Middlesbrough, work in progress

Se pensiamo al 2006 – soprattutto noi italiani – non possiamo che ricordare la nostra nazionale ed alla clamorosa impresa compiuta ai mondiali in Germania quell’anno. L’epopea degli azzurri fu clamorosa contro tutto e tutti, ma quell’anno ci fu un’altra squadra capace di mandare in tilt qualsiasi pronostico : il Middlesbrough.
Quell’anno gli inglesi sfiorarono il miracolo, raggiungendo la finale di coppa UEFA – poi persa 0-4 con il Siviglia – e le semifinali di FA Cup. Quel Boro era un’autentica squadra di culto per tutti gli amanti del calcio inglese, piena zeppa di giocatori di alto livello e con una grinta agonistica invidiabile.
La corazzata di Steve McClaren raggiunse l’apice del suo splendore proprio nel 2006, concludendo così un lungo ciclo, iniziato a metà degli anni ’90 con l’approdo di Bryan Robson e che aveva visto transitare dalle parti del Riverside Stadium tantissimi giocatori di caratura internazionale.
Da Juninho Paulista – da non confondere con Pernambucano – ad Hasselbaink e Viduka, passando per Mendieta e Zenden – senza dimenticarsi di “Big Mac” Maccarone – la nostalgia è fortissima ripensando a quello che sarebbe potuta essere questa squadra.

Il Boro non riuscì più ad emulare le gesta del 2006 e pochi anni più tardi, in seguito ad una grave crisi finanziaria, retrocedette in Championship.
Non tutti i mali vengono per nuocere: la clamorosa retrocessione del 2009 permise al chairman del club Steve Gibson di ricostruire dalle fondamenta quella che sembrava una società spacciata.
Il Business man, membro del dell’OBE, ha il merito di essere riuscito a risollevare la società da una crisi nera, riuscendo a sfruttare al meglio gli incassi e dando così una base affidabilissima al club: ci sono voluti 7 anni, ma ne è valsa la pena. Un percorso tortuoso, come quello di Ted Mosby in How I Met your Mother.

Il Middlesbrough di oggi è una delle società più solide del calcio inglese, la ritrovata stabilità finanziaria ha permesso di porre le basi per un progetto tanto interessante quanto ambizioso.
La scelta dell’allenatore è stato il primo passo per la ricostruzione, la dirigenza esigeva qualcuno che sapesse cosa voleva dire vincere: ecco Aitor Karanka, storica bandiera del Real Madrid e secondo di Mourinho proprio a tempi di Madrid.
Il lavoro del nativo di Vitoria è stato fondamentale per la crescita del club, in tre stagioni è riuscito a rendere seriamente competitiva una squadra che pareva ormai abbandonata alla mediocrità, ad un oblio sportivo inaccettabile: il Middlesbrough è una pietra miliare del calcio inglese.

Una volta raggiunta la tanto ambita promozione nella massima divisione inglese, l’obiettivo degli Smoggies è chiarissimo: puntare sempre più in alto fino a ritornare una società capace di ambire ad obbiettivi importanti, come è stata dal ’94 al 2006.
Il progetto tecnico si basa fondamentalmente su un solidissimo gruppo di grande esperienza internazionale tra cui Negredo, Victor Valdes e Barragàn abbinato ad altri giocatori con un grande potenziale come Fischer, De Roon, Ramirez e l’interessantissimo Adama Traorè, uno dei pochi a salvarsi dal fallimento dell’Aston Villa stagione 2015/16.

Karanka è riuscito ad applicare l’elevato tasso tecnico dei giocatori offensivi a disposizione con il suo stile di gioco, molto compassato e basato su una fase difensiva molto attenta. Il suo Boro ha – insieme all’Hull City – il peggior attacco di tutto il campionato, compensato però da un’ottima difesa, quinta in tutta la Premier con solo 13 reti subite.
Il gioco di Karanka risulta spesso bello, ma difettoso: mancano alternative offensive avulse dai soliti e prevedibili cross per Negredo o giocate affidate a spunti di singoli come Ramirez o Stuani. Insomma, se non s’inventano qualcosa loro, sale il panico.
Impegnati nella fase difensiva, gli attaccanti non riescono ad essere incisivi quando serve ed i numeri parlano chiaro: gli uomini di Karanka sono riusciti a calciare solo 110 volte in tutto il campionato – 18esimi in tutta la Premier – e con una precisione del 38%, numeri davvero poco rassicuranti. Statistica sicuramente contrastante rispetto a quegli allenatori che ti urlavano di tirare sempre: ci siamo passati tutti.
boro-statsFermiamoci un attimo: non è tutto da buttare. La classifica parla chiaro, ma vi forniamo altri dati sul Boro che forniscono una vivida speranza per il futuro. Uno su tutti, come già ribadito in precedenza, riguarda un’insolita attitudine difensiva, caratteristica che le altre dirette concorrenti per la salvezza non possono vantare, che fino ad ora è stato il vero salvagente per la squadra. Per dire, contro Arsenal e Manchester City un solo gol subito, entrambe gare in trasferta.

Un altro segnale positivo è l’atteggiamento della squadra indipendentemente dal risultato, sempre combattiva e mai impaurita dall’avversario: gli Smoggies sono usciti a testa alta da ogni partita, big match compresi.
La sconfitta contro il Chelsea rappresenta perfettamente il Boro, capace di tenere testa tecnicamente ai primi in classifica e di tenere a bada il loro attacco, ma a corto di soluzioni offensive, troppo prevedibile.

Nel grafico sottostante potete notare come, anche contro gli uomini di Conte, Karanka e i suoi abbiano faticato parecchio ad imporsi nella metacampo avversaria.

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Numeri a parte, bisogna aspettare prima di dare un giudizio definitivo sul lavoro di Karanka: l’allenatore spagnolo se la sta comunque cavando alla sua prima esperienza in un campionato di prima fascia.
Il Middlesbrough è un cantiere in via di sviluppo, un’idea di calcio sempre più in crescita, un autentico “work in progress” che punta a raggiungere lo splendore del passato: solo il tempo potrà dirci se questo Boro avrà le carte in regola per affermarsi in quel paradiso calcistico chiamato Premier League.

 

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