1.
Lorenzo Pellegrini nasce a Cinecittà Est, un sobborgo figlio degli anni ottanta e di quell’auspicio sotto forma di speranza di ripensare il contesto deturpato e depresso delle borgate, che al netto di trent’anni di trascuratezza e cattiva gestione amministrativa presenta un conto salato, con risultati visibilmente nefasti. Situato proprio ad Est della casa del cinema italiano, dove la realtà si mescola con la finzione e la bellezza si infrange tra campo e controcampo di chi osserva aldilà dei set i palazzoni popolari e la baraccopoli di Viale Antonio Ciamarra.
A pochi metri da qui è nato un figliol prodigo, uno dei tanti verrebbe da dire, che il calcio romano ha consegnato alla città nel tentativo di continuare una storia eterna, in perfetta simbiosi tra tifo e romanità, che con la figura di Francesco Totti ha forgiato la leggenda. Proprio quando il mito iniziava a mettere le prime radici nel 1996, il padre Tonino dava i natali al figliol prodigo, e soltanto cinque anni dopo lo portava allo stadio cercando di plasmare in lui una certa educazione romana e romanista, impossibile da non fare propria se fisicamente vissuta, in quella straordinaria primavera del 2001.
2.
In Pellegrini ho trovato un suo alterego, che corrisponde all’identikit di Alberto Aquilani. Un giocatore di rara concezione estetica del calcio, ma di altrettanto indecifrabile evanescenza una volta giunto al bivio della carriera. Il risultato è un cocktail letale di infortuni, incomprensioni tattiche e rimpianti che lo hanno allontanato dall’ambiente, e dal calcio che conta, senza causare troppo rumore. L’attuale numero 7 giallorosso sembra poter disporre di un equilibrio mentale superiore, oltre che fisico, per reggere la piazza romana e proseguire la missione tutta capitolina di poter creare uno zoccolo duro di talenti, ma prima di tutto uomini, svezzati e coccolati dall’ambiente. D’altronde un crocevia sulla strada per l’Olimpico lo ha già attraversato in questi anni, piuttosto tortuoso e fatale, un’aritmia cardiaca che lo ha fermato per qualche mese all’età di 15 anni.
Se Florenzi rappresenta ormai già una realtà tangibile nel microcosmo giallorosso, Pellegrini può diventarlo ma con caratteristiche e una verve del tutto diverse. Non è un trascinatore, non sarà mai l’idolo incontrastato della piazza e non farà vendere molte magliette. Ha semplicemente bisogno del pallone e del rettangolo verde per costruire un legame con il popolo, ed anche a queste condizioni non sarà viscerale. Diverrà estremamente funzionale, e maledettamente bello: nelle giocate nello stretto, nei cambi di gioco di prima, nello spiccato senso tattico che ha acquisito in mezzo al campo.
3.
Dalle parti di Trigoria regna una sceneggiatura degna di Samuel Beckett in Aspettando Godot, in cui si attende costantemente un giovane principe con i parastinchi, che si è sudato la gavetta a bordocampo raccogliendo i palloni e rimettendoli in gioco. E una volta entrato in campo con la maglia giallorossa dirige lo sguardo verso la Curva Sud e sente un inesorabile odore di casa.
A Roma è fin troppo facile profetizzare un figlio prodigo. Lorenzo Pellegrini lo si può definire tale perchè ha ricevuto insegnamenti da tutti i padri calcistici della Roma. Ma prima ancor di tutti suo padre Tonino che lo ha allenato fin da piccolo, all’Italcalcio e poi all’Almas Roma, calcando i campi aridi e pieni di desideri della Tuscolana. Era un ragazzo piuttosto massiccio: il che lasciava pensare che questa sua imperfezione fisica potesse procreargli un vantaggio agli inizi, quando faceva l’attaccante ed esultava con ‘l’areoplanino’, ma che avrebbe finito per ostacolarlo poi. Invece dalla Tuscolana passò anche Bruno Conti, ai tempi responsabile del settore giovanile giallorosso. Quando a Roma viene a visionarti Marazico e ti porta a Trigoria significa che hai qualcosa da dire e da mostrare col pallone fra i piedi.
4.
Dicevamo dell’aereoplanino, proprio lui, Vincenzo Montella. L’allenatore del Milan aveva da poco appeso gli scarpini al chiodo e iniziava la sua seconda vita allenando i giovanissimi del vivaio giallorosso. Se Pellegrini è una mezz’ala tecnica di ottima qualità lo dobbiamo a Montella, che all’età di 14 anni ne aveva intuito il potenziale facendone già un interprete perfetto della sua idea di calcio. Un centrocampo dal palleggio fine con la lampadina costantementa accesa per dare sfogo alla fantasia.
Mi piace pensarlo mentre lo osservava in allenamento, pensava a quel gesto che lui ha emulato e che da bambino lo faceva saltare sul divano. Ascoltando i suoi consigli ed incrociandone lo sguardo, consapevoli entrambi di poter interagire con un linguaggio extraverbale, quello calcistico, puramente tecnico che padroneggiano in campo. Lo ricambierà segnando il suo primo gol in Serie A, da avversario, in un Sassuolo-Sampdoria di due stagoni fa.
