Ieri sera, durante le semifinali di Europa League, tra tante gustose chiavi tattiche abbiamo avuto l’occasione di vedere a confronto i due capocannonieri della competizione. Chelsea-Eintracht è stata infatti una sfida nella sfida tra Olivier Giroud (9 reti) e Luka Jović, che sta disputando una stagione straordinaria e ieri ha raggiunto il record di 10 gol nella competizione.
Il giovane attaccante serbo, classe 1997, ha trasformato l’Europa League nella sua zona di caccia: si è messo alla testa di una squadra che tre anni fa giocava lo spareggio per non retrocedere in Zweite Bundesliga e l’ha trascinata fino a una storica semifinale che mancava da ben 39 anni. Jović, che in questa stagione ha segnato 27 gol e ha fornito 7 assist, rappresenta l’affermazione di un nuovo tipo di attaccante, adatto al contesto sempre più rapido ed episodico delle competizioni europee.
Come da tradizione, inauguriamo l’articolo con l’immancabile video”Goals and Skills” con l’improbabile – e tamarrissima – colonna sonora. Ormai tutto questo hype ci è entrato nelle vene.
Com’è cambiata l’Europa League
L’Europa League non è più una competizione di ripiego: il livello tecnico-agonistico è in evidente ascesa e l’interesse del pubblico si è espanso di conseguenza. In termini di valore delle rose (ad oggi, quasi 9 miliardi di euro totali) e di risultati pirotecnici (il 28% delle partite caratterizzato da 3 o più gol), le cifre ricordano molto da vicino quelle della Champions League; ma ciò che più conta è che questa competizione, che da molti era considerata una lunga e inutile maratona, si è finalmente guadagnata una propria identità.
A riprova della elevata competitività dell’Europa League, le quattro semifinaliste di quest’anno appartengono all’élite dei club europei e hanno un valore economico complessivo che va dai 280 milioni dell’Eintracht agli 860 del Chelsea, passando per i 340 del Valencia e i 650 dell’Arsenal. Si tratta di squadre di punta nei rispettivi campionati, che possono fare affidamento su giocatori che sembrano nati apposta per il contesto di gioco dell’Europa League.
Una nuova generazione
Assieme a Lacazette, Aubameyang, Joao Felix e Giroud, Luka Jović è stato uno dei giocatori determinanti di questa competizione. Il centravanti serbo è l’archetipo perfetto di una nuova generazione di attaccanti, nati alla fine del millennio, che sono dotati di un nuovo mix fisico-tecnico particolarmente adatto al calcio scientifico di oggi.
Proprio come Lautaro Martìnez, altro illustre rappresentante della nuova razza, Jović è una prima punta molto mobile, capace di lavorare efficacemente anche spalle alla porta; ha una tecnica di base superiore alla media e la sua potenza fisica gli permette di sopportare un alto dispendio di energie (in fase di possesso e di non possesso) senza che gli sforzi compromettano la vena realizzativa.
Un’altro grande pregio di Jović è la capacità di interpretare il ruolo in maniera corale. Da un punto di vista tattico, infatti, il serbo è molto di più di un semplice finalizzatore. Nel 3-4-1-2 dell’Eintracht il lavoro dei tre giocatori d’attacco è fondamentale per mantenere l’equilibrio e non è raro vedere Jović impegnarsi in lunghi recuperi difensivi, utili per ammortizzare la pressione avversaria. Anche qui, le similitudini con Martìnez sono notevoli: i due condividono una grande aggressività senza palla e una notevole efficacia nei tackles in scivolata, con i quali arpionano il pallone e danno il via alla ripartenza.
La signature move di Jović
Tra le giocate più caratteristiche dell’Eintracht c’è lo sfruttamento delle catene laterali, dove Kostić e da Costa possono creare superiorità numerica e rifornire l’area di rigore con passaggi difficili da leggere. Delegando la qualità alle fasce, la zona centrale del campo deve essere sempre occupata da giocatori di rottura, che non disdegnano il ricorso al fallo tattico. Qui spiccano, ovviamente, Gelson Fernandes (che ieri non ha giocato, ma ha comunque commesso più falli di tutti in Bundesliga: 53), Sebastian Rode (secondo nell’omologa classifica di Europa League, con 22 infrazioni) e Makoto Hasebe (giocatore dalle brillanti letture difensive).
La finalizzazione di un gioco così veloce e dispendioso dipende ovviamente dal triangolo d’attacco. E nell’ultimo terzo di campo, più dei vari compagni di reparto (Gacinovic, Rebic, Haller) è Jović a farla da padrone. Il centravanti ha segnato un numero notevole di gol con quella che possiamo definire la sua signature move: attacco del primo palo, smarcamento “alla Icardi” e staffilata potente di collo. Un ballo in tre tempi, bello e letale, che ha fatto vittime illustri nell’arco della stagione.
Anche ieri sera Jović ha dato un saggio della sua signature move, liberandosi alle spalle di un distratto David Luiz e insaccando senza alcuna pressione alle spalle di Kepa.
Jović è nato per l’Europa
Nel doppio confronto della semifinale Eintracht e Chelsea si sono affrontate proponendo due visioni di gioco radicalmente opposte. Il doppio pareggio per 1-1 ha dimostrato come le filosofie fossero in grado di annullarsi a vicenda: i tedeschi mettevano sotto pressione il Chelsea sulle fasce, mentre gli inglesi facevano lo stesso con le percussioni centrali di Willian, Hazard e Loftus-Cheek.
