maggio 2018. Per Numerosette è giunto il fatidico momento, ovvero la scelta dei principali protagonisti di questo campionato; un top per ruolo – scelto da tutta la redazione – con votazione regolare. Tranquilli, non siamo come Platini. Sono volate parole dure, tazze di caffé, sedie, cross di Candreva arrivati inspiegabilmente fino alle nostre case, guanti usati (?) di Dragowski venduti su Ebay, e via dicendo: in effetti, non sembra credibile tutto ciò.
Su una cosa dovete credere: il dominio di Alisson è stato incontrastato.
Non c’è stata storia, il brasiliano ha parato tutto. Ha parato le perplessità legate al post-Szczesny, e inizalmente nessuno avrebbe ipotizzato una reattività tale a questi dubbi: dubbi leciti, sì, fomentati forse da una scarsa conoscenza del portiere.
Ma questo è passato, vecchio, stantio, mero cimelio da conservare per ricordarsi quanta strada ha percorso, da portiere di Coppa a portiere da Coppa. Portiere che, in Coppa, ha sbagliato pochissimo, facendo segnare il meno possibile: è chiaro che il panismo fra due roccaforti – Allison e l’Olimpico – abbia fatto sì che solo il megalomane Liverpool di Klopp potesse gonfiare la rete giallorossa, risultato di cui andar fieri.
Spero di andar fiero anche io, di questo pezzo, perché rendere giustizia alla stagione di Alisson Becker diventa un’impresa davvero difficile.
Nuovo è sempre meglio
Lo diceva spesso Barney Stinson in How I met your Mother, capolavoro seriale reso ancora più epocale da un cast giovane e brillante, un po’ come la Roma di Eusebio Di Francesco: “Nuovo è sempre meglio“, era una delle regole pregnanti e caratterizzanti del personaggio di Barney, un diktat che ha seguito e predicato nell’ultima puntata della sesta stagione, Sfida accettata: non farcisco il piatto con altri contorni, per evitare minacce di spoiler a tradimento. Mi soffermo semplicemente sul concetto, radicalmente connesso all’annata di Alisson.
Alisson è il Nuovo, in tutto e per tutto. Nuovo nel sistema Roma, in cui è entrato a pieno regime quest’anno, da protagonista: nuovo anche nelle movenze, nella posizione e soprattutto nell’ampiezza del campo da sfruttare. Sembrerà un paradosso, parliamo di un portiere, eppure la sicurezza che fa trasparire dalla sua cristallina classe brasiliana fornisce ulteriori certezze alla squadra. Non perde mai il controllo, anzi, mantiene lucidità e sopratutto calma per far ripiegare velocemente l’azione trasformandola da difensiva in offensiva, eludendo abilmente il pressing avversario, nella maggior parte dei casi isolato.
Quello che, però, sembra differenzare Alisson dagli altri portieri è il posizionamento. Riesce sempre a mantenere la corretta posizione riispetto alla linea del pallone, evitando così di ricorrere a tuffi eccessivamente lunghi: interessanti, a tal proposito, i piccoli movimenti con i piedi, laterali, eseguiti con velocità quasi meccanica e repentina, per mantenere una posizione di assoluto vantaggio sull’avversario.
Pulito, lineare, senza sbavature. La stagione di Allison potrebbe essere riassunta in queste GIF, ma forse sarebbe sprecata, riduttiva; insomma, meglio andare avanti. Non fermiamoci, come farebbero la maggior parte degli attaccanti in Serie A costretti a fronteggiare il brasiliano che, in alcune serate, pareva invincibile.
Ma spieghiamo meglio.
Il punto più alto
Invicinbile si. L’attaccante può percepire un senso d’inferiorità dinanzi alle prodezze del portiere brasiliano. Psicologicamente, Allison, pesa come una Sacher in piena attività dietetica: sai perfettamente che un boccone ipercalorico potrebbe pesarti sulla coscienza, entrando in una guerriglia psicologica che non stiamo a descrivere.
E i protagonisti dell’Inter non riuscivano a farsene una ragione, quel pallone non entrava; ancora ringraziano l’uruguagio Vecino che, nei momenti decisivi, trafigge anche i migliori.
