Le vite di Juan Martin Del Potro

Non ricordo molto di quella sera. Sarà perché ormai sono passati diversi anni, sarà perché ero comunque ancora abbastanza piccolo e il giorno dopo c’era scuola, sarà perché si giocava di lunedì, e dai, una finale di lunedì non si può sentire, sta di fatto che la memoria di quella giornata newyorchese di fine estate è abbastanza offuscata.
Una cosa però mi ricordo di aver visto, anche se forse era un miraggio. Mi ricordo di aver visto Roger Federer, imbattuto a New York da 5 anni, cadere sotto i colpi di un ragazzone argentino di appena 21 anni alla prima finale slam, un po’ come se il Napoli battesse il Real Madrid in una ipotetica finale di Champions League.
Era stato uno scontro tra due mondi completamente diversi, la precisione, l’eleganza è il rigore svizzero contro la garra, la pasiòn, la quasi rudezza Argentina.
C’erano sette anni di differenza tra i due ma sembravano una voragine enorme tra un tennis antico, elegante, quasi armonico e un tennis moderno, atletico, fatto di potenza e fisicità.
A Flushing Meadows Juan Martin Del Potro fece emozionare in tanti – sdraiato sul campo in lacrime in quella notte di fine estate – oltre agli argentini, che vivono per questo tipo di emozioni. Aveva fatto stropicciare gli occhi di tutti coloro che avevano visto questo gigante, diventato per un giorno Davide, battere Golia e diventare campione.

Era nata una nuova stella, l’accoglienza degna di un messia al ritorno in patria, le interviste, la TV, a 21 anni era diventata l’alternativa tennistica a Messi e Ginobili, gli altri due signori dello sport contemporaneo argentino.
Attenzioni forse troppo grandi per un ragazzo così giovane e piuttosto introverso, ma Delpo aveva le spalle larghe, sembrava non sentire la pressione.
In patria era già considerato il potenziale numero 1, l’alternativa sudamericana a Djokovic e Nadal quando re Roger avrebbe abdicato, lasciando definitivamente libero il trono di signore del tennis.
Era possibile in effetti, anzi era molto probabile perché i presupposti c’erano tutti, ma da quel momento, quasi nulla andò per il verso giusto; il gigante che non si lasciava scalfire dalle pressioni, si inginocchiò davanti ad una serie di infortuni senza precedenti, 5 anni di incubo, che hanno, di fatto, cancellato il ricordo dell’argentino sul campo da tennis.
Come se niente fosse successo, come se quella notte di metà settembre 2009 fosse stata come tutte le altre, come se nessuno avesse mai sentito parlare di Juan Martin Del Potro.
Le lacrime di gioia si erano trasformate in lacrime di dolore, di amarezza, le lacrime di chi sa di avere un potenziale infinito ma di non poterlo esprimere per colpe non sue.
E a questo punto non resta che farsi delle domande che non possono avere risposta, cosa sarebbe successo se nel 2010 il polso destro non avesse fatto crac, fermandolo per 8 mesi e non permettendogli nemmeno di difendere quel torneo che lo aveva issato nell’Olimpo dello sport argentino? Cosa sarebbe successo se anche l’altro polso fosse stato sano, se non lo avesse fatto penare per un anno prima della decisione dell’operazione nel 2014 che lo terrà lontano dal campo per due anni, viste le ricadute? Cosa sarebbe successo?

Del Potro non perde il sorriso nemmeno dopo la tremenda operazione al polso.
Del Potro non perde la grinta nemmeno dopo la tremenda operazione al polso.

Forse sarebbe arrivato al numero 1, forse avrebbe intaccato lo strapotere di Djokovic, o forse no, forse non avrebbe vinto più uno slam, forse sarebbe stato uno dei tanti sudditi alla corte del serbo, dubbi al quale nessuno può dare una risposta.
Me lo immagino, nella sua casa di Tandil a guardare il tennis in televisione, magari con quella coppa sotto braccio tenuta stretta stretta con le lacrime agli occhi, quasi come se tutto fosse un sogno, diventato un incubo all’apice della sua bellezza.
Mai però sottovalutare la forza di un argentino, è la loro storia che ce lo insegna, una serie continua di cadute e tentativi di rinascita che possono capitare solo a loro, per il modo unico di vivere la vita che hanno, con sentimenti forti, grandi gioie e grandi dolori senza vie di mezzo, un’ascensore sempre in moto tra inferno e paradiso, senza un purgatorio in cui fermarsi.
Juan Martin ci sta provando davvero a tornare, a 28 anni e con tanta rabbia dentro, quella di chi vuole dimostrare che non è mai troppo tardi per rientrare, quella di chi non ci sta a tenersi l’etichetta del “se solo non avesse avuto tutti quegli infortuni poteva essere il migliore”, e chissà magari rivedremo le strade di Buenos Aires in festa per lui dopo un grande successo.
Intanto si intravedono solo sprazzi del vecchio Del Potro, il torneo di Wimbledon di quest’anno ne è la dimostrazione, grandissima partita per battere Stan Wawrinka e poi partita modesta e sconfitta contro il non irresistibile Pouille.

La speranza però, ogni volta che lo si vede in campo, torna forte, perché se quel giorno del 2009 ci siamo meravigliati anche noi , non si poteva accettare che tutto finisse così, come se quel trionfo fosse stato solo una meravigliosa stella cometa in un cielo newyorchese piovoso, come se lo stesso Delpo non fosse altro che una meteora destinata a risplendere fortissimo prima di perdersi subito dopo.

Le tante posizioni scalate in classifica quest’anno sembrerebbero un gran segnale, sperando che questo sia il suo rientro definitivo nel circuito e che quel gigante con la faccia da buono torni a svettare proprio come quel giorno in cui tutto il mondo si accorse di lui.

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