La vittoria del Messico di Juan Carlos Osorio contro la Germania di Joachim Löw, campione in carica, è uno dei risultati più eclatanti occorsi, fin qui, nella prima giornata dei Mondiali. Il gol di Hirving Lozano è una scossa di terremoto: un assestamento nell’inclinazione prospettica della competizione.
El #sismo detectado en la Ciudad de México se originó de manera artificial. Posiblemente por saltos masivos durante el Gol de la selección de #México en el mundial. Por lo menos dos sensores dentro de la Ciudad lo detectaron a las 11:32. pic.twitter.com/mACKesab3b
— SIMMSA (@SIMMSAmex) June 17, 2018
La partita andata in scena ieri nell’ultramoderno complesso del Luzhniki Arena di Mosca ha svelato in mondovisione l’idea di calcio messicano, giunto forse nella sua fase più matura di ibridizzazione, composta da un eclettismo tecnico e atletico con pochi elementi specializzati (Lozano, Vela ed Hernández) e molti giocatori interscambiabili in più zone del campo (Guardado, Herrera, Layún) in grado di interpretare più fasi di gioco con razionalità.
Primi estratti della filosofia del Tri
Il Messico in 90 minuti si è reso protagonista di un melting pot calcistico, figlio della cultura poliglotta del proprio commissario tecnico: il colombiano Juan Carlos Osorio, detto El Recreacionista per la meticolosità negli allenamenti, dopo un discreto passato da calciatore in patria, si è formato in Inghilterra dove è stato preparatore atletico per un lustro del Manchester City allenato da Kevin Keegan (2001-2005) per poi integrare i propri studi nei Paesi Bassi e ancora in Inghilterra dove ha conseguito un master all’Università del Calcio a Liverpool. Studi europei che Osorio ha avuto l’opportunità di applicare da primo allenatore nel continente americano, dagli Stati Uniti (campione nel 2009 con New York Red Bulls) alla Colombia, campione con l’Once Caldas nel 2010, e quindi all’Atlético Nacional dove ha vinto 3 campionati di fila (tra il 2013 e il 2014) sfiorando l’impresa nella Copa Sudamericana, sconfitto solo da un River Plate superiore.
Il Messico, come da tradizione, si è qualificato al Mondiale con semplicità: è stata, infatti, la quinta selezione in assoluto (su 32) a strappare il pass per la Russia, perdendo un solo incontro contro l’Honduras a risultato già acquisito (decisivo per estromettere gli eterni rivali americani) con 16 reti realizzate (con 11 giocatori) e 7 subite in 10 incontri.
Dei 16 gol realizzati, il più prolifico è stato con 3 marcature Hirving Lozano, stella del PSV, sotto la procura di Mino Raiola, che nell’ultima Eredivisie si è confermato giocatore di assoluto valore con 17 reti e 11 assist in 29 partite. Ed è stato proprio il gol di Lozano ad accendere i riflettori del Mondo sul Messico, grazie alla marcatura che al 35’ ha legittimato uno strapotere territoriale che in quel momento i messicani stavano imponendo sui tedeschi, merito di un gioco iperaggressivo (20 contrasti vinti su 32 – tutti i dati sono tratti da whoscored) che si è manifestato specialmente in una decisa fase di risalita difensiva in situazione di palla coperta; e nell’occupazione preventiva di spazi offensivi in occasione di calci piazzati a sfavore: due dei principi tattici più riconoscibili dettati da Juan Carlos Osorio. Due dei principi tattici che hanno concesso al Messico di rinunciare al possesso (33%) e colpire in transizione.
Verticalità varie (ed eventuali)
Hirving Lozano è stato, dunque, il giocatore che, nel primo tempo, ha concretizzato il piano gara di Osorio che contro la Germania ha previsto un gioco prettamente verticale sviluppato in vari modi, grazie alle intelligenze complementari di Andrés Guardado ed Héctor Herrera. Il capitano messicano, infatti, nel corso della partita è stato il collante della manovra, lasciando ad Herrera il compito di attaccare energicamente gli spazi liberati centralmente: il giocatore del Porto ha eseguito il maggior numero di dribbling in partita (6) ed effettuato il maggior numero di passaggi per il Messico (37). Quando il Messico ha applicato la salida Lavolpiana (La Volpe è stato ct del Messico tra il 2002 e il 2006) Guardado si è abbassato tra Ayala e Moreno, formando un asse verticale con Herrera, Carlos Vela e il Chicharito Hernandez nel 3-3-1-3 di stampo olandese; ma se i messicani consolidavano il primo possesso grazie alla posizione intermedia sulla fascia sinistra di Gallardo – il giocatore che nel Messico ha toccato più palloni (82) completando 35 passaggi – Guardado diventava l’uomo libero in mezzo al campo del 4-3-3 (o 4-2-1-3) ed Herrera era pronto ad associarsi in base allo spostamento del pallone; eppure, nel primo tempo, il passaggio diretto rasoterra a Carlos Vela si è rivelata la soluzione più efficiente e immediata per colpire una Germania colta impreparata soprattutto nella prima frazione di gioco, disorientata dalla fisicità e la qualità dell’ex giocatore della Real Sociedad, ora in forza ai Los Angeles Galaxy. In maniera più remota il Messico, comunque, non si è vergognato di lanciare lungo cercando il cambio di gioco su Layún, mentre Lozano cercava gli spazi centrali.
