Muhammad Alì: Impossible is nothing

“Impossibile” è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo.
“Impossibile” non è un dato di fatto, è un’opinione.
“Impossibile” non è una regola, è una sfida.
“Impossibile” non è uguale per tutti.
“Impossibile” non è per sempre.
Niente è impossibile.

Muhammad Alì

Vivere. Non esiste nulla di più difficile. Molte persone non danno peso agli anni che passano, alle stagioni che si rincorrono freneticamente, al sole che sorge e tramonta ogni giorno con la stessa fretta con cui si accende una luce nel buio. Gli unici saggi, che vedono nel tempo un calendario fatto appositamente per le loro vite, sono gli sportivi. Loro si, sanno vivere, sanno dare valore alle lancette su un muro. Lasciar perdere il domani, vivere per avere il successo che gli spetta oggi, per prendersi tutto ciò che di bello c’è a questo mondo, per racimolare il frutto di quelle fatiche, per lasciare un segno indelebile anche nelle vite di chi il tempo non lo capisce.

E questo no, non è facile, non si riesce quasi mai a toccare il cuore delle persone a tal punto da essere un modello, una foto da prendere a immagine e somiglianza. Ma c’è stato uno sportivo, un nero, un americano del Kentucky, che un giorno si erse a fiamma della speranza, non solo nel pugilato, ma anche nella vita delle persone.

Cassius Marcellus Clay Jr., prima di essere un pugile, era un grande uomo. Uno di quei Signori di cui si può leggere nei libri, che seguono uno stile di vita stranamente particolare ma apprezzato da tutti. E forse, proprio questa sua troppo indefessa ricerca della perfezione, lo ha spinto a fare qualcosa anche per rendere perfetti gli altri, per trovare nella giustizia il sintomo peculiare che avrebbe spinto il mondo a comunicare su un’unica frequenza.

Alì
Alì vincitore alle Olimpiadi di Roma del 1960

Era il 1960 quando Roma assistette alla ‘danza della farfalla che pungeva come un’ape‘, quando vide ‘the greatest‘ salire sul gradino più alto del podio Olimpico. Solo tre anni dopo confermò la sua potenza e bravura nel pugilato, conquistando il titolo di Campione del Mondo dei Mediomassimi, prima di cambiare il suo nome di battesimo in Muhammed Alì. La spiegazione che ha sempre dato ai media, è stata che Cassius Clay era il suo nome da schiavo; a lui serviva essere chiamato nella stessa maniera in cui si sentiva e in cui era visto da tutti, come quell”Altissimo‘ (Alì) ‘Degno di Lode‘ (Muhammad) che riscrisse le regole del ring e diede bellezza e stravaganza a questo sport.

“Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. E’ sbagliato rimanere a terra.”

Alì

Ricordare però Alì solo per i suoi successi sportivi, come l’incontro storico contro Foreman, il Rumble in the Jungle andato in scena a Kinshasa, è sbagliato. O perlomeno, è incompleto. Infatti, il ragazzo che a ventidue anni vinse le Olimpiadi, si impegnò con la stessa voglia e concentrazione anche nella lotta contro il razzismo, contro la guerra in Vietnam, contro quelle imposizioni di uno stato che controllava la parola e muoveva i cittadini come pedoni su una scacchiera.

Alì
Il ragazzo del Kentucky sconfigge Foreman al grido di ‘Alì Bomaye’

Si schierò a fianco di quei neri che volevano libertà e futuro, accanto al popolo Vietnamita che non aveva colpa alcuna per essere invaso; lo fece in maniera disinteressata, senza pensare alle conseguenze, perché quando qualcuno crede davvero in qualcosa, allora non importa cosa succeda dopo, l’importante è riuscire a raggiungere il risultato sperato. Come ha fatto sul ring, come non è, purtroppo, riuscito a fare in termini di vita politica.

Una politica intesa non come marciume di Senato e seggi, ma come rapporto con l’altro, il diretto interessato di quella vita che bisogna vivere ancora oggi come allora, con profonda convinzione di voler lasciare un segno indelebile. Nel vivere la sua di vita, il ragazzo del Kentucky non ha solamente ‘toccato’ quella della persone, ma l’ha completamente cambiate, rendendole qualcosa di più di quanto non fossero mai state.

Alì
Muhammad Alì in una foto dell’epoca con Malcolm X

Nel suo ultimo match, il più difficile della sua vita, Muhammed è andato al tappeto contro l’unico avversario più forte di lui, contro quel parkinson che dal 1984 non lo ha lasciato mai solo, compagno fedele e irrispettoso di un uomo prima, di uno sportivo poi, che è stato luce di speranza, che lo rimarrà sempre, per milioni di persone, le quali continueranno a credere che niente è impossibile.

Alì
“Impossible is nothing”

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