“La gratitudine, come certi fiori, non cresce in alta quota e rinverdisce meglio nella terra buona dell’umiltà.” È una massima di Josè Martì, rivoluzionario cubano che guidò l’isola all’indipendenza del 1902. Se per alta quota intendiamo un grande palcoscenico, Manuel Lazzari è quel fiore che lì non è adatto a prosperare, bensì trova il suo habitat naturale nella realtà più semplice e genuina.
“Il giornale di Vicenza, una volta, mi definì “El Niño Maravilla castellano, paragonandomi ad Alexis Sanchez. Ma non sono un giocatore offensivo e di fantasia come il cileno. Corro su e giù sulla fascia, sono bravo nel dribbling e faccio bene sia la fase offensiva sia quella difensiva. Se proprio vogliamo trovare un giocatore di riferimento direi Maggio”.
È questo il manifesto di Manuel Lazzari, nato a Valdagno il 29 novembre 1993. La città vicentina è nota prevalentemente per aver introdotto i moti sessantottini in Italia, grazie a una rivolta operaia contro i Marzotto, la secolare famiglia che ha padroneggiato quella zona del Veneto. Lazzari è influenzato ben poco dallo storico avvenimento, non ha lo spirito ribelle. Pare essere più adatto alla corsa campestre che al calcio, infatti il Montecchio Maggiore lo tessera unicamente per il suo fiato inesauribile. La resistenza fisica di Lazzari impressiona nelle categorie minori, compagini venete come il Delta Porto Tolle lo ingaggiano per garantirsi una sicurezza su ogni zona della fascia destra, senza dare troppo peso all’aspetto tecnico. Lazzari è probabilmente un calciatore di altri tempi traslato ai giorni nostri, nella Storia calcistica del Paese forse soltanto Giovanni Lodetti lo rassomiglia. Prende alla lettera i versi di Ligabue, lavora sui polmoni e non sbaglia, perché riesce a essere sempre un tempo di gioco avanti all’avversario, così da poter dribblare tutto e tutti senza troppe finte o giocate superflue.
Risulta unico in questa caratteristica, e la reputazione che si è costruita oltrepassa i confini veneti, sino a compiere 112 chilometri verso l’Emilia-Romagna.
Walter Mattioli, l’uomo chiave
Il 2012 è l’anno della svolta, passa alla Giacomense, in Lega Pro. Non cambia nulla, direte.

Eppure, da terzino si trasforma in un jolly utilizzabile su tutta la catena e in ogni modulo. La vera crescita è però rappresentata dal 3-5-2, dove Lazzari s’impone con la sua carta vincente, il movimento in diagonale. Una netta traiettoria che Manuel percorre sia in fase difensiva, per scalare sull’uscita di un difensore, che in offensiva, per offrirsi come taglio vincente o per creare semplicemente superiorità numerica. Il presidente della società di Masi San Giacomo è Walter Mattioli che, contemporaneamente, possiede il 10% delle azioni spalline. Fu proprio lui a proporre a Semplici l’esterno ideale per il progetto che stava prendendo vita. Il tecnico toscano si convince delle potenzialità di Lazzari, e ha ragione da subito. Con la promozione in B ad appena vent’anni, si ritrova a dover affrontare la prima grande sfida della sua carriera. Una grande sfida per i suoi polmoni.
L’ascesa spallina
Lazzari è preoccupato soprattutto della fisicità del campionato cadetto, pensa di non poter resistere alle sportellate. Non è un problema.
Già, perché Leonardo Semplici ha saputo costruire una formazione equilibrata, quasi divisa in due parti, una più massiccia e l’altra più rapida e tecnica. In questo modo, ogni lacuna del singolo è colmata dal compagno, così da creare una macchina funzionale, fondata sui principi dell’allenamento quotidiano e della concentrazione collettiva, dove giocatore come Lazzari possono esprimersi al meglio. Ben 39 presenze in B, in sostanza non è mai uscito dal campo, e si è guadagnato un ruolo fondamentale nel ritorno in A della SPAL.