Ampiezza e profondità simultanea
Soprattutto nel primo tempo, la Germania ha provato ad aggredire alto o recuperare velocemente il possesso, ma il risultato è stato una spaccatura che ha esposto i propri interpreti difensivi a molti duelli individuali che andavano gestiti in maniera fin troppo delicata, in quanto il Messico occupava sapientemente la metà campo offensiva, mantenendo la profondità con i continui movimenti ad allungare di Hernández e l’ampiezza su entrambi i lati del campo, in cui venivano a crearsi duelli atletici paritari: l’agilità di Lozano contro quella di Kimmich, e la fisicità di Layún contro quella di Plattenhardt. Solo la poca precisione dei messicani negli ultimi metri (75% dei passaggi riusciti) ha vanificato la bellezza di 17 dribbling effettuati (contro i 7 della Germania) per lo più in situazioni di uno contro uno che aprivano il campo irrimediabilmente.
Adattabile equilibrio asimmetrico
Il piano gara del Messico è diventato più conservativo con l’uscita di Vela e l’ingresso di Álvarez al 58’, con cui Osorio ha infoltito la propria fase difensiva in situazione di avanzata tedesca, mutando dal 4-4-1-1 al 5-4-1, rispettando la maggiore fisicità della Germania; liberando, tuttavia, Herrera da alcuni principi difensivi, rendendolo più libero di agire in avanti. La squadra di Löw, pur guadagnando una sostanziale fetta di campo, non è riuscita, tuttavia, a centrare quasi mai lo specchio della porta da distanza ravvicinata, pur rendendosi pericolosa con tiri insidiosi dalla media, come quello di Brandt al minuto 89.
Nell’ultima mezzora è stato, quindi, ancor più evidente l’infinito eclettismo insito nella cultura calcistica messicana e fortemente voluto da Osorio. Un eclettismo che si è manifestato limpidamente nelle interpretazioni di Gallardo a sinistra e Layún a destra.
Nell’UNAM Pumas, Gallardo è stato principalmente schierato come ala sinistra, mentre nel Siviglia Layún ha interpretato quasi esclusivamente il ruolo di terzino destro. La scelta di Osorio di schierarli in maniera sfalsata ai propri ruoli nel club, è da leggere solo esclusivamente in ottica dell’avversario, altro principio che contraddistingue il tecnico colombiano e che potrebbe farci vedere un Messico in versioni differenti contro la Corea del Sud in cui Osorio tenterà di mantenere il dominio della sfera, magari con l’inserimento iniziale di Giovani dos Santos; mentre contro la Svezia, Osorio potrebbe rispettare il gioco aereo degli uomini di Andersson e inserire un difensore in più fin da subito.
Tornando alla sfida di ieri contro la Germania, Gallardo associato a Lozano, è stata una scelta che può essere letta come il tentativo di disputare ad armi pari le tecnicità di Muller e soprattutto Kimmich, l’uomo che ha toccato più palloni nel match (103); mentre Layún associato a Salcedo è stata la strategia per duellare con le fisicità di Draxler e Plattenhardt.
I 5 savi
Se alcuni elementi tattici sono ancora tutti da sciorinare, ci sono delle facce da Mondiale che ogni 4 anni salgono alla ribalta, e il Messico sembra, in questo senso, la squadra archetipo.
- Memo Ochoa, alla quarta partecipazione, come al solito incomincia ad esaltarsi ed entrare in clima paratutto come al 38’ quando vola sulla punizione perfetta di Kroos, deviando sulla traversa.
- Andrés Guardado, anch’egli alla quarta edizione – la prima con i ranghi di capitano in campo – ha mostrato come il suo gioco meno dinamico rispetto a qualche anno fa, sia sempre più essenziale nell’economia della squadra.
- El Chicharito Hernández, che ieri ha sprecato qualche opportunità di troppo, è al terzo Mondiale e viene difficile pensarlo a secco.
- Giovani dos Santos alla terza partecipazione può rivelarsi l’arma per svoltare il match dalla panchina.
- Rafa Márquez che, con l’ingresso al posto di Guardado, ha posto il proprio nome nella storia del Mondiale con la quinta partecipazione in campo (come il connazionale Carbajal e Matthäus) posizionandosi davanti alla difesa da Gran Capitán.
Sarà, quindi, fondamentale la gestione di Osorio dei 5 savi che faranno da guida a una Nazionale che, contro la Germania, ha dato l’impressione di poter dire concretamente la sua fino alla fine della competizione, al netto di una fase conclusiva decisamente da migliorare, e di una difensiva che nella recente storia messicana ha subito un blackout clamoroso nel 7-0 subito da Cile durante la Copa America Centenario del 2016 e che portò El Profe – altro appellativo che la spiega lunga – a chiedere scusa al popolo messicano.
Popolo messicano giunto in Russia in gran massa (come quello peruviano) per sostenere un gruppo ambizioso nelle idee portate in campo e che proverà a superare gli Ottavi di Finale, scoglio sul quale El Tri si è arenato nelle ultime 6 edizioni, raggiungere i Quarti (traguardo conseguito solo nelle edizioni in casa del ’70 e dell’86) e approdare in Semifinale per la Storia, traghettati dall’ossessività tattica e camaleontica, talvolta spregiudicata (come vs. Cile) di Juan Carlos Osorio. Che in patria definiscono el capricho.
Chi vuole vincere il Mondiale deve temere il Messico.