La prestazione di San Siro segna forse il punto di una stagione mostruosamente continua, impreziosita dai 16 clean-sheet in 37 partite in campionato, numeri altisonanti. Solo in sei occasioni ha subito più di un gol; onore al Benevento del nostro Corrado Tesauro, che rientra in questa mini-classifica.
E tra i portieri con almeno tre presenze all’attivo, possiede la miglior percentuale di parate (79%). Non per caso, Opta lo ha inserito nella Top XI del campionato.
Una stagione, una situazione, completamente rovesciata. Tantissime perplessità al suo arrivo, un minutaggio residuo all’ombra di Szczesny e qualche papera televisiva evitabile: Alisson ha lavorato per ribaltare la situazione, per farla sua in presa alta, in uscita. Proprio come i grandi giocatori, mai sazi, con le orecchie aguzze e attente ad ascoltare ogni critica, consiglio, per tradurlo in fabbisogno energetico per il prossimo ostacolo. Così, i grandi giocatori superano i momenti difficili, titubanti, le delusioni che perplimono l’essere umano immergendolo in uno stato quasi di purgatorio emotivo: ne sono arrivate poche, di delusioni, nell’annata di Allison. Però ci sono.
Il punto più umano
Titolo forte, molto forte. Trovare il punto più basso della stagione di Allison è facile come fare le convocazioni della Francia, ma ci proviamo.
Qui abbiamo capito che Alisson è umano. Basta un malinteso tra Gerson e Gonalons, un guizzo improvviso di Lapadula, per freddarlo; Becker sosta praticamente sulla lunetta d’area di rigore, sintomo del suo effettivo accentramento nella proposizione della manovra, o comunque nella manovra stessa: chiaramente, quando un ingranaggio non funziona, ne risente tutta la catena organizzativa, un meccanismo che mette sul banco degli imputati più colpevoli, seppur alcuni apparenti. Alisson, sorpreso, paga un temporaneo black-out nei circuiti giallorossi, che sino a pochi minuti prima parevano funzionanti.
Insomma, ci troviamo attualmente in un pendolo che oscilla tra l’errore posizionale e quello sistemico, di squadra: prediligiamo la seconda opzione, volevamo solo ricercare scrupolosamente il pelo nell’uovo per aggiungere pepe alla nostra tesi. E all’uovo, aggiungiamo una N, di nuovo; nuovo come il senso di protezione che i tifosi romanisti non percepivano distintamente sulle loro membra da tempo immemore.
Protetti come se fossero abbracciati.
Il suo anno in una foto
Pensavate che ci fossimo dimenticati di Roma – Barcellona, vero?
No, non si puo dimenticare né cancellare con la goma un’emozione del genere, pura e intensa, così tempestosa da aver travolto l’Italia intera: Alisson, anche in quell’occasione, è stato impeccabile. Non ha subito gol, aiutato da un Barcellona non ancora pervenuto a distanza di un mese.
La cavalcata europea ha proiettato i giallorossi in un Nuovo mondo. Ma soprattutto, riaccende la disputa fra Ted e Barney in How I met your Mother: l’eterna battaglia tra vecchio e nuovo, tra il nuovo modo di interpretare il ruolo di Alisson e le vecchie ruggini di una Roma che, quest’anno, ha zoppicato a correnti troppo alterne per infestare Trigoria di complimenti: meritati, sicuramente, vista la finale sfiorata, ma i fantasmi di una cessione del suo fenomeno con i guantoni iniziano ad aleggiare.
I romanisti inziano a pregare come Alisson.
Riflessi divini
Ci lasciamo così, con due riflessi divini, iconici, esemplificativi dell’impatto di Alisson su questa Roma, su quest’annata comunque positiva.
Ci lasciamo così, seguendo le parole di Juan Jesus:
Il migliore amico è quello che ti salva nel momento del bisogno
Verità, sacrosanta, pronunciata dopo l’espulsione dello stesso Juan Jesus che ha causato il rigore a favore del Chievo; Alisson lo ha parato, intuendo brillantemente l’angolo.
Si è sentito sedotto e abbandonato all’arrivo, eppure non ha mollato alcun centimetro: ha sfruttato l’occasione per prendersi la Roma, e le inevitabili attenzioni dei migliori club europei.
Questo è l’anno di Alisson. Rasenta la perfezione, supera i confini dell’immaginabile, stupisce i malpensanti.
Ma soprattutto, metterebbe una pezza ovunque. Anche a questo pezzo.