Nel confronto in redazione sugli articoli settimanali, ho proposto di scrivere un pezzo su Marco Benassi.
Nell’avanzare l’ipotesi l’ho definito IL centrocampista centrale italiano nell’arco di una (questa) o due stagioni (quella che si concluderà con il Mondiale in Russia). Nella mia testa, fuori dalla Nazionale, Benassi proprio non ci può stare. Il suo nome, tuttavia, non figura né nell’ultimo giro di convocazioni, né nello stage per i nati nel ’90 imbastito da Ventura, proprio l’allenatore che l’ha valorizzato nei primi due anni a Torino.
Perché?
Lo stage mi è sembrato più un modo che consenta di valutare giocatori spendibili (quanto realmente non saprei) per il 2018 di cui ancora non ha piena conoscenza della reali capacità.
La mancata chiamata per i match contro Liechtenstein e Germania mi è parsa, invece, più un’occasione per garantire regolarità all’U21 di Di Biagio, prossima all’Europeo in Polonia, in cui vuole recitare il ruolo della protagonista e di cui Benassi è il simbolo nonché capitano.
Eppure tra gli U23 italiani, Benassi è in assoluto il calciatore più maturo. Capitano dell’U21, spesso capitano del Torino a 22 anni, al suo quinto anno consecutivo in Serie A, al terzo da titolare, al primo da inamovibile. Classe ’94.
Nessun pari età può vantare i suoi numeri nelle prime cinque stagioni
Quando l’ho definito IL centrocampista avevo in testa il concetto di “modernità” uno di quei concetti che sembrano imprescindibili nel vocabolario sportivo contemporaneo di qualsiasi sport di squadra.
Di Benassi, tuttavia, credo di aver visto poche partite per intero. Il mio giudizio, fulmineo, è stato più che altro un’apparizione – e credo sensata – basandomi su determinate caratteristiche che saltano subito agli occhi, esprimibili in una parola: “onnipresenza”.
Benassi l’ho visto agire ovunque.
Nel mio immaginario Benassi è, infatti, nella zona centrale del campo, quello che Florenzi rappresenta sulla fascia destra, talvolta sinistra. E, come la ebbi con il romano, la stessa impressione l’ho avuta per il modenese: sa fare tutto. Florenzi ha, però, con gli anni, sfiorato quell’altro concetto che va a braccetto con “modernità” essendone il genitore naturale. Quello di “totalità” che poi è vecchio come la rivoluzione culturale europea che si consuma in piazza Spui ad Amsterdam, sotto la statuetta del Monello, e che sul verde prato scorre la sua naturale traslitterazione lungo i piedi di Cruijff e più in particolare di Rob Rensenbrink. Altre storie…
Questa “modernità” non è poi così tanto moderna ma possiamo scrivere che è tornata di moda, specializzandosi. La “totalità” invece è una questione culturale, esclusivamente olandese. Solo un orange la può toccare, al massimo un italiano come Florenzi può sfiorarla.
Forse sto esagerando, forse sto divagando. Passiamo a capire, a me piace farlo con i video, che tipo di giocatore sia Benassi.
Su youtube se scrivete “Benassi” la prima cosa che compare è questa.
Senza farsi distrarre dalla preview, da questo momento lascio in riproduzione automatica e scrivo di Marco Benassi ascoltando Benny Benassi, il cui nome di battesimo è Marco. Voyager ci farebbe su una puntata. Anche due.
Sinestesia Benassi
Se scrivete “Benassi Torino” il testo cambia decisamente, la musica che accompagna i video, ahimè, no.
Eppure non è quello che sto cercando, non è quello di Torino che mi serve ora.
Mi ricordo perfettamente il Benassi che intravidi all’Inter.
(Quasi) Esattamente tre anni fa, il 22 Novembre del 2013, debuttava tra i professionisti in Europa League contro il Rubin Kazan, mentre il 21 Febbraio trovava il suo primo gol contro i rumeni del Cluj con un ottimo inserimento da dietro, su palla scoperta, nello spazio oltre la difesa.

Qualcuno sotto lo pseudonimo di DrFootball1 ha caricato il 22 Gennaio del 2013 tutte le azioni della prima partita di Benassi in Serie A vs Pescara disputata il 12 Gennaio. Come di solito si fa per Cr7, LM10, GB11, e altri maestri odierni di Fútbol.
Al debutto in campionato giocò per 90 minuti sul centro sinistra in un centrocampo a 4, formando la coppia centrale con Javier Zanetti, che essendo del ’73 poteva essere tranquillamente suo padre. Gli esterni, come potete ammirare, erano Jonathan e Alvaro Pereira. Insomma, al Meazza, le tinte nere e azzurre, sono state vestite molto meglio, ma anche peggio.
In quella posizione Benassi non ha praticamente più giocato.
Nelle quattro stagioni successive ha agito in un centrocampo a 5 o a 3, prettamente sul centro destra, e con molto più spazio verticale, non avendo quasi mai un vertice tra la linea mediana e offensiva, come lo è stato Guarin al suo debutto, e qui la sostanza cambia inevitabilmente.
Al di là della posizione in campo di quella sera, ciò che salta all’occhio è un innato senso di adeguatezza che circonda l’agire di Benassi. Se non sapessi la sua età anagrafica e la sua storia sportiva, non penserei mai a un diciottenne al debutto. Neanche il volto è quello di un teenager, la corporatura tanto meno.
Alla fine del video i numeri (quanto veri non saprei, ma senz’altro veritieri) dicono: 90 minuti giocati, 89 palloni toccati, 88% di precisione del passaggio, 8 contrasti vinti, 3 conclusioni verso lo specchio della porta, un cartellino giallo. Numeri di un calciatore esperto.
