Fa male, tanto.
Leggere che Derrick Rose stava seriamente valutando l’ipotesi di abbandonare il basket per sempre, era veramente un colpo al cuore. Purtroppo era tutto vero.
Per fortuna, l’MVP più giovane della storia ha voluto confrontarsi con la dirigenza dei Cavs e ha deciso di provare a rinascere un’altra volta. L’ennesima.
Tutto questo fa pensare, perché è impossibile non chiedersi cosa possa aver portato uno dei più grandi prospetti degli ultimi anni a una decisione cosi drastica.
Il Prodigio mancato
Ogni amante della pallacanestro non può dimenticare i favolosi anni di Jordan, Pippen, “The Worm” Rodman e le finali contro gli Utah Jazz di Karl Malone e John Stockton, con il leggendario “Flu Game“.
Epoche che hanno segnato la pallacanestro moderna e ne hanno ristabilito le gerarchie.
Quei Bulls avevano messo in atto un’opera di grande raggio, che coinvolgesse tutti: loro davano spettacolo, loro hanno fatto esplodere il fenomeno NBA in tutto il mondo e hanno consacrato il miglior giocatore di sempre.
Il dilemma su cui ci si batteva molto era grande: ci sarà mai un erede in grado di riportare ai fasti di quelle stagioni memorabili?
Il 2008 sembrava averci dato una risposta. È l’anno dell’arrivo di un nuovo prodigio, di qualcuno che potesse caricarsi sulle spalle le enormi speranze di una città non abituata a restare in disparte.
Derrick Rose era l’anello mancante per creare una coesione tra mentalità vincente e personalità sul campo. Arrivare a 20 anni come deus ex-machina in una piazza cosi importante e prendersi la leadership fin da subito non è da tutti.
La grande rapidità con cui ha messo in evidenzia le sue caratteristiche tecniche poteva essere paragonata alla stessa con cui è entrato nei cuori dei tifosi Bulls.
Le prime partite consacrano finalmente le speranze di un’intera franchigia, ansiosa di conoscere questo ragazzo.
Diventa il primo rookie dei Bulls a segnare almeno 10 punti nelle prime 10 partite dai tempi di Sua Maestà Jordan.
A confermare la teoria di avere tra le mani un futuro fenomeno è il premio “Rookie Of The Year“, riconoscimento non fondamentale nella carriera di un giocatore, ma che riassume l’enorme talento di un ragazzo cosi giovane, quanto determinato.
Vinny Del Negro, all’epoca coach dei Bulls, diventa il mentore di Rose e una figura paterna di cui non può fare a meno. Sa di avere tra le mani un potenziale immenso che ha bisogno di continuo supporto morale e di essere accudito per non disperdersi.
Al suo esordio nei PlayOff contro i campioni in carica dei Boston Celtics, Rose diventa il secondo giocatore di sempre a concludere con almeno 35 punti e 10 assist, chiudendo a 36 punti ed eguagliando Kareem Abdul-Jabbar per numero di punti registrati da un rookie al debutto nei PlayOff .
Una stagione stratosferica che sembra l’inizio di un crescendo continuo nei successivi anni. Tutto troppo bello e semplice per essere vero.
Una vita al limite
Rose è natio di Chicago, precisamente di Englewood, una delle aree più pericolose della città. Un posto vicinissimo al concetto di “inferno”, un paesaggio di degrado, abbandonato a sè stesso.
Ironia della sorte, la fragilità di un territorio cosi influente su ragazzi giovanissimi non si riflette sugli obiettivi precisi del giovane Derrick, ma, quasi come una maledizione voodoo, lo punisce in una gracilità fisica che lo porterà dalle stelle alle stalle.
Si, perchè molte volte un grande giocatore si lascia andare alle cose più frivole come l’alcool, droga, feste sfrenate, mettendo in secondo piano la passione di una vita per lasciare spazio alla vita mondana.
Rose ha invece ben chiaro cosa fare della sua vita, ma il destino ha scelto altro per lui.
Fino al 2011, continua a sfornare prestazioni da urlo ed ha in mano la leadership della squadra: un miglioramento individuale costante alle voci punti, assist, rimbalzi e tiro da tre, una notevole crescita collettiva che porterà a 62 vittorie e 20 sconfitte al termine della RS 2010/2011. La ciliegina sulla torta sarà il premio MVP, a soli 22 anni, il più giovane di sempre, come detto.
Tempi splendenti, in cui finalmente si respira quell’aria di vittoria che mancava da tanto tempo nella Windy City, sembra tutto troppo bello.
Il numero 1 è un leader silenzioso, non parla molto, ma si fa sentire sul campo, fino a quel maledetto giorno.
La vita cestistica di Derrick Rose cambia per sempre il 28/04/2012, quando deve far fronte al suo primo grave infortunio al ginocchio. È gara 1 dei PlayOff contro Philadelphia.
