Il Mos Maiorum per gli antichi romani era la base del codice di comportamento. Tutto nasceva dalla convinzione che il mantenimento o il ritrovamento dei “costumi degli antenati“, genericamente percepiti come puri e migliori, fosse fondamentale per una società che aspirasse a ritrovare la cosiddetta Età dell’oro. Questo era un periodo storico indefinito del quale provavano grande nostalgia, pur non avendolo vissuto appieno.
Sono concetti sbagliati nell’idea e insostenibili nella sostanza, l’antica Roma lo ha dimostrato, tuttavia continuiamo a rimanerne abbagliati anche oggi.
Il radicamento di questa convinzione è infatti sopravvissuto alle invasioni barbariche e agli eventi dei successivi due millenni, arrivando fino ai nostri giorni sotto molteplici forme.
Per qualche strana ragione, ad esempio, ogni generazione viene considerata peggiore di quella precedente.
Nel calcio, purtroppo, tutto questo ruota attorno ad un termine, nostalgia, che in realtà indica uno dei sentimenti più nobili e delicati che un essere umano può provare. E, come tale, si dovrebbe rispettare.
La nostalgia ha un potere immenso su di noi e usarla per un superficiale “era meglio ieri” è un comportamento sleale, oltreché mistificatorio e denigrante verso le nuove generazioni.
Perché nessuno ricorda come è andata a finire?
Un esempio della mistificazione appena citata, ce lo dà proprio l’epilogo dell’epopea calcistica che oggi viene più spesso associata alla nostalgia, ovvero quella relativa agli anni ’90 e primi 2000. Cominciamo dalla fine, qualcuno potrebbe dire.
Fallimenti, ruberie varie e uno degli scandali più gravi della storia del calcio mondiale. Non fa piacere a nessuno dirlo, ma ricordatevi che la base dei vostri ricordi ha qui le sue radici.
Delle squadre presenti nella serie A di venti anni fa (1999/2000), otto su diciotto hanno dovuto fare i conti con gravi problemi e conseguente rifondazione negli anni successivi. E da questa lista è esclusa la Lazio di Cragnotti, non esattamente un esempio di trasparenza e virtuosità.
Ora, sulla base di questa consapevolezza, con che coraggio direste ad un ragazzino di “rifarsi al costume degli antenati“? Quale sinapsi inibisce la profonda vergogna che dovrebbe provare una nazione calcistica di fronte a tali fatti?
È difficile da spiegare, o forse no.
Si tratta della nostalgia dell’immaginazione, un sentimento che toglie le basi storiche di un fatto, facendo leva solo sulle emozioni ad esso connesse. E allora poco importa il modo in cui Crespo è arrivato alla Lazio, vi ricordate quanto era forte? Altro che Immobile.
Che poi Immobile con la Lazio ha segnato in una stagione i gol che Crespo ha fatto in due…
E sia chiaro, non c’è nulla di male nel provare questo tipo di emozione, anzi, va coccolata e gestita. Tuttavia, non deve neanche diventare motivo d’insulto verso chi ha ricordi e riferimenti più moderni.
Tutti ricordiamo gli eroi della nostra giovinezza come speciali, ma il crescere ci impone di fare della critica per capire cosa fosse giusto e cosa no. Fossilizzarci sui ricordi non porta a niente di positivo, specie se questi sono inflazionati dalle nostre emozioni infantili.
Emozioni che difficilmente rivivremo con la stessa intensità, per questo proviamo nostalgia.
E del resto era un profondo conoscitore degli esseri umani – e anche del fùtbol – come Osvaldo Soriano a dirci che man mano che il tempo passa cominciamo a vedere l’infanzia come un paradiso perduto. Provare nostalgia per quel periodo è normale.
Il calcio di ieri e di oggi sono un continuum
Chiariamo subito una cosa: nessuno è qui per fare paragoni di alcun tipo. Anzi, l’obiettivo è proprio far capire la necessità di non creare parallelismi.
Il calcio italiano di oggi è conseguenza diretta e logica di quello ieri, sebbene oggi vada di moda percepirli come entità distinte, entrate in contatto per non si sa quale motivo.
È banale dire che la Serie A in cui giocavano i Ronaldo e Zidane era molto più appetibile, ma chiediamoci anche cos’è successo dopo. Perché siamo arrivati ad essere quarti in Europa per valore dei diritti tv del campionato? È successo tutto dal niente o ci sono state delle cause?
