Oscillando come uno Jo-Jo

Jovetic è sempre stato bravissimo a fare assist, è nella sua natura, quella di fantasista al servizio della squadra. Non immaginavamo, però, che fosse così generoso da servirci su un piatto d’argento lo spunto per parlare della sua carriera: non abbiamo dovuto scomodare il campo semantico del luna-park (“montagna russa”, “ottovolante”), il cristianesimo (cadere negli “Inferi” per poi raggiungere il “Paradiso”) o chissà quale altra fonte allegorica.

È bastato bussare alle porte del suo soprannome ed immaginarcelo piccolo piccolo, sopra ad uno yo-yo guidato da una mano frenetica; Jovetic sale e Jovetic scende, periodicamente, e chissà se dopo la parabola discendente l’esperienza sevillista saprà coincidere con la sua risalita.

 Qualcosa per ora ha salito (le scale del Sanchez-Pizjuan)

8

La sua prima esperienza italiana, in maglia Fiorentina, è stata la graduale e trionfante consacrazione di un talento indiscutibile, racchiuso nei piedi di un ragazzo montenegrino nemmeno troppo fotogenico: Stevan si è presentato al Franchi con una folta chioma di boccoli davanti agli occhi, quasi a proteggerlo dalle parole al miele che si dedicano di solito ai giovani con grandi aspettative; da quel muro ondulato spuntava solamente un naso appuntito, duro, contornato da una bocca sorridente fatta di denti sani e sporgenti, un inno alla felicità amplificato dalle sue deliziose giocate.

Jovetic si è perfettamente immedesimato nel numero 8, almeno all’inizio, interiorizzando le caratteristiche del regista offensivo. Prandelli, che in quegli anni ha plasmato una Fiorentina tra le più belle di sempre, lo ha allevato come un figlio, avvicinandolo pian piano alla porta ed esaltando le sue qualità di finalizzatore: ciò che colpiva di più di Jovetic era la capacità di destreggiarsi nello stretto nonostante il pressing avversario, frutto di un controllo di palla eccellente e di una spiccata personalità a soli 20 anni.

Personalità e giovane incoscienza, che lo hanno portato a fare bene in campionato ma soprattutto a far sognare i tifosi di tutta Firenze nelle suggestive notti di Champions League: è lui che ha regalato i gironi entrando dalla panchina e fulminando (letteralmente) Rui Patricio, è lui che dopo la sconfitta a Lione ha risollevato la viola con una doppietta al Liverpool, è lui che ha mandato in estasi temporanea tutta una città con quella doppietta indimenticabile al Bayern. Compagnoni bilancerà la scarsa qualità delle immagini.

Poi il ginocchio ha fatto crack e lo yo-yo è sceso in picchiata per la prima volta. Non c’è però da parlare dell’infortunio quanto della repentina ripresa dello Jo-Jo: è stato fermo una stagione intera, ma quando è tornato sotto la sapiente guida di Montella Jovetic ha inanellato due stagioni da protagonista (e anche capitano) della Fiorentina. Chi non ricorda la mezza sforbiciata a Novara con esultanza Playstation, la doppietta alla prima di campionato con l’Udinese o il finta-di-tacco e palla all’incrocio dei pali contro l’Inter?

35 

Stagioni che gli hanno spalancato le porte della Premier, permettendogli di giocare in un Manchester City ambizioso e spendaccione, desideroso di comporre una squadra stellare per dominare ovunque (il montenegrino è arrivato insieme a Jesus Navas, Negredo e David Silva, giusto per dire).

Jo-Jo ha portato in dote 35 reti in Serie A, numero che ha riproposto in maglia skyblue; l’impennata definitiva che ci si aspettava, tuttavia, non è avvenuta, e Jovetic è pian piano caduto in un oscuro ed irritante oblio, complici ripetuti infortuni durante tutta la sua avventura.

10

Due estati fa è ripartito dunque il valzer per riportarlo in Italia e, tra le suggestioni di un ritorno a Firenze o di un posto in prima fila alla Juventus, a spuntarla è stato l’Inter che ha costruito intorno a lui un progetto interessante quanto effimero. I nerazzurri sono partiti in quinta, così come le partite vinte di fila, così come lo Jo-Jo, risolutore con quel gol stupendo contro l’Atalanta e con la doppietta a Carpi.

Jovetic ha mostrato di essere maturato soprattutto a livello comportamentale: il 10 gli ha donato più responsabilità, rendendolo meno spettacolare e più aristocratico. Jovetic all’Inter è stato un trequartista quasi puro, distante dalla porta ma incisivo con la sua abilità nel crearsi gli spazi e vedere dove gli altri non immaginavano nemmeno; il progressivo calo della squadra ha coinciso con la sua sparizione, processo che si è definitivamente concluso all’inizio di questa stagione in cui Jo-Jo non è stato utilizzato praticamente mai, se non per costituire il 4-2-4 “mourinhano” quando c’era da recuperare disperatamente il risultato.

16

Un ruolo che non gli si addice affatto, che gli è stato stretto e che lo ha fatto emigrare in Spagna. Jovetic ha scelto il 16, un numero un po’atipico; sedici come gli interpreti offensivi del Sevilla di Sampaoli, e non è un numero così esagerato: Ben Yedder, Vietto, Sarabia, Vitolo, Kiyotake, Vazquez, Ganso, Nasri, Correa costituiscono una bella concorrenza, senza considerare che gli andalusi sono secondi e sembrano aver trovato la quadratura perfetta. Ingabbiare gli avversari per poi ripartire è uno stile poco ragionato ma efficace, che non si confà molto allo Jo-Jo che conosciamo.

Speriamo che 16 siano almeno le presenze del montenegrino, magari i gol a fine stagione, e non i minuti cumulativi che collezionerà.

D’altronde è vero, lo yo-yo è in fase calante, ma Jo-Jo ha saputo farlo ritornare in alto dopo ogni periodo buio. Con un destro così, è difficile pensare che possa fallire di nuovo.

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