Sia in casa che in trasferta, il Francoforte ha preferito una partita di rimessa, lasciando agli avversari il controllo del gioco. All’andata il Chelsea ha gestito meglio la partita (516 passaggi riusciti, 67% di possesso palla) mentre al ritorno il match è stato più equilibrato. I tedeschi sono riusciti a gestire l’evidente superiorità tecnica dei blues spostando la partita sul piano della densità difensiva e del contropiede, arma letale con cui hanno eliminato più d’una squadra in questa competizione.
In entrambe le occasioni, l’Eintracht ha trovato in Luka Jović un finalizzatore indispensabile per rimanere sempre in partita; il serbo ha capitalizzato le uniche due occasioni avute in 90′, dimostrando di trovarsi incredibilmente a proprio agio dentro i ritmi internazionali. Anche ieri sera, quando la difesa del Chelsea veniva caricata con una pressione massimale, è stato l’unico attaccante dei tedeschi a non sbagliare mai una scelta offensiva. Una differenza che lo ha fatto spiccare in mezzo ai compagni.
I meriti dell’Eintracht
Nelle scorse stagioni, Jović aveva militato prima alla Stella Rossa di Belgrado e poi al Benfica senza dare l’impressione di poter diventare un finalizzatore affidabile e continuativo; inserito nel contesto fluido e dinamico del Francoforte, invece, è riuscito a sprigionare tutte le sue qualità offensive. Resta da capire, quindi, quanto il “fenomeno Jović” dipenda dall’Eintracht, inteso come collettivo capace di esaltare il singolo, e quanto invece dipenda dalle sue effettive capacità.
A livello tattico, infatti, il gioco laterale di Adi Hütter è molto propositivo ma dipende quasi totalmente dalla condizione fisica dei suoi calciatori. Gli attaccanti devono effettuare una fase di pressing che, nella lunghezza di una stagione calcistica, non può essere sostenuta sempre ai massimi livelli. I tre centrali difensivi sono spesso costretti ad accettare l’uno contro uno con gli attaccanti avversari, coprendo zone di campo molto ampie e prendendo grossi rischi nel corso della partita. Infine, gli esterni di centrocampo, sebbene garantiscano una spinta determinante sulle fasce, non sono impeccabili in fase difensiva.
I limiti del modello tedesco
L’Eintracht è una squadra ben organizzata, capace di giocare un calcio brillante e propositivo che in determinate occasioni ha ricordato, per freschezza e qualità, quello dell’Ajax, l’altra grande sorpresa delle coppe europee. Nel corso del lunghissimo cammino in Europa League, i tedeschi hanno eliminato Marsiglia, Lazio (ai gironi), Inter, Shaktar e Benfica, inchiodando il Chelsea alla lotteria dei rigori.
Il modello tedesco, che funziona discretamente in Europa, è però andato in crisi nel campionato domestico. Quando l’Eintracht incontra una squadra che non dissipa il possesso palla e assorbe l’entropia dei loro formidabili contropiedi, l’intero sistema va in crash. Molto meglio del Chelsea (troppo impreciso, nell’arco dei 210 minuti), il Bayer Leverkusen aveva evidenziato tutti i limiti tecnici dell’Eintracht schiantandolo con un sonoro 6-1 maturato interamente nella prima frazione di gioco.
In quella partita Jović è entrato dopo il 6-1 (quindi al 37′ del primo tempo) e non ha potuto far nulla per invertire l’inerzia di un sistema in crash. C’è dunque il rischio che il crack di Jović scompaia assieme al sistema di gioco che attualmente lo esalta?
Un futuro blanco
Pochi giorni fa, i quotidiani di mezza Europa hanno rivelato lo scoop. Il Real Madrid di Zidane, che ha messo nel mirino parecchi giovani di grandissima prospettiva, avrebbe esercitato un’opzione di acquisto su Luka Jović assicurandosi il cartellino per una cifra che si aggira attorno ai 60 milioni di euro. Assieme a Vinicius jr., Mariano Diaz e Brahim Diaz, i blancos stanno cercando di costruire un reparto offensivo radicalmente diverso da quello che ha portato alla vittoria delle tre Champions consecutive, svecchiando una rosa comprensibilmente appagata dagli enormi risultati delle stagioni precedenti.
Jović sarebbe il centravanti ideale per una squadra che penetra in profondità nelle aree laterali e accentra il pallone nell’ultimo terzo di campo. C’è da credere che l’ipotetico 4-3-3 di Zidane si voglia muovere proprio in questa direzione, affidando l’attacco a giocatori mobili e dotati tecnicamente, abili nel liberarsi dalle marcature nell’area avversaria.
Il crack di Jović
Ovviamente, è ancora troppo presto per immaginare il possibile impatto di Jović nelle dinamiche dei blancos. Sui tetti di Madrid spira aria di rivoluzione, e non è da escludere qualche cambiamento eclatante da parte Zidane anche dal punto di vista del modulo: per battere il camaleontico Barcellona di Valverde sarà infatti necessario un progetto ambizioso e di ampio respiro.
Luka Jović ha dominato l’Europa League da vero e proprio protagonista. E noi ci chiediamo: quale sarà il suo impatto nella competizione più importante del sistema calcistico europeo? La sua unica presenza in Champions League risale al 2015/16, quando subentrò a Eliseu nei minuti finali di Benfica-Bayern Monaco. Rivederlo sui campi più importanti del mondo con la pesantissima camiseta blanca addosso sarebbe davvero una piacevole sorpresa.