La disfatta da parte della Nazionale ha chiarificato la situazione del nostro calcio: confusione, zero investimenti sul settore giovanile e strategie sbagliate. Una sconfitta che ha lasciato grande amarezza e tirate speranze per il futuro. Ventura disponeva di Insigne e Donnarumma, due dei maggiori talenti italiani relegati in panchina (la scelta per il 99 rossonero è plausibile, data la presenza di Buffon) con una voglia matta di dimostrare le loro capacità. Lo scugnizzo azzurro, invece, ha assaporato per pochi minuti il campo all’andata in Svezia, ma era troppo poco tempo per tirare fuori il coniglio dal cilindro magico.
Ora, si riparte dal campionato e sabato, al San Paolo, nel giorno dei derby d’Europa, c’è Napoli-Milan.
Uno scontro cruciale per entrambe
cercheremo di capire la situazione delle due squadre prima dell’incontro
Il Napoli ha voglia di ripartire in campionato, confermare il primato e lanciarsi in un periodo della stagione che la vedrà affrontare la Juventus (1 dicembre) verosimilmente per la testa del campionato, e le due partite di Coppa che diranno molto delle ambizioni partenopee di questa stagione: un’eventuale (a questo punto molto probabile) uscita dalla Champions potrebbe avere ripercussioni psicologiche non indifferenti; per il Milan è il momento di partire definitivamente, scrollarsi dalle spalle un inizio deludente e sperare che qualcuno davanti incominci a mollare qualche colpo.
Napoli/Sfatare il Tabù
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— Official SSC Napoli (@sscnapoli) November 16, 2017
I partenopei di Maurizio Sarri sono anni che si “accontentano”, non per loro volontà ovviamente, dei secondo o terzo posto come massimo piazzamento. Il dominio Juve ha letteralmente schiacciato i progetti tricolore degli azzurri e non solo, creatori di una strategia vincente che impera sulla Serie A da sei anni. I vari Cavani, Lavezzi e Higuain sono stati gli ultimi terminali offensivi di spessore che il Napoli ha avuto in questi anni, portando alla crescita del brand campano, in simbiosi con una società organizzata dalle idee chiare che ha imparato dagli errori del passato, e dalle ceneri ha costruito un presente ormai solido. La Champions League non è più un miraggio, ma un obiettivo concreto da qualche stagione, e affrontare squadre internazionali ha significato un ulteriore miglioramento a livello tecnico di giocatori, dovuto a una struttura dirigenziale capace di intuire i bisogni del team. Nonostante le enormi cifre incassate da De Laurentiis per i tre assi sudamericani – rispettivamente: 64 mln, 30 mln e 94 – non sono state reinvestite pesantemente in ogni zona del campo, come molti si aspettavano. Solo qualche ritocco, ma funzionale al gioco del tecnico. Gli arrivi, su tutti, di Allan, Ghoulam, Mertens, Koulibaly e Zielinski sono la piena risposta ai mercati altisonanti che alzano il livello mediatico intorno alla squadra, senza pensare al vero obiettivo della campagna acquisti: costruire secondo un piano ben preciso.
Il tecnico toscano predilige una grande versatilità da parte dei suoi giocatori, facendoli crescere in ogni posizione del proprio ruolo. Gli esterni offensivi del Napoli sono anche grandi corridori di fascia, dando il massimo in attacco ma senza scordare l’aiuto importantissimo in difesa. Callejon negli ultimi tempi ha dato un peso specifico enorme al fattore sacrificio, dogma delle squadre sarriane.
Piccole pesti
La grande scoperta è stata Mertens falso nove che tanto falso non è, come confermano le 28 reti nell’ultimo campionato e 10 in questa prima parte. Il belga ha sempre giocato esterno d’attacco, ma con l’infortunio gravissimo di Milik nella scorsa stagione e la mancanza di alternative di ruolo, Sarri si è dovuto inventare un attacco zero fisicità e tutto talento: Insigne, Mertens e Callejon a cui aggiungiamo l’apporto del capitano Hamsik, tecnica sopraffina mista a carisma e leadership. I tre lì davanti sono dei veri maestri per quanto riguarda attaccare la profondità, ma con squadre molto ordinate, esempio del Chievo Verona, soffrono. Trovare spazi diventa più complicato, ma l’estro e la genialità possono colpire in qualsiasi momento. La rosa napoletana gode di un alto tasso tecnico offensivo: in particolar modo Insigne si sta affermando sempre di più, instaurando un rapporto di grande identità con i propri tifosi.
I tre “piccoli” del Napoli: Mertens, Callejon e Insigne.
Duttilità
Attualmente, il Napoli gioca il miglior calcio d’Italia e uno dei migliori in Europa, con una costruzione di gioco che coinvolge tutti i giocatori in campo, a partire da Reina. Creare una sinergia tra tutti i reparti è stato l’obiettivo di Sarri, il cui emblema è la straordinaria crescita di Jorginho, vero fulcro del centrocampo che sta facendo emergere tutte le sue qualità con grande intelligenza tattica; l’ex giocatore dell’Hellas Verona ha finalmente trovato la sua dimensione in maniera impeccabile a Napoli, completando un reparto che peccava di tatticismo. Quando fa coppia con Zielinski, poi, riesce a garantire un gioco propositivo con continui inserimenti del polacco senza abbandonare gli avversari in fase di non possesso. Il centrocampista ex Empoli e Udinese è stato un acquisto fortemente voluto da Sarri che lo sta forgiando sempre meglio a ricoprire entrambe le fasi di possesso/senza palla.
