivi erano tutti concordi nel tratteggiare a Pazzini un futuro che definire roseo sarebbe stato alquanto riduttivo. Sarà proprio da Firenze invece che, l’eterna sfida tra Giampaolo e la scarsa fiducia degli “altri” nei sui mezzi, diventerà una triste prerogativa di quasi tutta la sua carriera.
Nei successivi due anni la società non punterà mai in maniera definitiva su di lui. Ogni estate verrà presentato come titolare inamovibile al centro dell’attacco viola. Puntualmente però vengono acquistati giocatori del calibro di Christian Vieri, Adrian Mutu e Alberto Gilardino che suonano come una bocciatura nettamente preventiva. Gli viene tratteggiato l’appellativo di gregario di lusso. Gioca tante partite, segna (saranno 33 i goal in totale in 5 anni) ma spesso da subentrante senza mai riuscire a dare la sensazione di poter prendersi sulle spalle l’attacco viola.
Senza dubbio, nella testa di un ragazzo poco più che ventenne la sensazione di non aver la fiducia dell’ambiente non può che essere un fattore evidentemente destabilizzante. Pazzini però non molla.
È paradossale la sua situazione. Tutti, dai tifosi ai compagni di squadra passando per gli addetti ai lavori, lo descrivono come un ragazzo d’oro, dedito al lavoro e con la testa sulle spalle. Eppure, la fatica gravosa di guadagnarsi la fiducia del tecnico e la necessaria continuità a calcare da titolare i campi da gioco non si paventa quasi mai. Esasperato da questa vita, narrata a vagare all’interno di un limbo calcistico di perenne incertezza, Pazzini decise di cambiare squadra.
All’ombra della lanterna
Nel Gennaio del 2009, all’età di 25 anni, avviene il passaggio alla Sampdoria. Accolto come un re dai tifosi doriani e fortemente voluto dall’allora Presidente Garrone, Pazzini vivrà i migliori anni della sua carriera.

Finalmente il centravanti toscano scende in campo con regolarità regalando goal e giocate spettacolari in coppia con Antonio Cassano. Vengono ribattezzati i “gemelli del goal” e insieme riescono a trascinare la Samp al quarto posto valido per l’ingresso in Champions League. Trovata la giusta serenità e la fiducia dell’ambiente Pazzini riuscì a dimostrare tutto il suo valore entrando stabilmente nel giro della nazionale. Quello era il Pazzini che tutti noi avevamo ammirato quella magica notte di Wembley di ormai undici anni fa. Forse bastava solo dargli fiducia.
L’ultima fiammata prima del declino
E fu così che Pazzini, esattamente due anni dopo l’inizio della sua esperienza blucerchiata, ricevette la chiamata dell’Inter. I tifosi della Sampdoria insorgono, quelli dell’inter lo accolgono come solo i grandi campioni. Essendo io interista e sostenitore da sempre del “Pazzo”, il vederlo con la casacca neroazzurra fu la realizzazione di un mio piccolo ma agognato sogno. Il primo anno scorre “liscio”; segna con regolarità e riesce anche a vincere la Coppa Italia, il primo trofeo della sua carriera. Ero certo che fosse l’inizio di un amore infinito col vizio del goal. Purtroppo mi sbagliavo. La maledizione del Pazzo si risvegliò dal suo torpore e si ripresentò con tutta la sua inopportuna virulenza. Nonostante l’enorme credito accumulato negli anni, e la fama di essere uno dei bomber più prolifici della Serie A, l’arrivo di Ranieri fa sprofondare di nuovo l’attaccante in un baratro emotivo. Non gioca, è nervoso, si fa spesso male e sente che la fiducia e l’entusiasmo che avevano accompagnato il suo arrivo stanno velocemente abbandonando il suo spirito.
L’amara conclusione dell’esperienza neroazzurra è la cessione al Milan nell’estate 2012, scambiato proprio con – e qui la sorte ci mette la sua solita ironia – l’ex compagno blucerchiato Antonio Cassano.
Poche luci e troppe ombre
Il dolore nel vedere Pazzini con la casacca dei “cugini” rossoneri è stato tremendo. Probabilmente nulla, però, in confronto allo stato d’animo del giocatore stesso. Trattato come uno dei tanti, venduto alla rivale cittadina dando la sensazione di essere solo una mera pedina di scambio e con la certezza di vestire la casacca rossonera solo come riserva. Non so se si possa riassumere così quello che ha pensato Pazzini, ma faccio fatica a immaginare a qualcosa di diverso.
Arrivato al Milan nel pieno della maturità agonistica (28 anni), a parte la prima stagione in cui segnerà 15 reti in campionato, passerà tre anni decisamente anonimi e, a tratti, malinconici. Tra panchina, tribuna ed infermeria non lascerà mai il segno.
L’ingombrante figura di Luca Toni
Dimenticato da tutti e intristito da quasi quattro anni ai margini di qualsiasi progetto tecnico, venne contattato dal Verona.
Le cronache sportive si ricordano, improvvisamente, del bomber che una volta aleggiava sotto la pelle di Giampaolo Pazzini. In molti concordano che Verona possa essere la piazza giusta per la rinascita. Squadra ambiziosa, progetto solido, entusiasmo contagioso sono gli ingredienti che lo convincono ad accettare la nuova avventura. C’è una grande voglia di riscatto e, alla soglia dei trentuno anni, il Pazzo ha un desiderio neanche troppo celato di dimostrare il suo valore.
Ma il destino si mette, ancora una volta, di traverso. Il capitano del Verona, nonché centravanti titolare delle ultime due stagioni, è l’amico di sempre Luca Toni. La coabitazione dei due sembra possibile, almeno nelle amichevoli estive. L’inizio del campionato, come tutto il suo prosieguo, si rivelerà invece essere l’ennesima delusione. Toni, nonostante abbia compiuto 37 anni, risultò essere quasi sempre preferito a Pazzini. Lo spettro della panchina si realizzò ancora una volta per l’attaccante di Pescia. Complice anche una stagione difficile, da parte dell’intera squadra, non riuscirà mai ad imporsi sul terreno di gioco né nelle gerarchi del Mister. Il triste epilogo fu la retrocessione in Serie B e un anno in più sulla carta d’identità dell’attaccante.
La Serie B e la fascia di capitano

