1.
La chiamano afro-colombianità: una ragione d’essere, uno stato d’animo, ma anche conseguenza della storia. Necoclì è una di quelle tante cittá del nord della Colombia che presenta nei suoi abitanti, i tratti, i volti, e lo spirito meticcio di secoli di dominazione spagnola. La tratta degli schiavi africani in Colombia, ha contribuito ampiamente a definire i connotati di questo paese. I cimarrones – gli schiavi ribelli – sono stati i primi a fuggire in cerca di autonomia. Quella libertà che ti permette di scegliere quale strada percorrere, secondo quali principi. I cimarrones sono ripartiti, scegliendo di preservare la loro natura, di non dimenticare mai la loro Africa. A distanza di 4 secoli, in Colombia un terzo della popolazione ha la pelle nera, quasi indistinguibile da quella di un nativo africano in alcune zone del paese.
Come a Necoclì, a pochi chilometri dallo stato di Panama, dove Dona Marcela ha dato i natali a Juan Guillermo Cuadrado. Con il sette sulle spalle e l’Africa nel sangue. La Colombia nella sua testa è casa, ma anche un ricordo poco nitido, di un episodio che ha cambiato la sua vita, indipendentemente dalla sua volontà. Cuadrado aveva 4 anni, era nascoto sotto al letto, quando una banda di malviventi fece irruzione nella sua abitazione e uccise il padre. Da quel momento in poi, di nascondersi ne ha fatto una virtù: che sia una linea difensiva avversaria o una riservatezza genuina che lo caratterizza. Senza perdere mai quel senso di gioia e spensieratezza che si denota, ogni qualvolta ha la palla tra i piedi.
2.
Cuadrado è un giocatore della Juventus atipico: non incarna perfettamente quello stile Juve tramandato da generazioni. L’avvocato avrebbe detto di lui: “bravo ragazzo, ma dovrebbe vestirsi meglio e tagliarsi quei capelli, sembra un casco di banane”. Già, i platani, simbolo africano, Juan Guillermo deve tutto o quasi ai platani. Sua madre ha lavorato in una piantagione di banane ad Apartado, a pochi chilometri da casa, per permettergli una vita dignitosa e sognare di diventare un calciatore. Cuadrado ce l’ha fatta, così come è riuscito a delineare un profilo rilevante a Torino, la consapevolezza di essere diventato importante. Lo ha fatto senza snaturarsi, come i suoi avi hanno fatto preservando quel mondo nero, che si è liberato dalla schiavitù, e che adesso abita una fetta di Sud America.
Cuadrado è l’elemento imprevedibile della rosa della Juventus: quel battito accelerato che non puoi controllare, quel guizzo agile ed esile che non ha bisogno di entrare in partita. A Vinovo ha imparato che il pallone è integrazione, condivisione, un mezzo per un fine. A Vinovo lascerà anche altre percezioni di calcio, tipicamente sue, come il gusto della giocata estemporanea, il pallone come fine ultimo. Cuadrado ora è fuori dagli schemi, dentro lo schema. La capacità di aver raggiunto un equilibrio raro, ma perfettamente stabile. Alla Juventus è un privilegio enorme, essere parte di un tutto, senza costrizione alcuna. Molti dei sudamericani che hanno indossato bianconero non hanno concepito la natura di questo connubio, altri semplicemente hanno finito per disperdere i loro impulsi latini.
3.
Salento come un pueblo colombiano, dove risiedono le palme più alte del mondo. Salento dove Cuadrado si è approcciato al campionato italiano, libero di esprimersi e non raffinato dai tatticismi del nostro calcio. Due cafeteros a Lecce, e una stagione che ricordano piacevolmente da quelle parti, nonostante la retrocessione in B. Cuadrado e Muriel, in un solo anno, hanno rappresentato perfettamente la semplicità del calcio di provincia del Sud. Momenti di felicità sporadica, in trambusti fulminei di amore per il cuoio. Un caos appagante, a tratti senza controllo. Serse Cosmi si era rassegnato al fatto che Cuadrado non potesse avere disposizioni schematiche. Non in quel momento, non era tempo per quello, ci sarebbe stato modo poi, per plasmarlo e definirlo.
Leggere quella formazione e vederlo terzino destro è stato un tocco di esotismo, un lusso fantacalcistico. Un lusso anche per il calcio italiano, una parentesi che raramente potrà riproporsi, per il solo gusto di lasciare esprimere il potenziale di un ragazzo. Cuadrado ti punta e dribbla, qualunque sia la porzione di campo che occupa, qualsiasi sia l’avversario. Non soffre di alcun timore reverenziale, lo fa spontaneamente, e grazie alla sua leggerezza mentale molto spesso ci riesce. Toninho Cerezo diceva che “il calcio è riso con i fagioli”: pasto popolare, rurale, condivisione armonica di un momento ilare, di vitale importanza. Cuadrado rispecchia perfettamente l’immaginario, forse per questo, non troveremo mai un motivo perchè risulti un personaggio ostile, qualunque sia il tifoso rivale.
4.
La consacrazione di Firenze, in una squadra di palleggiatori ordinati. Il lavoro fatto da Allegri sul colombiano, è frutto di un’intuizione di Vincenzo Montella. Il gioco di posizione dei viola necessitava di un elemento di rottura: Cuadrado nel tridente, vicino alla porta. Ventisei gol in due anni e mezzo, e la sensazione, talvolta, di essere inarrestabile.
