Nel momento in cui Massimiliano Allegri arriva alla Juventus, a un giorno di distanza dalle improvvise dimissioni di Conte, la maggior parte dei tifosi juventini storce il naso: va via l’allenatore che ha appena conquistato il 3° scudetto di fila con un punteggio finale monstre di 102 punti, arriva l’ex tecnico del Milan che ha terminato con un esonero l’ultima stagione, dopo un girone di andata concluso con la miseria di 22 punti. Sembra impossibile che Allegri possa solo lontanamente replicare gli straordinari risultati ottenuti dal suo predecessore. Anzi, c’è già chi sostiene che non arriverà a mangiarsi il panettone.
Tre anni dopo, chi la pensava in questo modo dovrebbe ammettere di essersi sbagliato: Allegri ha di nuovo portato a casa Scudetto e Coppa Italia, centrando il terzo double consecutivo della sua gestione, e si appresta a disputare la seconda finale di Champions in tre anni, con la possibilità di cercare la tripletta (o triplete/treble, se siete particolarmente esterofili). Non ha superato il record di punti di Conte, ma lo ha battuto in tutto il resto.

Agnelli, Nedved, Marotta
Grandissimi meriti vanno certamente riconosciuti anche alla società che, attraverso la sua lungimiranza, ha da tempo permesso alla Juventus di scavare un solco rispetto a tutte le altre squadre in Italia. Una società proiettata in avanti, con uno sguardo sempre rivolto verso il futuro, che non ha paura di apportare cambiamenti alla rosa nonostante i tanti successi consecutivi degli ultimi anni. Squadra che vince si cambia, quindi, nonostante i proverbi suggeriscano diversamente. E così attorno a un nucleo fisso, rappresentato soprattutto dal portiere e dal blocco difensivo, tutto quanto può cambiare di anno in anno, alla ricerca quasi ossessiva del miglioramento e della perfezione. A una squadra già superiore alle altre, che nello scorso campionato aveva raccolto 26 vittorie su 28 a partire dalla fine di Ottobre, il mercato estivo ha portato gli acquisti di Higuain, Pjanić, Benatia, Dani Alves, Pjaca e il rinnovo del prestito di Cuadrado, a rimpiazzare le cessioni di Pogba, Zaza e Morata.
In Serie A, obiettivamente, non poteva esserci storia, considerando che ha privato le dirette concorrenti dei loro due giocatori migliori.
Ma è soprattutto a livello europeo che Allegri è riuscito a stupire, trovando un’idea di gioco che ha permesso alla Juventus di evolversi dal punto di vista tattico e mentale e di avvicinarsi gradualmente all’èlite d’Europa. O forse l’ha già raggiunta, chissà… ancora poche settimane e capiremo anche questo.
Il cambio di modulo
L’apporto di Allegri in questa stagione si vede soprattutto nel cambio di modulo, arrivato dopo la sconfitta subìta contro la Fiorentina alla prima gara di ritorno. Al termine di quella partita, Chiellini dichiara che la Juventus sentiva la mancanza un giocatore come Pogba, ovvero qualcuno in grado di costruire il gioco e allo stesso tempo di dominare atleticamente in fase difensiva.

A partire dalla gara successiva, il tecnico livornese decide di adottare dal primo minuto un sistema di gioco apparentemente spregiudicato, un 4-2-3-1 che vede la presenza contemporanea di Cuadrado, Pjanic, Khedira, Dybala, Mandžukić ed Higuain, e che richiede un grande sforzo da parte delle ali offensive in copertura, per far sì che tutta la squadra non si sbilanci eccessivamente in avanti. A prima vista sembra una scelta percorribile soltanto in Italia, dove la Juventus ha da temere soprattutto sé stessa, ma difficilmente praticabile in Champions, o perlomeno contro squadre di pari livello.
Non giocheremo sempre così, ma la risposta che oggi mi ha dato la squadra è stata positiva: abbiamo giocato bene, con qualità e sacrificio. E nonostante lo sbilanciamento offensivo, dal punto di vista difensivo abbiamo fatto bene, non rischiando niente.
Allegri aveva già provato in precedenza a modificare lo schieramento difensivo, passando dal modulo a 3 difensori a uno che preveda invece la classica difesa a 4, che da sempre gli è più congeniale. Allo stesso tempo c’era la necessità di sfruttare tutto il potenziale offensivo offerto dai giocatori a sua disposizione. All’inizio dello scorso campionato aveva cercato di cambiare, ma dopo il pessimo inizio di campionato (12 punti in 10 gare) era tornato al caro vecchio 3-5-2.
In Champions non si va avanti se non si gioca bene. Bisogna essere più spregiudicati. Non vuol dire che giocheremo sempre così, ma dovevamo cancellare la sconfitta di Firenze e oggi c’era la partita giusta per un esperimento del genere.
La scelta del 4-2-3-1 è stata la quadratura del cerchio: dopo quella sconfitta contro la Fiorentina, la Juventus non ha più perso una partita di campionato (se non contro la Roma, quando si sentiva già comoda) ha subìto soltanto un gol in Champions (dal Monaco, a qualificazione ormai sicura) e in Coppa Italia è stata sconfitta dal Napoli nella semifinale di ritorno (anche qui a passaggio del turno già acquisito).
La profetica cassandrata di #cassano a Striscia lo striscione sul modulo della @juventusfc #monacojuve #ChampionsLeague #calcio pic.twitter.com/zEtgTQWAkQ
— Striscia la notizia (@Striscia) May 3, 2017
Siate sinceri: quanti di voi la pensavano come lui?
Lo stile di gioco
Una partita emblematica è la gara di andata contro il Monaco, che ha spianato la strada verso Cardiff e reso la semifinale di ritorno poco più che una formalità: analizzandola con attenzione possiamo capire molto sulle idee di gioco del tecnico juventino.