L’atmosfera che si respira allo United Center è colma di tensione, ansia e terrore. Sanno che non è niente di buono e il castello creato sulle fondamenta della coesione di squadra e l’incredibile individualismo di Rose, potrebbe crollare in un attimo, non a caso, dopo l’infortunio, contro i Sixers vanno fuori.
Da quel momento, Rose salterà la stagione 2012/13 giocherà 10 partite nella stagione 2013/2014 a causa di una delle tante ricadute che lo perseguiteranno e tornerà solo nella stagione successiva, per 51 partite.
Sarà un calvario continuo che lo colpirà soprattutto nell’animo.
Marco Van Basten si ritirò all’età di 28 anni per delle caviglie di cristallo, troppo fragili per sorreggere i numerosi colpi dei difensori avversari. Rose a 25 anni era già con un piede fuori dall’NBA, proprio ciò che lo ha salvato da una fine miserabile in periferia; si rompe, ritorna, gioca, sembra quello di un tempo, ma gli infortuni sono una costante troppo presente.
Questo è il riassunto degli ultimi anni dell’ex Bulls, perennemente ai box.
Di solito, le belle storie partono da un contesto difficile per arrivare al lieto fine conclusivo. Per Derrick si tratta di una favola al contrario, attraversata da tanti intermezzi più negativi che felici.
Le troppe incomprensioni tecniche con Butler e coach Heiberg lo porteranno ad infrangere il sogno di giocare per la propria città a vita.
Passa ai New York Knicks, sa che l’amore con la Windy City è finito nel peggiore dei modi, senza riuscire ad arrivare sul tetto del mondo con un titolo come per LeBron con Cleveland, da vero trascinatore della patria.
Si sa che New York è la city dalle mille possibilità che ti inghiotte positivamente nel suo mondo e ti mette in vetrina.
I Knicks sono in piena ricostruzione, ci sono Porzingis ed Anthony a fare da spalle, anche qualcosa in più.
Questa era la grande possibilità di Derrick Rose di rimettersi in forma, ritornare ai fasti iniziali e dimostrare ancora una volta il suo valore.
A metà stagione sparisce senza avvertire nessuno e si reca a Chicago per motivi familiari, a sua detta. E pensare che aveva ritrovato un buon rendimento (18 punti, 3,8 rimbalzi e 4,4 assist con il 47,1% al tiro) che non si vedeva dal 2012 e un ambiente per imporsi.
Drammaticamente a cadere non è stato più il suo fisico, ma la sua testa.
E ancora non resta che chiedersi, cosa può aver attraversato per arrivare a tanto.
Un nuovo inizio
Estate 2017. Altro giro, altro tiro, altro regalo, come direbbe il buon Flavio Tranquillo.
Rose si reca alla corte di LeBron James, ripartendo nuovamente da zero.
La nuova stagione inizia lentamente, come d’altronde gli ultimi tempi per lui.
Tyronn Lue decide di offrirgli minuti per recuperare il feeling con il campo, senza fretta e grandi pretese. I Cavs sanno di dover lavorare soprattutto sull’autostima del ragazzo, terribilmente frustrato di aver perso quel carisma e tranquillità di inizio carriera.
Si allena in modo prudente senza fare il passo più lungo della gamba e imparando qualcosa dal numero 23 in termini di personalità.
L’infortunio alla caviglia lo perseguita e qui arriva la notizia clamorosa di voler chiudere definitivamente il suo rapporto con la pallacanestro.
La dirigenza dei Cavs gli ha lasciato tempo di riflettere su una cosa delicatissima che avrebbe stravolto la sua vita. Avrà rivisto i propri sacrifici per arrivare fino qui, avrà pensato ai suoi amici rinchiusi nel ghetto senza un futuro certo, avrà ripensato alla sua famiglia e, quindi, alla fine, ci ripensa.
“Quando sarà pronto, noi saremo pronti a riaccoglierlo”, dice LeBron James ai media. “Nessuno può capire cosa sta attraversando, ma noi saremo il suo scudo se vorrà”;
“E’ troppo giovane e talentuoso per smettere: siamo contenti di riaverlo con noi”, le parole di Lue dopo il cambiamento di idea di Rose.
In fondo, vedere smettere un ragazzo cosi colmo di talento sarebbe un colpo al cuore.
Ci avrà riflettuto a fondo Derrick sulle dolci, quanto giuste, parole del suo staff. Noi speriamo che la sua parabola discendente trovi una curva verso l’alto e il suo animo torni quello feroce e affamato dai tempi dei suoi esordi.
Ora intanto è tornato ad allenarsi e questo è già un grande regalo di Natale per ogni malato della palla a spicchi, e anche per Derrick, che ha toccato il fondo e si appresta a riprovare a ritornare in superficie, cercando di risolvere tutti i suoi conflitti interni, sconfiggendo tutti i suoi demoni.