Apice

Prologo

Se alla fine dell’Ottocento la zona settentrionale dell’isola di Sumatra, quella intorno al lago Toba, non era ancora stata conquistata dai coloni olandesi, era grazie al popolo dei Batak: una tribù emarginata e misteriosa che si diceva possedere poteri magici e una certa propensione al cannibalismo. Elio Modigliani, uno studioso ed esploratore dell’epoca, li studiò a fondo, in numerosi viaggi, definendoli gente non troppo violenta per quegli anni e quelle terre, ma i Batak sapevano essere anche feroci con gli stranieri o coi loro fratelli; credevano, infatti, che uccidere e mangiare chi aveva infranto le regole del gruppo servisse a riconfermare l’unità e la forza del gruppo stesso.

Ora, come per tante altre tribù indigene, dei Batak resta solo un popolo sgretolato dal tempo la cui unica speranza di sopravvivere economicamente risiede nel turismo e, genotipicamente, in piccole tracce ereditarie che la globalizzazione ha fatto sì potessero viaggiare in giro per il mondo. Una di queste tracce, tramandata dal padre Marius, risiede nel DNA di Radja Nainggolan.

Tatuaggi, Anversa e Piacenza

A sentirlo parlare non si direbbe straniero. Nainggolan parla italiano meglio di molti italiani, ha un certo accento romanesco nel tono, ma l’aspetto, i lineamenti, quelli non mentono: in volto porta l’Indonesia, nei capelli la sobrietà, nei tatuaggi tutto il suo essere.

Ha un serpente verderame sul petto, che mostra i denti in direzione della frase One life, one wish. Sul braccio destro si susseguono motivi floreali, su quello sinistro un Buddha e una carpa, che dicono simboleggi il coraggio. Sul dorso delle mani ha quattro dadi, due a manca (discordi) due a destra (concordi) accompagnati rispettivamente dalla scritta Hate to lose e Love to win. Sulla schiena porta le ali della madre scomparsa nell’ottobre del 2010.

Le origini di Nainggolan sono affascinanti: i genitori si incontrano ad Anversa, in Belgio. Suo padre, come detto, porta nel sangue tracce dei Batak; sua madre, Lizy, è una fiamminga-cattolica con alle spalle un matrimonio fallito. Nell’88 danno alla luce due gemelli, una femmina e un maschio: Riana e Radja. Il nome di quest’ultimo in indonesiano significa Re.

L’unica foto senza tatuaggi.

La loro infanzia è regolare, scoprono entrambi la passione per il calcio grazie al padre che li porta a giocare al parco. Poi Marius se ne va, senza alcuna spiegazione, se ne va e basta, torna in Indonesia, lasciando la famiglia sulle spalle della moglie. Radja e Riana crescono in fretta per ovvi motivi, per necessità, e capiscono entrambi che il pallone può diventare qualcosa di più che un gioco. Riana oggi è una calciatrice della Res Roma. Radja nel 2000, a 12 anni, entra nelle giovanili del Germinal Beerschot, lì viene notato da Alessandro Beltrami, osservatore del Piacenza, che ne farà da procuratore.

Non cresce in Belgio come suoi tanti connazionali poi sbarcati nell’Europa che conta, ma arriva tra le nebbie del Pianura Padana che ha 17 anni e ne passeranno altri tre prima che riesca a ritagliarsi il suo posto tra i titolari: dapprima solo primavera e qualche sprazzo di partita. Nella stagione 2008/09 allenato da Pioli, è vero protagonista della salvezza del Piacenza con 39 partite, 3 goal, 4 assist, e l’appellativo di giovane e talentuosa promessa del centrocampo. Radja gioca titolare praticamente in ogni modulo dal 3-4-1-2 al 3-5-2 al 4-3-3. In quella squadra gioca anche Moscardelli, ma senza barba.

 In primavera col numero 10. Nella Juve si può notare Giovinco.

Lascia Piacenza solo a metà della stagione successiva, a gennaio è il Cagliari di Cellino che decide di scommetterci su e portarlo alla corte (solo per poco) di Massimiliano Allegri. In Sardegna trova una dimensione placida ma incoraggiante, in cui poter crescere sotto tutti i punti di vista, riuscendo a mantenere stagione per stagione il record di presenze (in toto ne colleziona 137). È in quel momento che il nome disordinato di Radja Nainggolan inizia a girovagare per l’Italia affiancato dalle prodezze e dalle acconciature virali.