Ecco, forse per fare un discorso serio sulla nostalgia calcistica bisognerebbe partire da questo. Bisognerebbe fare un’analisi del perché si analizzi un determinato periodo storico ricordando solo gli aspetti positivi e di un altro ricordando solo quelli negativi.
È un comportamento parecchio sleale che ha conseguenze nefaste, tra l’altro largamente diffuso anche nella società italiana.
I ricordi e la nostalgia vanno coccolati, ma fanno male se portano a distorcere la realtà. Dire che i faccendieri di oggi sono dei ladri mentre quelli di ieri erano vulcanici e istrionici ma in fondo genuini è sbagliato, perché la situazione di oggi ha le sue radici lì.
Le colpe dell’arretratezza dell’Italia calcistica stanno nei 20 anni in cui hanno pensato tutti a spendere e spandere, senza costruire, senza programmare, molto spesso prendendo soldi laddove magari non dovevano nemmeno esserci.
Invece no, meglio dare addosso a chi è appena arrivato e tenta di cambiare qualcosa, piuttosto che identificare i veri colpevoli e trattarli come tali.
E non solo, spesso questi ultimi vengono anche idolatrati, vuoi mettere regalare sogni ai tifosi? Chissenefrega da dove venivano fuori i soldi.
Dai, sul serio, davvero nessuno si è chiesto come mai il 90% delle squadre amministrate da personaggi istrionici abbia avuto problemi finanziari?
Cioè, parliamo di gente così…
Contro l’estremismo della nostalgia
La somma di quanto detto finora, genera poi il principe di tutti questi comportamenti: denigrare le nuove generazioni sulla base di quello che non hanno potuto vedere. Un po’ come se fosse una colpa essersi innamorati del calcio grazie a Dybala e Neymar piuttosto che con Mancini e Romario.
Atteggiamento, tra l’altro, piuttosto incoerente con la visione romantica del calcio che essi tentano di promulgare. Il calcio regala emozioni, ma solo le loro possono essere considerate autentiche, capito?
Se sei nato nel 2002 e ti piace Icardi cosa potrai mai capirne di calcio, non hai mai visto giocare Stefan Schwoch.
Potrebbe sembrare un esempio a caso ma non lo è.
Perché l’estremismo della nostalgia si manifesta anche nel paragonare calciatori a caso, ovviamente solo per dire che erano meglio quelli di prima.
Come è giusto che sia, questi paragoni si basano poi su categorizzazioni antiquate che oggi non sarebbero nemmeno più valide, ma vuoi mettere Skriniar con Georgatos?
Chissenefrega poi che nel 2019 il 99% dei calciatori abbia uno stile di vita esemplare, meglio quelli di ieri, soprattutto quelli che curavano poco i capelli e che bevevano e fumavano.
Idoli assoluti, soprattutto se magari avevano anche tante ragazze, in pratica se erano prototipi eclatanti dell’italiano medio-basso.
La nostalgia che non era tale
In realtà, tutto quello che si è detto finora non è nulla di particolare.
Ognuno di noi protegge le emozioni legate algli anni giovanili come se fossero speciali, come se nessuno abbia potuto vivere qualcosa di simile.
Ma è proprio qui il punto. Si tratta di emozioni, che quindi sono estremamente soggettive e spesso prive di quella fattualità che potrebbe porle come argomentazioni serie.
Tutti ci siamo emozionati con le punizioni di Juninho Pernambucano e di Shunsuke Nakamura, ma probabilmente le abbiamo viste con quegli occhi sognanti che la maturità ha portato via.
Un po’ come quando diciamo che non fanno più i cartoni animati come quelli di quando eravamo piccoli. Vero o no, i nostri genitori ci dicevano la stessa cosa, e i loro genitori uguale.
…poi vabbè, queste ce le ricordiamo tutti.
Questa però ci permette di ricordare solo gli eventi positivi, amplificandoli, facendoci dimenticare tutte le volte che qualcosa non andava bene.
Un sentimento così, proprio perché legato alla sfera emozionale, esula dalla realtà dei fatti e, di conseguenza, andrebbe trattato come un bel ricordo, e i ricordi non si mettono in competizione col presente.
Per questo, imporre il calcio di 20-25 anni fa come il migliore a prescindere è sbagliato, e tra tale visione e la nostalgia c’è di mezzo il mare.