La legge del secondo anno

Venne, vide e vinse.

José Mourinho è il Giulio Cesare del calcio moderno, se non per i molteplici successi, per la straordinaria ritmicità con cui la celebre frase del generale romano che fece collassare la Repubblica, viene applicata nella carriera del tecnico di Setubal.
Un copione che gli attori del football conoscono alla perfezione, Mou viene, il primo anno vede e aggiusta qualcosa, il secondo anno vince.
Una routine che stupisce per la sua ciclicità e la sua puntualità, dagli inizi al giorno d’oggi.

Sfatiamo subito un mito: Mourinho non vince solo nei suoi secondi anni, spesso e volentieri i successi arrivano fin da subito, come dimostrano i trionfi all’esordio con Chelsea e Inter.
Tuttavia, forse con l’unica eccezione della sua prima avventura londinese – dove c’entrò l’obiettivo al primo colpo – al secondo anno sopraggiungono grandi vittorie, trattasi di Champions o di un campionato vinto contro dei marziani.

Con questo background, la domanda – quasi scontata – che ogni appassionato si pone, è: riuscirà il portoghese ad applicare la sua personalissima “legge del secondo anno” anche con il Manchester United?
A giudicare dall’inizio di stagione, la risposta non può che essere di esito positivo.
I Red Devils viaggiano a gonfie vele con 3 vittorie in altrettante partite, con tanto di primato solitario, visti i primi passi falsi delle altre big.
Una macchina da guerra che ha generato, finora, 10 gol (miglior attacco), senza subirne nessuno, numeri che seppur su un campione di match piccolo, fanno comunque capire la potenza della compagine mancuniana.
I più critici potrebbero obiettare che le tre avversarie affrontate finora (West Ham, Swansea e Leicester), non siano proprio di prima fascia, e che nell’unica volta che i diavoli di Manchester hanno incontrato una formazione blasonata in una sfida ufficiale (il Real Madrid nella Supercoppa Europea), hanno perso.
Tutte considerazioni vere e innegabili, si, ma da non tralasciare c’è la mera realtà dei fatti, la quale ci fa notare come la distanza tra le “medio-piccole” e gli uomini di Mourinho sia diventata siderale. Tutto ciò dovrebbe impedirgli di incombere in tanti passi falsi contro quelle che sulla carta vengono considerate come formazioni dal potenziale inferiore, al contrario di quanto accaduto lo scorso anno, dove 11 dei 15 pareggi stagionali sono arrivati con club poi classificatisi poi sotto ai Diavoli Rossi.

Ricorsi storici

Le squadre di Mourinho hanno infatti avuto sempre come punto di forza quello di perdere pochissimi punti contro compagini di secondo piano, e per entrare nel club del “secondo anno”, cosa che risulterà fondamentale soprattutto quando gli impegni, con Champions e coppe nazionali, inizieranno ad accavallarsi.
Per permettere ciò, Mourinho si è già portato avanti.
Il primo passo è un ricorso storico, ovvero la difesa a 4, dogma imprescindibile, meglio ancora se con almeno un terzino di spinta, due centrali solidi come il marmo e alla corte del portoghese da almeno una stagione.
In tutte le sue formazioni sono cambiati molti giocatori offensivi ma le fondamenta sono sempre state quasi immobili.
Nel Porto per due stagioni hanno giocato sempre gli stessi 4: Paulo Ferreira, Jorge Costa, Ricardo Carvalho e Nuno Valente.
Una muraglia che nel suo secondo anno ha incassato appena 19 gol in campionato e 4 dagli ottavi di Champions in poi.
Di questi fantastici 4 un po’ “underground” se ne portò ben due al Chelsea (Ferreira e Carvalho) per istruire uno sbarbato John Terry e un Wayne Bridge ancora felicemente fidanzato e amico dello storico capitano dei Blues.
Il risultato? 37 gol subiti in 76 gare di campionato, con i due pretoriani portoghesi che facilitarono e velocizzarono nettamente il processo di assimilazione dei concetti chiave della difesa Mourinhana.
Non a caso, Mou tentò di portare Carvalho anche a Milano durante la sua seconda stagione interista ma, per le reticenze dei dirigenti nerazzurri, dovette accontentarsi di Lucio che andò a completare un quadro formato da Maicon, Samuel e Zanetti, già indottrinati nella stagione precedente e il resto è storia.
Anche a Madrid, sponda Real, la difesa a 4 è risultata fissa, con Arbeloa, Pepe, Sergio Ramos e Marcelo a sorreggere l’unica squadra guidata dal portoghese esclusivamente votata all’attacco.
Nel suo secondo Chelsea un’altra difesa filastrocca: Ivanovic, Cahill, Terry e Azpilicueta, che, dopo una stagione di apprendimento o ripasso, al secondo anno hanno chiuso le porte, parcheggiando il bus davanti al rettangolo sorretto da bianchi pali.
E come volete che abbia cominciato la difesa di quest’anno?
Ovviamente a 4, sempre gli stessi e tutti già presenti nella passata annata.
Valencia, Bailly, Jones e Blind avranno il difficile compito di emulare i loro illustri predecessori, per ora sono partiti alla grande, nonostante sia evidente, almeno all’apparenza, il gab con le difese prima illustrate.
Nonostante ciò, potenzialmente si tratta di una linea molto ben assortita, più di quanto possa sembrare.
Valencia è molto veloce e in fase offensiva può essere incisivo come pochi, visto il suo passato da ala, Bailly e Jones hanno dimostrato di avere un buon affiatamento e in area possono fare la voce grossa, mentre Blind garantisce quella duttilità che, in una stagione piena zeppa di impegni, può tornare utilissima.

