Notte di ordinaria follia

Quando le carte sembrano essere chiare, il futuro luminoso e tutti i pezzi del puzzle inseriti nel giusto verso, ecco che prontamente tutto viene scombinato. Così come accade nelle giornate di sole, dove le nuvole possono intervenire da un momento all’altro per interrompere il tepore che i raggi proiettano, ecco che sui parquet americani sono intervenuti i ‘piccoli nomi’ a gridare la propria voglia di rivalsa, ricordando alla lega che ci sono anche loro.

Se ne ricorderanno i Cavs, campioni in carica, franchigia praticamente perfetta in ogni posizione, con un allenatore che ha fatto vedere lo scorso anno di che pasta è fatto, ma che stanotte ha perso decisamente la retta via nella sconfitta contro Milwaukee. I top three erano tutti in campo, da un LeBron e un Irving particolarmente spenti sul fronte assist e rimbalzi, fino ad arrivare alla doppia doppia inutile di Love, con 13 punti e 13 rimbalzi. E questa poca verve da parte dei ragazzi del lago, ha dato il via alla libera espressione del talento greco in maglia 34, lo stesso numero dei punti segnati nella notte, quell’Antetokounmpo che il suo stesso allenatore, Jason Kidd, ha definito una realtà della lega che nessuno si prende la briga di nominare solo per la difficoltà del suo nome. Ma il ragazzino maledettamente forte, insieme a Beasley, Monroe e Parker, ha giocato un tiro mancino decisamente poco apprezzato dalla compagnia di Cleveland, andando così a far pareggiare ai Bucks vittorie e sconfitte a quota 8.

E in una notte dove tutto ciò che tocca terra è risultato essere stravagante e straordinario, non è stata solo Cleveland l’illustre sconfitta; chiedere a Spurs e Clippers per conferma. I ragazzi di Popovich sono usciti malmenati psicologicamente dalla partita con Orlando, forti di una buonissima prestazione di squadra dove quasi tutti i componenti sono andati in doppia cifra, da Ibaka a Fournier, passando per Gordon e arrivando a Vucevic. Troppo ancorati a Leonard e Aldridge gli Spurs, entrambi comunque poco lucidi in campo, visti i soli 37 punti segnati in due che non hanno fatto altro che lenire un minimo dolore, probabilmente amplificato negli spogliatoi dalla rabbia di Pop. Gasol inesistente, Mills nullo, Simmons ancora troppo Dr. Jekyll e Mr. Hyde.

E per una texana che muore, una californiana comincia a sentire un po’ di stanchezza, soprattutto dopo le prime 19 partite giocate in maniera fenomenale. I Clippers hanno infatti perso (di cinque punti, sia chiaro) contro i meno quotati avversari della costa opposta, quei Brooklin Nets che incredibilmente si svegliano solo con le grandi, e ogni tanto riescono anche a strappare il risultato. Dopo i primi tre quarti sembrava non esserci partita, con LA sempre sopra, sicura di controllare il vantaggio; poi, nell’ultimo quarto, la pazzia e la voglia di Lopez e compagni hanno portato la gara a due OT, con il secondo che ha visto il minimo parziale di 9-4 in favore dei bianconeri. Prestazione maiuscola di tutti i Nets, ma sugli scudi si merita di andare Kilpatrick con i suoi 38 punti e 14 assist, mostruoso come mai era stato in tutta la sua carriera. Straordinari anche Booker, Bogdanovic e il veterano newyorkese già citato Brook Lopez, sempre più trascinatore e comandante di una nave che non vuole e non deve far affondare. Dall’altro lato troppo poco i soli Chris Paul e DeAndre Jordan, entrambi a tirare il carro biancoblu, entrambi con doppie cifre nella griglia di punti e rimbalzi (anche assist per CP3), entrambi sconfitti insieme alla poca freddezza di JJ Redick e all’evanescente Austin Rivers.

Sembravano essere quelli della scorsa stagione i Lakers di Walton, troppo spenti davanti a sua maestà di New Orleans Anthony Davis, 41 punti e 16 rimbalzi in quarantuno minuti giocati. Un vero leader il #23, probabile oggetto di scambio in qualche trade per farlo andare a giocare dove il titolo può essere un sogno reale e tangibile. O magari in qualche squadra che sta lentamente scaldando i motori, come Houston, dove il solo barba non basta e uno come Davis farebbe comodo. Lo dicono i numeri stratosferici che Harden deve fare ogni notte ( 26-5-7, in ordine punti-rimbalzi-assist) e la sconfitta contro Utah, dove Hayward e Gobert stanno cominciando a conoscersi sempre meglio, e le buone percentuali lo confermano.

Avere un grande nome cucito sulla maglia o tenere dei buoni numeri a ogni partita, non bastano per far sì che si possa aspirare al titolo. Bisogna avere lucidità a sufficienza per ricordarsi che il basket è un gioco di squadra, dove tutti devono essere coinvolti, dove chi si atteggia a primo violino non deve pensare di essere l’unico. Il roster è e deve essere un’orchestra che suona all’unisono, per far sì che le notti di ordinaria follia siano sempre all’insegna del bel gioco e della spettacolarità, non soltanto qualcosa che accade una tantum. A chi guarda bisogna far sì che gli occhi luccichino, a chi gioca deve essere imposto di dare il massimo, fidandosi di se stessi e, ancora di più, del proprio compagno.

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