Intanto cambiano sei panchine in tre anni: Bisoli, Donadoni, Ficcadenti, Ballardini, poi di nuovo Ficcadenti e Ivo Pulga. Ognuno dà una versione diversa del calciatore: c’è il Nainggolan mediano, quello centrocampista centrale, quello trequartista in un 4-3-1-2. Del belga stupisce la dinamicità inusuale, quella che lo rende in grado di performare al meglio praticamente in qualsiasi ruolo della zona di metà campo. Stupisce, soprattutto, l’essere tuttocampista con una qualità che raramente, prima di allora, era stata testimoniata.

[fe-rò-cia] s.f. (pl. -cie): Istinto che porta un animale a essere aggressivo.

Come di consueto il calciomercato si affolla di voci e dicerie e Nainggolan è dato per certo nuovo volto di almeno cinque-sei squadre diverse. Quelle che più si avvicinano sono la Juventus, il Napoli e la Roma. Come nello scorso trasferimento, è sempre a gennaio che si muove. La Roma investe su di lui 18 mln via comproprietà, quando ancora c’erano le comproprietà. Sabatini racconta l’affare quasi con tono epico, di rivincita: «Sono andato a prenderlo alle 4 del mattino» Risponde in un’intervista amichevole, ripreso dalle telecamere della Gazzetta.

«Quando ho preso Nainggolan a nove milioni per la metà del Cagliari, me hanno dato del cianotico, avvinazzato… Nove milioni per sfinimento, perché era già andato alla Juventus. Io sapevo che era un giocatore così forte e penso che sia più forte ancora» Facendo gesto, mentre boccheggia fumo dalle labbra, di riferirsi all’immediato futuro. 

Leale, ma nel calcio non si sa mai

È così che Nainggolan sbarca a Roma, permettendo a Rudi Garcia di colmare il buco lasciato da Kevin Strootman, con cui ora coesiste egregiamente. È il 7 gennaio 2014, ha 25 anni , non solo è un giocatore più che maturo, ma sembra anche giunto in ritardo sui grandi palcoscenici, e non è sicuro che riesca a rimanerci. Tutto viene confermato, recentemente, in un’altra intervista, proprio di Garcia, che da Marsiglia lo definisce: «Un vero guerriero […] Forse è arrivato un po’ tardi nel calcio che conta. Ricordo che ne parlai con Sabatini all’epoca: “Perchè a 25 anni non è ancora esploso”, ci chiedevamo» In realtà col francese, Nainggolan non coglie mai un gran feeling, anche a seguito della lenta discesa tecnica, tattica e mentale di quella non-così-lontana-Roma.

 Il filtrante al volo con cui concede a Totti il record di marcatore più anziano della Champions.

È in quegli anni che spopola il suo soprannome: il Ninja.

Ora, io ho sempre trovato poco adatto questo epiteto, ormai diventato un secondo nome. No, Nainggolan di ninja non ha nulla, non ha quel classico agire nell’ombra (anzi, è rumoroso e centrale nel gioco della sua squadra) né tanto meno è un mercenario, così come lo erano i ninja del Giappone feudale. Non è elegante, non è sinuoso, Nainggolan è pratico, quasi ferino nel modo di vivere il calcio. Non si può sfuggire alla genetica, è un guerriero Batak: un feroce indigeno asiatico, non violento per questi anni e questi campi, ma che non si sottrae mai alla guerra né con gli avversari in campo, né coi fratelli in spogliatoio. Il trattamento riservato a Pjanic in seguito al suo passaggio alla Juventus, per esempio, è cannibalismo punitivo per chi ha infranto le regole del gruppo, un gesto atto a riconfermare l’unità e la forza del gruppo stesso. Miralem si è sporcato di un peccato quasi primordiale, ha scelto di andare a giocare con la diretta avversaria per lo Scudetto, ha scelto di vestire la maglia di “quelli che vincono solo coi rigori”.

