Missing Bamford

Non è vero che avete perso il talento, perché non si può perdere il talento”.

Frase lapalissiana, direte, ma con una grande verità intrinseca: se sai cantare, non diventi stonato da un giorno all’altro; allo stesso tempo, se sei un comico, riuscirai sempre a far ridere il pubblico in sala.

Abbiamo sentito questa frase in un video su Youtube, l’altro giorno. Per molti versi è proprio ciò che accade in quello che noi definiamo “il gioco più bello del mondo”, in cui molti “si trovano” e tanti si perdono. Alla fine, nessuno ha mai pensato che il talento fosse davvero come quello che abbiamo visto in Space Jam, che può essere circoscritto ad un oggetto e può essere trasferito di corpo in corpo: insomma, se ci nasci, ci muori. Maradona, ad esempio, con 40 chili in più addosso, a distanza di anni riusciva comunque a palleggiare con un mandarino; Kazuyoshi Miura, a 50 anni suonati, continua a giocare con lo Yokohama FC, nella seconda serie giapponese.

A volte, però, il talento decide di non manifestarsi più – di addormentarsi, per dirla più correttamente – un po’ come quando l’Uomo Ragno, nel secondo film della trilogia di Sam Raimi, non riesce più a sparare ragnatele dai polsi. Se succede ai supereroi, sarebbe irrazionale pensare che non possa accadere ad alcuni sportivi. Per dirne uno: Patrick Bamford.

Patrick Bamford è ciò che più si avvicina alla concezione di “talento assopito”. Fin dai tempi delle giovanili del Nottingham Forest, ha sempre dimostrato sul campo di avere una classe cristallina ed un futuro nitidissimo; non passò inosservato al Chelsea, che lo comprò dai Reds senza però valorizzarlo a dovere, e mandandolo in prestito a destra e a manca, in giro per la Football League. A Milton Keynes e a Middlesbrough, rispettivamente in League One e Championship, ha dimostrato di non essere uno dei tanti, segnando 42 gol in due stagioni consecutive e, proprio al Boro, venendo eletto Player Of The Year dell’intero campionato. A 21 anni, si sa, la voglia di spaccare il mondo è sconfinata: qui, però, stiamo parlando di talenti assopiti. Se ti addormenti sugli allori, puoi anche risvegliarti tra le spine.

Da due anni a questa parte, Bamford sembra essere entrato in un tunnel mistico di involuzione cronica. Se la Championship doveva essere il trampolino verso il calcio che conta, la Premier League si è rivelata una piscina ghiacciata. Il ragazzo, mai entrato nelle grazie degli allenatori – Pardew, Neill e Dyche – ha racimolato una dozzina di presenze negli ultimi due campionati, non riuscendo mai a gonfiare la rete avversaria. Emblema della situazione fu la traversa interna colpita nel match contro il Manchester City, mentre militava nel Norwich City: il pallone che sbatte sulla linea ed esce dal campo, ultima goccia che fa traboccare il vaso delle speranze del giocatore di tornare ai tempi d’oro.

Ma come un figlio troverà sempre la porta aperta a casa dei genitori, anche Patrick Bamford ha trovato i cancelli spalancati al Riverside Stadium. Aitor Karanka, come nella parabola del figliol prodigo, non ha pensato due volte a riabbracciare quello che, dati alla mano, in 3 anni di Boro risulta il secondo topscorer della sua gestione (superato da Leadbitter recentemente, giunto a quota 20). In un attacco avaro di gol nonostante il Tiburòn Alvaro Negredo e il redivivo Stuani, il bomberino di Grantham ha la possibilità di ritrovare la retta via, in un ambiente con poche pressioni – simile a quello del Burnley, ultima squadra di cui ha fatto parte, dove la sua presenza era però offuscata dall’astro nascente Gray e dal nazionale gallese Vokes.

Già dalla conferenza stampa, Bamford si è preso – anzi, ripreso – tutti quanti. E’ bastata una frase, l’ultima, per far capire ai tifosi che sarebbe stato l’inizio di una nuova era.

“It’s time for me to push on and stake my claim

La consapevolezza nei propri mezzi, in fondo, è senza dubbio uno dei punti fondamentali per la formazione psicologica di un giocatore; è uno di quei punti per i quali, se non ci credi, il talento si addormenta.

Patrick Bamford ha dimostrato di essere un cecchino. Un cecchino esperto non manca mai il bersaglio, ma può sbagliarlo. Così è successo, e può accadere ripetutamente se non ti chiami Cristiano Ronaldo o Messi. La maglia biancorossa del Middlesbrough potrebbe essere letta con un doppio senso: il bianco come simbolo della purezza, il rosso come il fuoco che arde, come il passato che è stato bruciato e il presente che risplende sotto la luce calda di un nuovo sole. E per tornare a splendere, ora, bisogna raddrizzare la mira.

 

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