Non parlate di tattica a Massimiliano Allegri

Chi frequenta un minimo i social network si è sicuramente imbattuto in una miriade di meme a tema Civil War. Capitan America e Iron Man, nel film a capo di due opposti schieramenti, nei meme si scontrano sui temi più disparati, ovviamente in chiave ironica/demenziale. Basta un attimo a sostituire le facce di Robert Downey Jr. e Chris Evans con quelle di Massimiliano Allegri e Lele Adani per ritrovarci nel bel mezzo della Civil War che anima il dibattito calcistico italiano con toni sempre più aspri. Da una parte troviamo i cosiddetti risultatisti, dall’altra gli amanti del bel gioco.

Così schematizzata, la polemica presenta subito una contraddizione piuttosto evidente. Ciò è frutto del profondo cambiamento e, oserei dire, della degenerazione che il dibattito ha subito nell’ultimo anno. Lo scontro è nato e si è sviluppato principalmente per due fattori. Il primo è l’impatto che Maurizio Sarri alla guida del Napoli ha avuto sul campionato italiano; una prima fase della polemica è dunque identificabile col dualismo Napoli-Juventus e, soprattutto, con le opposte filosofie dei due tecnici Allegri e Sarri. Il secondo combustibile che alimenta la polemica è costituito invece dalle ultime débacle europee della Juventus. Nell’occhio del ciclone è così finito proprio Massimiliano Allegri, accusato anche dai suoi stessi tifosi di esprimere un calcio troppo poco compatibile a quello che richiedono le competizioni europee. Ma andiamo con ordine.

Inter-Juventus, 2018…

Sabato sera è andata in scena Inter-Juventus, partita tradizionalmente al centro di polveroni mediatici e scontri dialettici piuttosto accesi; nel contesto insolitamente tranquillo del derby d’Italia, è però andato in onda il secondo episodio dello scontro fra Allegri e Adani. Il primo era avvenuto esattamente un anno fa, anche lì in occasione di Inter-Juventus; confrontare i due battibecchi ci consente di comprendere meglio il cambiamento avvenuto nel dibattito, anche all’interno del linguaggio del tecnico juventino.

È un Allegri molto provato quello che si presenta ai microfoni di Sky al termine di una partita che, fra mille polemiche, risulterà nei fatti decisiva per la vittoria di uno scudetto che sembrava quasi sfumato. Nell’analisi di Adani, la Juventus è una squadra che a volte appare troppo in balia degli eventi, la giocata con cui i bianconeri spesso risolvono le partite sembra più trovata per la qualità dei singoli che meritata attraverso un’impronta di gioco. L’opinionista di Sky chiede dunque ad Allegri come si può migliorare questo aspetto, e il tecnico toscano ne approfitta per togliersi qualche sassolino dalla scarpa; secondo Allegri, si vuole fare del calcio uno sport più difficile di quello che in realtà è, in televisione e nelle scuole calcio si parla troppo di teoria, di tattica e di schemi, dando troppo poco spazio alle giocate dei singoli. Tecnica e tattica individuale e organizzazione difensiva sono i paletti che Allegri mette al primo posto. Nella sua visione dunque, sono i grandi giocatori e le grandi giocate a fare la differenza, non il grande sistema di gioco. Da qui l’esempio del basket, sport in cui per decidere la partita si libera al tiro il giocatore più forte. Allegri poi va via, ma Adani, anche se a distanza, risponde; secondo lui, proprio l’esempio del basket dimostra la fallacia delle tesi di Allegri. È vero che si libera il giocatore più forte al tiro, ma è anche vero che ciò avviene tramite schemi provati e riprovati. Il basket è insomma il trionfo della tattica.

Inoltre, per Adani parlare di tattica non è parlare di vuota teoria, ma di idee. E le idee, nella loro varia realizzazione, rendono il calcio lo sport più bello del mondo.