Parallelamente, c’è l’alternativa (o meglio, il “titolare”) Allan che non si può non amare per la grinta e la mentalità con cui scende in campo; il brasiliano è un vero guerriero, “rubapalloni” d’altri tempi come non se ne vedono in giro. Spesso si alterna con Zielinski, in base al tipo di partita e squadra da affrontare: se parte titolare, offre prestazioni da vero incontrista di centrocampo per un’ora abbondante, tralasciando magari l’aspetto tecnico, che non è il suo punto di forza, e imprimendo muscoli e fisicità. Nel caso in cui subentra a partita in corso in situazioni difficoltose, come nella partita d’andata di Champions League contro il Manchester City, porta vitalità e grande propensione offensiva. Allan rappresenta il concetto di adattabilità su cui tanto lavora Sarri e ne sta facendo una colonna portante del suo gioco. Il Napoli, non a caso, è capolista.

Milan/ Nĭ hăo
Great team spirit today at Milanello, guys! ????⚫️#weareacmilan
Che grande spirito di squadra oggi a Milanello, ragazzi! ????⚫️#ForzaMilan pic.twitter.com/3lo0TX3nD3— AC Milan (@acmilan) November 16, 2017
Tutt’altro mondo, quello del Milan. Una ricostruzione che si ripete da anni ormai e che questa estate sembrava aver visto, finalmente, una concretizzazione. Berlusconi ha lasciato la presidenza, il cinese Yonhong Li lo ha sostituito, e Mirabelli con Fassone si sono dati da fare sul mercato. Il mondo rossonero ha sempre gravitato attorno a posizioni di rilievo nel campo imprenditoriale e mediatico, e non è un caso che si sia investito tanto in strutture sportive ed amministrative, come Casa Milan. I grossi capitali cinesi hanno permesso una rivoluzione completa, anche tecnica, che da quelle parti non si vedeva da troppo tempo e che doveva prevedere ottimi risultati sin da subito: Kessiè, Kalinic, Andrè Silva, Biglia, Conti, Calhanoglu, Musacchio, Bonucci, Borini, Ricardo Rodriguez e potremmo inserire Patrick Cutrone come “acquisto in casa”. Grandi nomi, tutti con potenzialità non da poco.

Un passo alla volta
Il Milan è praticamente una squadra rifatta dalla testa ai piedi nei suoi 11 base, ad eccezione di Donnarumma e Romagnoli. Negli ultimi due mesi, a Vincenzo Montella è stata rinnovata più volte la fiducia, ma l’impressione è che sia stato fatto più che altro per mantenere calme le acque di un ambiente già in ebollizione: a inizio stagione si era partiti con un 4-3-3 più dinamico, per poi passare a un 3-5-2 coperto che però escludeva l’estro spagnolo di Suso, pedina fondamentale del gioco. L’inizio di stagione sembrava aver dato ragione ai vari Fassone e Mirabelli, costruttori di un mercato rivoluzionario. Dopo un avvio convincente a Crotone, tutti i difetti di questo Milan emergono nella sonora sconfitta in casa della Lazio per 4-1; Bonucci, che dovrebbe fare da guida per una difesa molto giovane (Romagnoli) o giocare in tandem con chi di esperienza ne ha (Musacchio), si lascia sfuggire Immobile in occasione del primo goal, e per tutta la partita. La manovra milanista è lenta, macchinosa, senza una idea di schema.
La più grande delusione di questo inizio di campionato ritengo sia proprio l’ex laziale Lucas Biglia. Arrivato per mettere in ordine una mediana vuota, non sta giocando con le qualità che lo hanno fatto emergere in biancoceleste: ampiezza di gioco, passaggi con il millimetro, intelligenza nel gestire palloni sanguinosi.
Lucas, sei tu?
Scardiniamo subito l’ultimo punto sottoscritto, evidenziando due tra i tanti errori dell’argentino in rossonero. Nel derby contro l’Inter, il gol del vantaggio sull’1-1 di Icardi parte da una palla persa a centrocampo in fase di transizione che lascia scoperta la propria difesa, anch’essa colpevole della rete subita. Contro la Juventus si è dimostrato ancora una volta spaesato e in pessima forma, lasciando ampi spazi di gioco a Paulo Dybala. Certo, non possiamo addossare tutte le colpe di una squadra su di lui, ma sicuramente non ci si aspettava uno come lui tra i peggiori. Montella in queste partite ha provato tante alternative di modulo: 4-3-3, 3-5-2 e 3-4-2-1. Risultato? Stesso punto di partenza. Uno dei difetti maggiori dei rossoneri sta nel giocare con una linea difensiva troppo larga, specialmente tra i centrali e lasciare zone di campo incredibili. Calhanoglu si sta ancora adattando al nostro campionato, Andrè Silva mostra il suo talento a sprazzi, e così Borini, l’acquisto passato più in sordina, si sta ritagliando uno spazio sempre più di spessore per la sua grande corsa e spirito di sacrificio. Ma ora bisogna svoltare: Montella deve necessariamente stabilire un’idea di gioco costante, continuativa, che cementifichi l’assortimento tecnico dei nuovi acquisti e consenta loro di sbloccarsi anche a livello psicologico, e poter dire a questo inizio di stagione un definitivo ciao.
