IUltimo weekend di marzo, secondo Gran Premio del 2019 in Bahrain. La prima pole position al sabato, il primo giro veloce con la Ferrari, il primo podio alle spalle delle Mercedes di Lewis Hamilton e Valtteri Bottas. E’ il momento in cui Charles Leclerc, a ventuno anni e 165 giorni, è diventato qualcosa di più di una speranza per il futuro: una star del presente.
Non ci sono però soltanto le “prime volte” in Bahrain, c’è molto di più. C’è la sfortuna, ci sono i sorpassi, c’è il coraggio e, poi, il talento. Tutto ciò, quindi, che è necessario per trasmettere quelle sensazioni che trasformano un pilota promettente in un beniamino. Charles è appena arrivato, eppure la sua ombra di predestinazione già si allunga su chi iridato è stato quattro volte ma che con la Ferrari e i suoi tifosi non sembra ancora aver legato completamente a quattro anni dal suo arrivo a Maranello. La Ferrari era nel destino. La precocità con cui sta stupendo e ridisegnando gli scenari futuri di Maranello un po’ meno.
Radici differenti
Prima dell’ascesa però, il talento monegasco ha attraversato un percorso in cui ha dovuto fare i conti con perdite pesanti: quella dell’amico Jules Bianchi nel 2015 e del padre Hervé nel 2017. Lutti che ne hanno temprato la personalità, spingendolo a guardare sempre più dentro sé stesso, per pescare tutto quel talento innato che lo ha portato a vincere GP3 – al debutto su una monoposto – Formula 2 nel 2017. Due eventi tragici che lo hanno spinto verso una consapevolezza e una complessità diverse. Il tutto mascherato dietro a un sorriso che cela delle radici solide.
L’impressione di dominio lasciata da Leclerc è andata oltre la superiorità dei suoi mezzi meccanici avuta nelle ultime due categorie sottostanti alla Formula 1. In questa totale supremazia sulla sua generazione – escludendo Max Verstappen – è sbocciata l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo e di atteso da molto tempo. Qualcosa che, forse, in casa Ferrari ancora non si era visto. Almeno, non con questo precocità e voglia di arrivare.
Leclerc: un po’ Gilles, un po’ Schumi.
Charles Leclerc e la Rossa. Un binomio che, dopo nemmeno un terzo di stagione, già imprime nell’immaginario un alone di fascino e di raffinatezza. Sarà forse per la natalità nel Principato di Monaco, oppure per quell’atteggiamento, composto e “nobile” fuori dalla gara, quanto incredibilmente fantasioso in pista, che Leclerc mette in risalto con una naturalezza, creando una simbiosi perfetta con la storia della Ferrari.
Pare il principe perfetto di una scuderia che, più che un Campione del Mondo, sembra alla ricerca di un simbolo che possa riportare la creatura di Enzo Ferrari ai fasti gloriosi di Michael Schumacher o, quelli più emotivi e romantici, di Gilles Villeneuve. Due cognomi che hanno fatto da sfondo alla nascita di Leclerc.
Proprio nel periodo che ruota attorno alla data di nascita di Leclerc, il 16 ottobre 1997, il tedesco e il figlio del compianto Gilles, Jacques, si giocavano infatti il titolo mondiale sulla pista di Jerez.
Sembra un segno del destino. O forse è solo la speranza di vederlo arrivare a quei livelli o qualcosa di più. Stiamo esagerando? A noi paiono soltanto sensazioni, somiglianze e visione di un mondo a quattro ruote che Leclerc sembra possedere. Ci ricorda l’attitudine a ricercare quell’ebrezza nella velocità senza un fine logico, tanto cara a Villeneuve, che per Enzo Ferrari “vinceva anche quando perdeva“.
Una tendenza che appartiene ad un altro modo di vedere la Formula Uno, ma che racchiude l’essenza più profonda di questo sport, al di là dei numeri, delle vittorie e dei titoli. Il coraggio di osare e di spingersi al limite. Quel sottile bordo dove Leclerc ha già dimostrato di sentirsi a suo agio, con una naturalezza dal sapore spregiudicato. Una vocazione più che un’irrazionalità mal calcolata.