Si dice che gli stranieri siano meno attaccati alla maglia e meno fedeli. Si dice che Higuaín se fosse stato napoletano non avrebbe mai lasciato il Napoli; e Zanetti, Hamšík, sono solo eccezioni che confermano la regola. Nainggolan di queste eccezioni sembra far parte, anzi, esserne un’emblema: è venuto in Italia che aveva 17 anni, ne sono passati dieci, tre e mezzo da quando è a Roma, eppure da come parla, da come scende in campo, più che altri suoi colleghi stranieri, sembra possedere veramente un cuore giallorosso, sulla scia di Totti, De Rossi e Florenzi. E non è un caso che Nainggolan, ultimamente, ha indossato la fascia da capitano, prendendosi ufficiosamente il ruolo di leader della squadra. In una chiacchierata con quelli che Spalletti definisce “sciacalli” dice di essere «contro la Juve» da quando è nato. A chi gli chiede dell’interesse del Chelsea di Conte, lui risponde: «Sono felice qui, ma datemi il sole e verrò in Premier League.» Che suona quasi come uno sberleffo per un giocatore cresciuto tra il Belgio e la Pianura Padana, come a voler intendere: «Lasciatemi stare, sto bene qui» Anche se poi dichiara: «Nel calcio non si sa mai».

Tra i migliori, verso il finale

E se in questo piccolo excursus l’immagine specchiata di Nainggolan è sicuramente quella di un giocatore forte e leale, è da ora in poi che si può iniziare a elogiarlo come qualcosa di più. Con Spalletti, da questa stagione, è ritornato al suo ruolo d’esordio nelle giovanili di Anversa, il trequartista incursore alle spalle della punta, dove sta rendendo come mai prima d’ora. È più vicino alla porta, nel posto ideale per attaccare gli spazi di mezzo lasciati liberi tra la profondità di Salah, la costruzione bassa della Roma e le sponde di Dzeko. I suoi compiti difensivi e d’impostazione sono stati ridotti, permettendogli di concentrarsi unicamente sul pressing (in cui deve migliorare) e la schermatura. Elevandone, così, la libertà creativa in fase di possesso palla e le energie da poter mettere a disposizione. Per la prima volta in carriera è andato in doppia cifra, segnando 12 goal tra campionato, Europa e Coppa Italia; un goal ogni 286 minuti. Tra i pari ruolo, è il secondo in Serie A e il terzo in Europa (dietro Dele Alli e Hamšík). Spalletti ne ha parlato in maniera avveniristica: «L’evoluzione della specie del calciatore. Se hai 10 Nainggolan, viene fuori una squadra fortissima, a prescindere dal ruolo»

Vero.

Nainggolan è uno dei migliori centrocampisti d’Europa. È, tra i centrocampisti con più di venti presenze, il secondo che tira più spesso in Europa (dietro Pogba) il primo in Italia, il secondo per tiri respinti. Inoltre, in quanto trequartista, in Europa è il sesto per passaggi chiave lunghi completati e il secondo per quelli corti, con 1.4 a partita, dietro solo allo specialista degli specialisti Özil. È il terzo trequartista con più contrasti riusciti nel vecchio continente, grazie all’emblematico scivolata a uncino di cui ormai detiene il copyright.

I migliori “agganci” di Nainggolan. Il più bello: quello con cui disorienta Dybala e Cuadrado al minuto 1:11

 

Finale

Il lago Toba in realtà è una caldera, ovvero una depressione venutasi a creare in seguito a un’eruzione abbastanza potente da far sprofondare la camera magmatica di un vulcano, lasciandolo letteralmente svuotare, fino a lasciarne una conca innocua su cui la pioggia fa il resto. Ciò che subì la zona di Toba fu una vera e propria catastrofe, ritenuta come una delle più violente degli ultimi 500.000 anni, lunga settimane intere, in grado di eruttare materiale per circa 2800 km³, fin quando l’intera regione, ormai sfinita, finì per collassare in un grande cratere e, al fianco, una grande montagna di ceneri, in fieri verso la solidificazione. I Batak, secoli dopo, su quelle terre ci stabilirono le loro case, le loro vite, e la loro progenie.

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