La mia banda suona il Jazz

Salt Lake City non significa solo bellissime montagne (si, le stesse hanno ospitato anche un’avvincente olimpiade invernale), grande lago salato e verosimili leggende sui mormoni; tra i vanti della città c’è anche l’amatissima squadra di basket locale, gli Utah Jazz. Qui però salta subito all’occhio qualcosa di strano: perché proprio Jazz?

 A occhio e croce non sembra infatti che lo stato dello Utah sia famoso per i suoi jazzisti, e il nome, a vederlo così di primo acchito, può apparire quantomeno bizzarro. Per trovare una risposta bisogna scavare nella storia della franchigia che venne fondata non qui ma a New Orleans, dove di musica jazz ce n’è fin troppa. La squadra venne spostata per ragioni economiche a Salt Lake City alla fine degli anni ’70 e i proprietari decisero di mantenere la denominazione Jazz, scatenando le ire degli abitanti della Big Easy che avrebbero voluto quel nome legato indissolubilmente alla loro città.

Hanno vissuto un unico grande momento di gloria nella loro storia, lungo circa 15 anni, tra la metà degli anni ’80 e i primi anni duemila. Tutto nacque nel 1985 quando, mentre nella vicina Park City i fratelli Coen si presentavano al mondo del cinema vincendo il Sundance Film Festival (prestigiosa rassegna del cinema indipendente), prendeva piede una delle coppie più prolifiche della storia del gioco, quella formata da John Stockton e Karl Malone.

 Per farvi capire, numericamente parlando, l’importanza di questi due, basta dire che il primo è tutto’ora primatista NBA all time per quanto riguarda assist e palle rubate, mentre Malone è il secondo marcatore di tutti i tempi. La coppia “Stockton to Malone” ha condotto i Jazz a due Finals consecutive, entrambe perse contro gli imbattibili Chicago Bulls del Michael Jordan versione 2.0. Allenatore di quella squadra fortissima era Jerry Sloan che si, era nato nell’Illinois, ma che ha legato il suo nome alla panchina della squadra della ‘città del lago salato per ben 23 anni, tra il 1988 e il 2011.

 Quelle serate al Delta Center avevano un sapore particolare. Che basket che giocava quella squadra, bello e vincente, un roster formidabile che, in tutti gli anni ’90, in una sola stagione perse più di 30 partite.

Sarà anche per questa nostalgia canaglia, che negli anni successivi all’addio della magica coppia la squadra abbia faticato notevolmente a ritornare ad essere una contendente: escluse le finali di Conference del 2007, giocarsi un anello sembrava improbabile.

Oggi però, a 5 anni dall’addio di Sloan e a 4 dall’ultima apparizione ai PlayOff, sotto la guida di Quin Snyder la rotta sembra essersi invertita, e sebbene rispetto alle superpotenze dell’Ovest sia ancora indietro, la squadra è giovane e le prospettive alquanto interessanti.

A guidare il team tuttavia, non ci sarà, nelle prime settimane, Gordon Hayward, che lo scorso anno fece registrare una buonissima stagione, chiusa con quasi 20 punti di media. Pare che il 26enne si sia fratturato un dito rimanendo incastrato nella zip della tuta di un compagno. L’infortunio dovrebbe tenere lontano dai campi il nativo dell’Indiana per almeno 6 settimane, una perdita che rischia di essere davvero pesante per l’avvio di campionato dei Jazz.

Dovrebbe, a questo punto, partire in quintetto Joe Johnson, unico free agent firmato dalla dirigenza in estate. Johnson potrà dare  sicuramente quel tocco di esperienza che, in parte, è mancato lo scorso anno e soprattutto, ora più che mai, rappresenta una validissima alternativa visto che come scorer si è sempre fatto valere anche se, probabilmente, le 35 primavere si faranno sentire. Infine, avrà, inizialmente, il suo spazio Joe Ingles che però faticherà a trovare minutaggio una volta che Hayward sarà tornato disponibile.