E poi c’è l’aspetto estetico e tecnico. La tendenza, come Schumacher, a interpretare con particolare efficacia le macchine sovrasterzanti, a saperle “leggere” con grande raffinatezza.
Per “sovrasterzo” si intende una macchina che in curva porta verso l’interno, cosa che pregiudica l’aderenza innescando spesso una sbandata del retrotreno, in sintesi, il “traverso” ed il massimo della libido per chi ama le corse.
Non sono i soli, Leclerc e Schumacher, nella storia della Formula Uno, chiaramente, a sfruttare il controsterzo. Ma c’è chi in situazione così al limite ci si trova naturalmente e chi, invece, questo “colpo” se lo costruisce, cercando di utilizzarlo il meno possibile.
La forza mentale di Leclerc
Non c’è però solo talento. La scelta coraggiosa della Ferrari non affonda le radici solo sull’aspetto tecnico. Una caratteristica che stupisce di Leclerc è infatti la sua solidità mentale, che lo ha spinto oltre le prime difficoltà incontrate in Formula Uno nella passata stagione. Problemi che non si limitavano alla conoscenza dei circuiti ma anche alla diversa struttura e potenza della macchina.
Ma Charles ci ha messo poco ad andare forte anche nella sua nuova veste, quella per cui era destinato. Forte di una predisposizione naturale per il giro secco che tanto caro era ad Ayrton Senna – testimoniato dalle 8 pole position consecutive conquistate sul campo in Formula 2 – è riuscito a mettere a segno i risultati più roboanti della sua prima stagione soprattutto in qualifica. Otto volte su 21 si è qualificato in Q3, nei primi 10. Con la Sauber, non esattamente la Mercedes.
Non bastano però i numeri per dimostrare la sua capacità mentale e la sua incredibile stagione. Sono piuttosto alcuni frammenti ad aver lasciato il segno, “costringendo” la Ferrari ad affidargli una macchina ufficiale. Dai bellissimi sorpassi a Singapore alla delicata situazione in Q2 in Brasile, nella quale ha effettuato un giro perfetto avendo a disposizione una singola occasione per raggiungere il proprio compagno di squadra. Forse è stato quello l’esame più complesso: la capacità di saper gestire la pressione di non poter fallire.
Senza tempo
Riprendiamo da dove siamo partiti: ventuno anni e 165 giorni, è il nostro punto di riferimento. Una sorta di anno zero nella carriera di Leclerc. Il giorno i cui tutto ha avuto un inizio. Forse un solo anno di esperienza non è più sufficiente a un giovane pilota per poter ambire al titolo mondiale eppure Leclerc ha voglia di bruciare le tappe. Sembra quasi non avere tempo. Commette errori, certo, ma fanno parte del ruolo imposto dalla sua giovane età.
La promozione con “quella” tuta che è leggera solo per chi la indossa dentro un abitacolo non sembra impensierirlo. Troppo preso dalla volontà di spingere e di giungere alla prima vittoria? Può essere. Senza dubbio la volontà della Ferrari di porlo sotto l’ala protettiva di Sebastian Vettel è già fallita. Leclerc non ha bisogno di un protettore ma solo di liberare tutta quella creatività e quella imprevedibilità che stanno cercando – insieme con le esuberanze dell’altro ragazzo del 1997, Max Verstappen – di salvare una Formula Uno che, stritolata da regole e da protocolli, è sempre più statica e meno appassionante.
Leclerc dona fascino perché affascinanti sono le sue gare. Sempre al limite, di traverso, sempre all’attacco. Un pilota in missione: salvare la Formula Uno da sé stessa, forse è per questo che i miglioramenti si susseguono come se non ci fosse tempo. La vittoria è lì, Per qualche strano motivo si percepisce che manca poco.
Magari arriverà sul circuito monegasco di casa il prossimo 26 maggio.
Non sarebbe un’altra prima volta, sarebbe un’investitura.