Manuel è il rappresentante migliore del mondo estense, una grande famiglia fondata sui cardini di squadra, allenatore, tifosi e dirigenza. Lazzari abbraccia ognuno di questi aspetti, è imprescindibile per i colleghi che vedono in lui un continuo appoggio al quale trasferire il pallone troppo bollente, sanno che a destra ci sarà sempre, dovesse essere il primo o l’ultimo minuto di gara. Per il mister è una certezza su cui puntare, duttile, e al contempo utile, per eludere le retroguardie avversarie che difficilmente riescono a prevedere un suo inserimento. È il calciatore del popolo, quello che fa impazzire la Ovest a ogni sua galoppata, a ogni suo fotogenico recupero in scivolata, come se uscire dal campo con la divisa pulita fosse un disonore. Il club può confidare nella fedeltà di Lazzari, conosce i rischi intrinseci al salto di qualità in un top club, e, al momento, ha trovato la sua dimensione nel biancoazzurro. Arrivare in massima serie significa vedere i frutti del proprio raccolto. L’intesa con Bonifazi, Schiattarella e Antenucci è totale, la palla gira da quel lato quasi a memoria e Lazzari spacca letteralmente le partite dove i suoi sono contratti dietro la linea della sfera. Nel giro di una settimana, Manuel Lazzari ha dato un antipasto del proprio valore.
La prima volta non si scorda mai
Il 20 agosto 2017 esordisce contro la Lazio e nella giornata successiva, al ritorno del Paolo Mazza in serie A, segna di sinistro. Da quell’istante, l’exploit. Un Varenne prestato al pallone, che macina campo in continuazione senza tregua; è il più utilizzato da Semplici, 36 gettoni in totale. Riprende addirittura a fare l’ala, quando i ferraresi sono sotto e il modulo varia in un 4-3-3 molto largo. Se c’è un termine che può definire la salvezza emiliana è, senza dubbio, cavalcata. Dall’agonico 17esimo posto in sé, arrivato con un girone di ritorno mostruoso, dove la Polisportiva è stata capace di stoppare la Juventus, alle interminabili corse di Lazzari, su tutte quella che porta proprio alla sua rete di Marassi, fondamentale per non perdere punti contro il Genoa in una fase concitata del campionato. È stato il più acclamato durante i festeggiamenti della permanenza all’ultima giornata, applausi dettati anche dalla paura, perché Lazio, Torino, Napoli e Fiorentina premono per portarlo alla propria corte; sarà il calore della Curva a trattenere Manuel dov’è diventato grande. Questa stagione è ripartito alla grande, si sta godendo il gioiellino del nuovo Paolo Mazza, impianto all’inglese che però non ha perso, con l’ammodernamento, il suo alone quasi centenario.
Fra Nazionale e spunti blaugrana
La carenza di validi laterali destri italiani l’ha favorito; il CT Mancini ha posto la bandierina sul picco della scalata di Lazzari, convocandolo in Nazionale per gli impegni in Nations League. Traguardo significativo non solo a livello personale, poiché ha raccolto l’eredità di Bugatti e Fontanesi, gli ultimi spallini a vestire la casacca azzurra nel lontano 1952. All’esordio ha affrontato il Portogallo, l’unico rimpianto potrebbe essere non aver marcato l’assente Cristiano Ronaldo, occasione che gli si ripresenterà comunque il prossimo 24 novembre. Per ora, non ha saltato un singolo minuto con la SPAL, anzi, è migliorato aggiungendo alla collaudata rapidità nei 30 metri iniziali di scatto, un movimento di tendenza. In Spagna lo chiamano “pase de la muerte”, ed è la definizione che i media iberici hanno dato all’assist solito che Jordi Alba effettua, spesso, per Leo Messi. Il terzino si sovrappone, controlla la palla e sorprende il proprio marcatore trovando un attaccante a rimorchio, il quale ribadisce a rete. Paragone eccessivo, eppure Lazzari esegue “el pase” alla perfezione, come in occasione del gol di Antenucci all’Olimpico, dove il capitano è stato servito proprio dall’esterno su fotocopia, ad esempio, del gol nel Clàsico di Coutinho.
Sarà oggetto di contesa anche nella sessione invernale di mercato, Manuel Lazzari. Ora è giunto a un bivio fondamentale della sua carriera; dovrà scegliere se continuare scrivere la romantica favola spallina o provare a far sbocciare il proprio fiore altrove, dove il peso del pallone è proporzionale all’altitudine calcistica in cui ci si trova.
Comunque vada, lavorerà sui polmoni. Quello, non ha mai smesso di farlo.