Gli anni di Firenze ci hanno consegnato un giocatore molto raro per il nostro campionato: creazione della superiorità numerica e accelerazioni devastanti partendo da fermo, laddove il palleggio trova difficoltà ad aprire le difese. Cuadrado una variante tattica, un’arma preziosa, perfettamente inserita dentro al sistema. Spesso isolato, ai margini del campo, largo a destra. L’habitat perfetto per uno come lui, che con la sola presenza fisica, minuta e gracile, tiene in apprensione le difese. La storia recente della sua carriera dice questo: il suo è un calcio essenziale, che si esprime in un lasso di tempo ristretto, più volte durante una partita, con picchi di intensità elevati.
Un Luca Toni a fine carriera lo aveva ribattezzato “La Vespa”. Cuadrado fa perno sul piede sinistro, si dà lo slancio da fermo e parte palla al piede. Poi un ronzio, fastidioso ma piacevole da vedere, uno zig-zagare tra le linee, con andamento irregolare. Alla Fiorentina era diventato indispensabile: paradossalmente non la migliore condizione per lui. Cuadrado ha bisogno di sprazzi, non di stare nel vivo del gioco. Con i Viola, il suo apice nella stagione che ha preceduto i Mondiali brasiliani. Nel 2014 undici gol, primo nella classifica dei dribbling tentati in Italia, per rendere l’idea, il doppio di Cristiano Ronaldo. Un rapporto tiri tentati/precisione piuttosto basso, nella top ten per palloni persi. Il calcio di Cuadrado si pone laddove i numeri non possono pienamente valutare l’incisività di un giocatore. Il suo è un calcio primordiale ed elementare, talvolta aleatorio, ma non per questo inefficace.
5.
La Serie A ha restituito alla Colombia un giocatore europeo, che incarna lo spirito sud americano, un ibrido perfetto per una Nazionale tendenzialmente anarchica calcisticamente. Cuadrado balla il Ras Tas Tas, una rivisitazione della Cumbia, assieme a James Rodriguez e Pablo Armero, in Nazionale ha studiato questa coreografia per esultare. Quando torna in patria, tira fuori un lato della sua personalità che in Italia sembra aver messo da parte. Esuberante ed estroverso, a differenza di molti sud americani che fanno fatica a porsi in maniera diversa nel nostro continente. Per Cuadrado sembra più una forma di rispetto, un atteggiamento dovuto, in special modo da quando è arrivato alla Juventus. Assertivo, cosciente di quel che lo circonda; una maschera pirandelliana, che però si presenta autentica in tutte le sue sembianze.

Al Chelsea la sua parentesi più negativa: 6 mesi difficili, in una competizione dove altri giocatori presentano le sue caratteristiche, sostenuti da una corporatura imponente. Il grande salto della carriera di Cuadrado ha impattato contro i cottage inglesi, quei mattoni rossi che colorano i quartieri londinesi.
A Londra continuava a sorridere, ma era spento. E’ stato un periodo difficile e io pregavo tutti i giorni perché tornasse in Italia. Sapevo che qui sarebbe tornato il solito Juan. Adesso vive un momento speciale, nel nuovo modulo si esalta.
Le parole di Dona Marcela, la madre che lo ha seguito ovunque fino a che non si è sposato. Un rapporto differente, reso granitico dalla perdita del padre.
6.
Cuadrado è giunto alla soglia dei trenta, eppure lo si immagina come un eterno giovane. Un po’ per la sua corporatura poco sviluppata, un po’ perché continua a mantenere determinate caratteristiche, nonostante l’età che avanza. Con Allegri ha compiuto la maturazione definitiva, meno libertario e più propenso al sacrificio. Alla Juventus non puoi prescindere da compiti difensivi, la sua dedizione ha permesso questo ultimo step. Talvolta accettando di non essere protagonista, cosciente del ruolo che il suo allenatore gli ha ricucito.
È con il 4-3-3 che il suo potenziale si esprime al meglio, Cuadrado è uno di quegli esterni che ha resistito alla tendenza dell’ala a piede invertito. In Mario Mandzukic ha trovato il suo alter-ego: due giocatori talmente differenti tra loro, da essere perfettamente complementari, occupando due porzioni opposte di campo.
Raramente lo vedrete rientrare per calciare sul palo opposto, in compenso, ha la straordinaria capacità di tagliare sul secondo palo. La sua agilità gli permette di liberarsi dalla marcatura abilmente, sia a rimorchio che in situazione di gioco più statico. La maggior parte dei suoi gol avvengono all’interno dell’aria piccola, in controtendenza con il passato viola, dove arrivava spesso alla conclusione dopo una percussione solitaria in progressione.
7.
Dodici minuti: il tempo che è intercorso tra il suo ingresso in campo, ed il gol che ha sbilanciato le sorti del campionato. Come due stagioni fa, Cuadrado entra dalla panchina, e cambia le sorti di un momento cruciale. Il gol nel derby contro il Torino allo scadere e l’inizio di una striscia lunga 15 vittorie consecutive. Il gol di sabato scorso, nonostante la pubalgia che lo ha tenuto fermo per due mesi. La partita contro il Milan è un capolavoro di gestione della panchina da parte di Allegri, una mezz’ora di moto provvisorio e incontrollabile.