Chi non avesse guardato la partita, e dovesse fare affidamento soltanto a questi numeri, potrebbe dedurre che la sfida sia stata tutto sommato equilibrata. Chi ha visto la partita, invece, sa che la Juventus l’ha dominata, concedendo pochissime occasioni a uno dei migliori attacchi d’Europa, che ha chiuso il campionato di Ligue 1 con 107 gol segnati. Non è stato in realtà un dominio segnato dal bel gioco e dallo spettacolo, piuttosto una supremazia ottenuta imponendo agli avversari il proprio modo di giocare, impedendogli allo stesso tempo di esprimere il loro. Ed è proprio questa la specialità di Allegri, la capacità di legare sempre l’avversario e di annullarne il potenziale offensivo, costringendolo a giocare male. In sostanza, lo imbriglia nel gioco che sceglie lui, e questo è un grande merito.

Confrontando questa Juventus a quella di qualche anno fa, che usciva malconcia dal doppio confronto contro il Bayern o veniva malamente eliminata nella fase a gironi, possiamo notare come la squadra sia cresciuta tantissimo dal punto di vista tattico e mentale. Ha superato i dettami tattici talvolta troppo rigidi imposti da Conte e ha trovato una sicurezza di gioco che le consente di adottare diverse soluzioni per affrontare qualsiasi avversario senza timore. Vince soprattutto grazie alla difesa, come ha sempre fatto in questi ultimi 6 anni, ma nel contempo è cresciuta anche sotto l’aspetto della personalità della squadra. E a volte, come è accaduto con il Monaco, può anche permettersi di tirare poco verso la porta, brava com’è nel gestire le situazioni di vantaggio. Altre volte, invece, come nella finale di Coppa Italia, gli è bastato solo metà del primo tempo per mettere le mani sulla partita, limitandosi poi a gestire nella ripresa.
In questo senso, il turning point è stato il doppio confronto contro il Barcellona, dopo il quale la Juventus ha capito cosa davvero può essere in grado di fare. Ora che lo Scudetto e la Coppa Italia sono state vinte, resta da vedere cosa accadrà nella finale di Cardiff, la partita che può rendere storica questa annata.
Gestione dello spogliatoio
Un segnale importante Allegri lo ha dato anche dal punto di vista comunicativo, dimostrando di saper mantenere il controllo della squadra anche durante dei momenti di tensione. Vale la pena ricordare il duro litigio che ebbe con Bonucci durante e dopo la gara vinta 4-1 contro il Palermo, e come ha deciso di agire nei giorni successivi. Nel momento in cui Bonucci finisce in tribuna e salta la gara contro il Porto, che in quel momento costituiva la partita più importante dell’intera stagione, Allegri decide di dare un segnale molto forte sia alla sua squadra che all’esterno dello spogliatoio. Si è trattata di una scelta forte e molto rischiosa: toccare uno dei pilastri della squadra avrebbe anche potuto avere un effetto boomerang, e invece ha rafforzato la sua immagine e il suo ruolo di leader.
Questa vicenda ha anche dimostrato come Allegri sia maturato e migliorato nel corso degli anni: una situazione molto simile gli si era già presentata durante la sua seconda stagione al Milan, dopo la gara di Champions persa contro l’Arsenal. In quella situazione litigò duramente con Ibrahimović e perse il controllo di parte dello spogliatoio.
Comunicazione verso l’esterno
Concludiamo con una considerazione che riguarda la comunicazione verso l’esterno. Da quando allena la Juventus, Allegri fa un uso continuo dei canali social, Twitter in particolare, e ha creato un punto di contatto tra lui e i tifosi. Si è trattata di un’operazione studiata che, col passare dei mesi e degli anni, gli ha permesso di proporre un’immagine diversa da quella che gli viene comunemente attribuita, di uomo freddo e distaccato, mostrandolo invece coinvolto dalla causa bianconera. Anche grazie a questo suo modo di comunicare, sorretto ovviamente dagli ottimi risultati, è riuscito a superare le perplessità, per non dire l’astio, che lo hanno accompagnato agli inizi della sua avventura bianconera, ed è diventato forse il tecnico più apprezzato della storia recente dei bianconeri.
Quando i traguardi sembrano vicini, è il momento di pedalare ancora più forte. Davvero #finoallafine .
— Massimiliano Allegri (@OfficialAllegri) May 3, 2017
E Allegri non ha nessuna intenzione di scendere dalla sua bicicletta.