(Bailly è secondo a pochi per velocità e tempismo)

Oltretutto, proprio come Jorge Costa, Terry, Zanetti e Casillas, Mou ha consegnato la fascia di capitano ad un uomo del pacchetto arretrato, Antonio Valencia, forse per quell’ideale un po’ Charrua secondo cui il capitano deve essere dietro a coordinare i suoi uomini e ad essere l’ultimo baluardo.

Bomber di razza

Altro passaggio fondamentale per giudicare la stagione che verrà, sarà vedere fino a che punto arriverà la maturazione del grande colpo di mercato di questa stagione, Romelu Lukaku.
Il belga ha iniziato alla grande, segnando 3 gol in altrettanti incontri e chiarendo subito i dubbi sugli 85 milioni di euro sborsati per accaparrarselo dall’Everton.
Il suo apporto dovrà essere fondamentale, soprattutto per una squadra come il Manchester United che basa la maggior parte delle sue trame offensive sulla velocità dei suoi imprevedibili trequartisti e sulla fisicità dell’ex Everton e di Pogba.
In particolare, dovrà riuscire a scacciare quella fama, affibbiatagli nei suoi anni Toffees, di giocatore capace di segnare soltanto gol inutili, cioè a gara già decisa, come, poi, se fare gol possa essere una colpa.

Male non si è presentato…

Al di là di queste considerazioni, il bomber ha fatto forse la scelta migliore che potesse fare.
Seppur con un’anima pragmatica e quasi difensivista, Mourinho ha sempre permesso alle sue punte di risplendere al massimo.
Didier Drogba deve allo Special One la sua consacrazione ad attaccante di fama mondiale, dopo esser stato acquistato dal Marsiglia, non giovanissimo, a 26 anni.
Al nativo di Setubal si deve anche la prima stagione sopra i 20 gol della carriera di Zlatan Ibrahimović, quella 2008/09 con la maglia dell’Inter.
È suo anche il merito di aver permesso a Cristiano Ronaldo di abbattere l’apparentemente insuperabile muro dei 40 gol in un campionato, grazie alle 40 e 46 (QUARANTASEI) reti confezionate dal fenomeno di Madeira nei primi due anni di Mourinho a Madrid.
Che poi al secondo anno non vinse nemmeno il titolo di capocannoniere perché Messi ne mise 50, ma questa è un’altra storia. O un’altra favola, vedetela un po’ come vi pare.
Con questi precedenti, non è detto che non possa anche migliorare i 25 gol del suo 2016/17, e se dovesse riuscirci lo United e il titolo potrebbero essere sempre più vicini.
Ma soprattutto potrebbe riuscire nell’impresa più titanica di tutte, tenere in panchina per una stagione intera Ibrahimovic.

Tirando le somme

La difesa e l’apporto di Lukaku, questi saranno i turning point attorno al quale gireranno le possibilità di un ennesimo trionfo di Mourinho al secondo anno.
Il resto ha poco da invidiare a qualsiasi altra formazione al mondo.
De Gea è stabilmente nell’olimpo dei migliori portieri da anni, a centrocampo la fisicità e dinamicità di Pogba e Matic ha pochi eguali e, con Herrera e Fellaini in panchina si potranno vivere i tanti impegni con tranquillità.

Matic è un acquisto fondamentale

Sulla trequarti, sebbene non sia arrivato Perisic, c’è talento, velocità, genialità e gioventù in abbondanza per scardinare anche la difesa più arcigna del mondo, lo stesso Martial, dato quasi per partente sta dimostrando di essere ancora molto utile.

A questo si aggiunge, ovviamente, José Mourinho, che in queste situazioni si esalta.
E se con lui una squadra portoghese è riuscita nell’impresa di vincere la Champions League, se il Chelsea è tornato a vincere un campionato dopo 50 anni, e l’Inter una Champions dopo 45, se di fronte a lui il Barcellona dei marziani – una delle squadre più forti della storia – è capitolata per ben 2 volte, potrebbe effettivamente darsi che sia realmente arrivata l’ora, per Antonio Conte, di perdere un titolo nazionale (cosa che da quando è diventato l’allenatore che tutti conosciamo, mai gli è capitata).
A metà maggio, o forse prima, avremo la risposta, nel frattempo ricordatevi che José Mourinho al secondo anno non sbaglia mai.

“And besides, the second time around, it has to be bigger”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.