5.
La maturazione calcistica di Lorenzo avviene con Eusebio Di Francesco. Uno degli artefici dello Scudetto del 2001, che mastica l’ambiente e ne conosce virtù e contraddizioni. Il maestro perfetto per l’allievo perfetto: a soprendere infatti è proprio questa sua qualità umana del tutto naturale di ascoltare, di recepire quasi come un dogma i consigli dei suoi predecessori, perchè consapevole della loro importanza all’interno del mondo Roma. Un meraviglioso gregario dal piede fine, un giocatore moderno e duttile, con una maturità mentale superiore alla media per un ragazzo di appena 21 anni.
Il calciatore che stiamo ammirando in questo momento, arrivato in orbita Nazionale con la quale ha già esordito, è frutto del suo talento e della sua predisposizione all’apprendimento. L’attuale tecnico della Roma è stato tutto ciò di cui ha avuto bisogno in questi primi due anni di Serie A, è anche l’unico allenatore fin qui avuto fra i professionisti. Lo ha forgiato, lo ha impostato, e gli ha consegnato un’identità tattica per poter esprimere il suo estro. Tra Pellegrini e Di Francesco sembra essersi instaurata una fiducia reciproca difficilmente scalfibile. Di fatto è un prototipo del suo calcio: prima al Sassuolo, poi alla Roma, un’associazione inevitabile che resterà impressa per sempre durante la sua carriera.
6.
Ad oggi Pellegrini è una mezz’ala completa, in grado di supportare la squadra nella fase di costruzione con un fraseggio di grande qualità, e nella fase di non possesso è il primo calciatore oltre alla punta che Di Francesco manda in pressione alta. Già dall’impostazione del corpo quando riceve il pallone si intuisce come sia un giocatore differente, testa sempre alta ad individuare possibili linee di passaggio e un tocco di palla raffinato che gli consente giocate mai banali.
La sua facilità di calcio gli consente lanci di 40 metri effettuati con estrema precisione sfruttando il movimento della punta. In questa azione, contro il Bologna nella passata stagione, si abbassa per ricevere palla sostituendosi al play maker.
L’inizio di stagione a Roma è stato sin qui molto positivo: Pellegrini rientra nelle rotazioni sistemiche del centrocampo di Di Francesco, ma sembra ormai venir preferito a Kevin Strootman, che ha perso lo smalto di qualche stagione fa e rispetto all’olandese garantisce maggiore dinamismo. Migliorato anche in interdizione soprattutto quando va ad attaccare alto il portatore di palla, condizione fondamentale nel gioco del tecnico che ha bisogno di due mezz’ali in perenne movimento per creare lo spazio necessario per le triangolazioni verticali.
Contro il Milan a San Siro la sua migliore prestazione stagionale: in questo frangente è abilissimo a posizionarsi per ricevere il passaggio con la postura del corpo già improntata al gesto successivo, verticalizzazione per Florenzi nello spazio che a quel punto ha solo Donnarumma davanti a sé
7.
Il vero preludio al grande calcio di Pellegrini porta un altro nome inconfutabile, quello di una famiglia che a Roma sta scrivendo la storia recente del club: la famiglia De Rossi. In primis Alberto, una sorta di Caronte romanista che apre le porte di Trigoria ai ragazzi che promettono un futuro roseo davanti a sé. L’allenatore della Primavera ne ha visti passare parecchi di talenti, come altrettanti sono quelli che hanno smarrito la strada. Per i quali il prato dell’Olimpico si è rivelata essere soltanto una frivola illusione di gioventù. Questo non è il caso di Pellegrini, cresciuto con il mito di Daniele De Rossi più che con quello di Francesco Totti. Daniele spesso lo riprende in allenamento, reo di essere troppo frettoloso nella giocata per servire i compagni.
Lorenzo lo ascolta, come del resto ha sempre fatto con tutti, con l’umiltà e la consapevolezza di avere la fortuna di poter giocare al fianco del suo idolo d’infanzia. Quelle parole di De Rossi non sono un peso, sono un suono docile e fluido, sono tutto ciò che ha sempre voluto sentire. Lui è fatto così, pensa in verticale sempre a testa alta, come vuole Di Francesco. La verticalità è un concetto che deriva da principi buddhisti secondo cui, una volta raggiunta, tutto quello che si fa risulta guidato saldamente da una mano superiore. Ma questa non è una storia esotica e neppure eterea, è una storia romana. Quella di Pellegrini è una mano reale, severa e parla romanesco. Quella di suo padre, di Bruno Conti, di Alberto, di Daniele.
Ne ha fatto di sé stesso un cruciverba esistenziale di cui conosce le risposte.
Qual è la differenza tra sentire ed ascoltare? 7 verticale: Lorenzo Pellegrini.