Fa la scelta giusta Pazzini. Decide di rimanere nella città di Romeo e Giulietta nonostante la Serie B non annoverasse il bomber, tra i suoi attori, da tredici anni. Con l’umiltà che lo ha sempre contraddistinto e l’amore dei tifosi, pronti sempre a sostenerlo.
Potrebbe essere azzardato definirla rivincita; sicuramente una bella soddisfazione certificata dalle lacrime di gioia al termine della partita promozione a Cesena.
Poteva essere la stagione del rilancio. Serie A riconquistata dopo un solo anno di purgatorio grazie alle sue eccellenti prestazioni in cadetteria, con tanto di titolo di capocannoniere, fascia di capitano al braccio e, forse l’aspetto più importante, un ambiente che finalmente lo coccola e gli infonde fiducia. Le premesse per il campionato del rilancio, dopo anni avari di soddisfazioni, c’erano tutte.
Ciò nonostante, come il più irritante ed ermetico dei canovacci, si è ripresentata puntuale la Maledizione del Pazzo. L’attaccante toscano le gioca tutte fino al 31 gennaio, ma solo 7 da titolare. La squadra naviga nelle zone più basse della classifica e le scelte tecniche di Pecchia, che gli preferisce il diciassettenne Kean, contribuiscono non poco a rabbuiare il capitano. La panchina e i dissidi con il tecnico lo spingono a chiedere la cessione.
L’esperienza spagnola

Il 31 Gennaio del 2018, nell’ultimo giorno utile di mercato, viene ceduto in prestito agli spagnoli del Levante. Ricordo perfettamente quando lessi la notizia sulla Gazzetta dello Sport. Ero semplicemente incredulo. Una squadra in piena zona retrocessione cede il suo giocatore più rappresentativo (e più forte) nonché capitano dando spiegazioni a dir poco evanescenti. Qualche mese dopo Pazzini si espresse così ospite della trasmissione L’Originale:
Verona è una ferita aperta per me. Trovarsi da un giorno all’altro da titolare e capitano a non essere più considerato mi ha fatto male a livello umano. Per me viene sempre prima la persona e va rispettata.
Pensare che l’avventura in Spagna era cominciata col piede giusto. Pronti via ed esordio con goal nientemeno che al Real Madrid. La penisola iberica letteralmente Pazza. Ma, ancora una volta, la deficitaria fiducia del quale gode da sempre Pazzini ha fatto capolino nelle scelte del mister. Solo nove partite fino alla fine della stagione con pochissime apparizioni da titolare.
Il ritorno al Verona
La cessione definitiva sembrava poter essere l’unica soluzione percorribile visto il rapporto ormai compromesso con la società gialloblu. Invece, l’arrivo in panchina di Fabio Grosso ha fatto cambiare idea a Pazzini. La società del Presidente Setti, su pressioni del direttore sportivo D’amico e dello stesso Grosso, sembra aver finalmente deciso di concedere la meritata e forse ultima chance al centravanti toscano che, dopo la panchina contro il Padova di Bisoli (del quale abbiamo parlato qui), ha ripagato le aspettative con una tripletta contro il Carpi. Maligni dicono che lo stipendio da un milione e mezzo abbia spaventato tutte le possibili pretendenti per Giampaolo. Non mi sento di escludere questa interpretazione a priori. Essendo un romantico del calcio però mi piace pensare che anche Pazzini abbia trovato, dopo anni di inquietudine, la tanto desiderata tranquillità.