Questo battibecco a distanza, nonostante i toni accesi da parte di Allegri, rimane assimilabile a un semplice confronto fra due modi diversi di vedere il calcio. Del resto, sul fronte bel gioco, anche l’elogiatissimo Maurizio Sarri aveva ricevuto critiche, naturalmente di segno opposto; troppo schiavo delle sue idee e del suo sistema di gioco, troppo poco capace di cambiare. Ruolo maggiore o minore dell’allenatore, fedeltà o meno a un’idea di gioco, forza dei singoli o organizzazione collettiva, calcio propositivo o calcio difensivo sono tutti aspetti su cui ognuno di noi può tranquillamente esprimere la propria preferenza senza che ci siano idiosincrasie.

…e 2019

Come detto però, il dibattito appare ormai degenerato. E, nella comunicazione stessa di Massimiliano Allegri, qualcosa pare essersi incrinato. L’Allegri che si è presentato ai microfoni sabato sera non sta vivendo un periodo facile; la brutta eliminazione dalla Champions League patita dalla Juventus per mano dell’Ajax ha segnato il fallimento dell’obiettivo stagionale dichiarato. Fallimento che vede come principale responsabile, più o meno all’unanimità, proprio Massimiliano Allegri; i tifosi bianconeri e gli addetti ai lavori non gli perdonano di aver visto una squadra letteralmente surclassata dai molto meno quotati olandesi. Alla domanda di Adani, Allegri ha risposto con ancor meno diplomazia rispetto a un anno fa.

Il dibattito è molto diverso dal precedente, non solo per i toni molto più accesi. Allegri, pur di difendere le sue idee, porta all’estremo i concetti che aveva espresso l’anno scorso. Arriva così alla negazione totale della tattica e, quindi, quasi alla negazione di se stesso. Le affermazioni “Fare l’allenatore non è mettersi a tavolino e fare gli schemi tattici” e “Io non sono un teorico” sono abbastanza emblematiche in tal senso; ma Allegri va oltre, assimilando alla sua visione anche una squadra che si affida a principi totalmente opposti. E così, l’Ajax non ha fatto una grande partita dal punto di vista del gioco, ha fatto quattro ripartenze. La cosa più grave dell’intervista di Allegri è però un’altra. Anche nel suo linguaggio trova spazio la contraddizione insita alla divisione tra risultatisti e amanti del bel gioco: sembra che vincere e giocare bene appartengano ad ambiti distinti, separati da una distanza incolmabile. Sembra quasi un’esaltazione del giocare male come unico mezzo per ottenere la vittoria.

C’è un senso?

Appare dunque ben chiara la degenerazione del dibattito. Quello che poteva essere un confronto tra filosofie di gioco, si è trasformato quasi in un confronto sull’essenza stessa del calcio. Confronto che ha ben poco senso di esistere; per quale ragione un risultatista non dovrebbe apprezzare il bel gioco? E per quale ragione un amante del bel gioco non dovrebbe aspirare a vincere?

Questa che potebbe sembrare una querelle chiusa nei confini dell’Italia, Paese i cui abitanti si dilettano notoriamente a fare gli allenatori, è in realtà ben presente anche nel linguaggio calcistico extraitaliano. Basti pensare che anche uno come Guardiola, interpellato riguardo la pressione di dover vincere la Champions, ha risposto che è andato ad allenare il Manchester City per esprimere un bel calcio, non per vincere la Champions. Risposta sicuramente utile ad allentare la tensione prima di una partita importante, ma quantomeno ipocrita; anche i giocatori dell’Ajax, carnefici della Juventus, dopo la partita di andata sottolineavano nelle interviste come il loro scopo primario fosse divertirsi. La Juventus, al contrario, era nella loro ottica la classica squadra italiana, dedita solo all’acquisizione del risultato e a un calcio speculativo. E se le parole di Allegri sembrerebbero dare ragione ai ragazzi di Ten Hag, è pur vero che questi ultimi hanno ben dimostrato sul campo che il loro scopo era vincere, e l’hanno fatto anche giocando bene.

È giusto affermare che nello sport vincere non è l’unica cosa importante, ma è altrettanto giusto riconoscere che il puro bisogno di divertirsi non è l’unica ragione che ci spinge a calciare un pallone. In questo dibattito in cui si è un po’ persa la bussola, sarebbe forse ora di tornare a livelli di discussione più seri. Ad esempio, per capire come mai in questo momento storico il calcio più speculativo della Juventus di Allegri risulti perdente in Europa, aldilà di risultatismi e altre amenità.

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