Grandi aspettative ci sono invece sul centro della squadra, il 24enne francese Rudy Gobert. Nonostante le 21 gare saltate lo scorso anno, il prodotto di Cholet è riuscito a chiudere con una media di 9 punti e 11 rimbalzi, statistiche che, se ritoccate verso l’alto, porterebbero un notevole apporto alla causa di Snyder.

 Gobert dovrà anche fare da chioccia a Joel Bolomboy, appena arrivato dal draft nonostante abbia già 22 anni. Il ragazzo da Weber State ha tenuto delle medie buonissime nel suo ultimo anno collegiale, e sebbene sia forse ancora un po’ acerbo per la categoria, potrebbe avere importanti margini di miglioramento, risultando in futuro una vera e propria steal.

Si chiude il reparto “lunghi” parlando di Derrick Favors, altro giocatore giovane (25 anni) pronto per passare allo step successivo e innalzare il suo livello di gioco. I 16,4 punti di media uniti agli 8,1 rimbalzi a partita della scorsa stagione, lasciano itnravedere spiragli di positiva luce per le prestazioni della nuova annata, dove ci si aspetta un ulteriore upgrade – salute permettendo – ( durante la regular season 2015/16, lo stesso Favors ha saltato diversi match).

 Dietro di lui, nel ruolo, scalpita il 21enne Trey Lyles, pronto a guadagnarsi più minuti possibili.
La dodicesima scelta del Draft NBA 2015, dopo aver chiuso la sua prima stagione pro tra alti e bassi, dovrà sfruttare ogni occasione possibile per convincere Snyder del suo valore, per metterlo in difficoltà nelle scelte, anche se Favors parte nettamente in vantaggio.

Saranno elementi importanti anche Rodney Hood e Alec Burks, altri due giovani, classe ’92 il primo e ’91 il secondo, che si alterneranno nel ruolo di guardia tiratrice; un duo giovane e fresco che potrebbe regalare non poche sorprese.

Capitolo finale: playmaker.

Il titolare di turno, almeno inizialmente, dovrebbe essere il nuovo arrivato George Hill, trentenne con parecchia esperienza, arrivato nel midwest dopo gli anni di Indiana. Hill porta una buona dose di talento nel ruolo, cosa che è mancata lo scorso anno, anche vista l’assenza totale di Exum. Sarà interessante vedere come si riprenderà l’australiano dopo aver saltato l’intera scorsa stagione; certo, gli amanti della gioventù vorrebbero vederlo subito in campo, in modo da avere, al ritorno di Hayward, un quintetto composto da giocatori nati negli anni ’90, ma ciò, per ora, sembra difficile da immaginare. Oltretutto, Hill offre più sicurezze rispetto al compagno e per Snyder sarà molto difficile farne a meno. L’ipotesi più probabile è quindi quella di vedere l’ex Pacers in quintetto e un agguerrito Exum pronto a subentrare.

 Non troppi minuti, quelli che attendono il brasiliano Neto, terza scelta nel ruolo. Chiude il roster un altro nuovo arrivato, Boris Diaw, che dopo i fasti di San Antonio, ha scelto Salt Lake City come nuova tappa della sua lunga carriera.

Insieme con Johnson e Hill porterà, dall’alto dei suoi 13 anni in NBA, quella fondamentale esperienza che tanto è mancata durante la sfortunata scorsa stagione, con i PlayOff sfumati all’ultima giornata, nella partita che ha visto l’addio alla pallacanestro di Kobe Bryant.

Azzardando un pronostico, con Warriors, Spurs e Clippers destinati a monopolizzare i primi tre posti, i Jazz potrebbero e dovrebbero giocarsi una posizione dalla 4 alla 6 con Blazers e Thunder che, per prima cosa, dovranno smaltire l’addio di Durant.

La gioventù del roster rende la compagine dello Utah una delle possibili franchigie di vertice nei prossimi anni e, se Snyder saprà lavorare saggiamente il materiale a sua disposizione, già in questa stagione i mormoni potranno togliersi diverse soddisfazioni.

Giovani e forti, curiosi di vederli all’opera, we are waiting for the start of the season.

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