Oltre i numeri, ciò che colpisce è la sicurezza con la quale si abbassa a ricevere il pallone, facendolo scorrere davanti a sé, torcendo il corpo in maniera armoniosa, per avere campo aperto di fronte. Campo che spesso gli viene chiuso da Guarin e Cassano che si schiacciano su di lui e Zanetti per impostare. Benassi consegna la sfera in conduzione o con passaggi spesso ravvicinati.
Benassi al debutto sembra, dunque, un giocatore agile, capace di contrastare e andare al tiro con eguale facilità di coordinazione, elegante e che non disdegna l’impostazione bassa.
Il Benassi “contemporaneo” ha un fisico molto più robusto, con qualche centimetro in più, un picco di agilità minore, meno eleganza, più irruenza e una propensione costante a buttarsi nello spazio, creato dal movimento delle punte, che siano Quagliarella, Immobile o Belotti.
Questo gli ha consentito di trovare il gol in ogni stagione fin qui giocata (sempre e solo in Serie A) e non è un dato da sottovalutare. Per scrivere, non ci sono riusciti neanche Gerrard e Lampard che sono modelli a cui senz’altro si ispira, e che rappresenterebbero un apice ora solo sognabile. Per rimanere in casa nostra, Stanković ce l’ha fatta, anche se i primi gol li ha messi a referto in campionati Jugoslavi di transizione dal vecchio al nuovo mondo balcanico.
Quest’anno Marco Benassi ha realizzato 4 gol in campionato, cioè il suo record personale.
Qui il suo primo gol stagionale contro la Fiorentina, giorno in cui Mihajlović lo ha eletto capitano.
Confrontatelo con il primo (v. Cluj) e vi accorgerete che la fase di inserimento è identica. Detta il passaggio nello spazio e taglia alla perfezione alle spalle dei difensori. Bisogna solo servirlo.
In una delle prime frasi ho usato il termine “valorizzare”. Ciò che ha fatto Ventura con Benassi nelle ultime due stagioni concluse a Torino. Se guardiamo, infatti, Benassi oggi non è diverso dal Benassi di ieri. Le sue doti principali rimangono anzitutto il tiro da fuori area e il contrasto pulito (soprattutto alle spalle dell’avversario).
Non è abituato a ricevere spalle alla porta, ma è abile a far scivolare il pallone in avanti senza toccarlo, scaricando tutto il peso della torsione sulle gambe, sopperendo così a una sua debolezza, che sta soprattutto nel portare la palla con il mancino.
Quasi mai si occupa di guidare la transizione da difensiva a offensiva, e raramente si abbassa per dettare i ritmi del gioco: è bravo a trovare il passaggio verticale quando si tratta di imprimere forza per farla passare tra più avversari, mentre non è ancora in grado di essere decisivo con lanci lunghi, e soprattutto cross alti, in cui sembra non saper ancora dosare l’impatto.
Ciò che, a mio avviso, lo rende un centrocampista sopra la media, è l’istinto a inserirsi con i giri contati. La reale valorizzazione, sotto le mani sapienti di Ventura, cioè la differenza tra il Benassi di ieri e quello di oggi, sta nella costanza e la maturità con i quali effettua la stessa, e nel contempo diversa, dinamica di gioco, concludendola, spesso, con notevole freddezza e doti da attaccante puro: non ha bisogno di guardare la porta perché la sente, anticipando di mezzo tempo la giocata dell’avversario che tenta il recupero. La sua tecnica di calcio è, poi, da manuale, merito di una coordinazione esteticamente ineccepibile. La linea dei suoi movimenti non viene mai spezzata, è sempre armonica, tonda. A mio avviso, siamo di fronte a un centrocampista che può tranquillamente pensare di arrivare per un lustro di stagioni in doppia cifra. Sempre che non abbassi il proprio raggio d’azione.
A Mihajlovic, e nessuno gliel’ha imposto, è toccato accelerare il processo iniziato gradualmente da Ventura, rendendolo, insieme a Belotti, l’uomo immagine del Toro. Il serbo si è espresso così sulla fascia di capitano messa sul braccio di Benassi.
Non è facile svegliarsi alle 4.30 e andare a lavorare alle 6, fare tutto il giorno e non arrivare a fine mese, questo non è facile. Questo deve essere un piacere, deve essere contento, deve essere orgoglioso, che a 22 anni, gioca nel Torino, è capitano del Torino e ha fatto pure gol, perché è una persona fortunata come tutti noi che facciamo questo lavoro.
Il pensiero del serbo abbiamo imparato a conoscerlo, ma essere capitano in un club come il Torino significa leggere i nomi dei calciatori del “Grande Torino” morti sulla collina di Superga il 4 maggio 1949.
Ventura, in un circolo vizioso, ha la possibilità di proseguire sull’accelerazione impressa dal serbo, dotando il centrocampo azzurro di fisicità e inserimenti, ciò che più è mancato in questo primo scorcio di nuovo biennio.
Nomi alla mano, in nazionale Benassi dovrà vedersela con Parolo e Marchisio, giocatori molto simili al torinista, ma entrambi sulla soglia, già varcata, dei 30. Lo juventino (in Russia avrà 32 anni) ritorna da un infortunio grave che lo ha proiettato definitivamente ad una posizione più arretrata. Il laziale, all’apice della sua carriera, in Russia avrà comunque 33 anni. De Rossi, irrinunciabile se continua così, al mondiale si presenterà da 34enne alla sua diciassettesima stagione da professionista, e oltre 600 partite (quasi tutte da titolare) sulle gambe. Vero, si gioca massimo un mese, ma Benassi, che in Russia non avrà ancora compiuto 24 anni, se continuerà il rapido processo di crescita intrapreso non potrà non esserci.
Post Scriptum
Dopo cinque canzoni ho interrotto la riproduzione automatica.