C’è un mondo chiamato Premier League che negli ultimi anni ha cominciato a parlare sempre più italiano. Si era partiti già negli anni ’90, con l’avvento del ma targato Vialli-Zola e l’approdo, negli anni successivi, di grandi nomi del calcio tricolore ed internazionale come Marco Materazzi o Paolo Di Canio.
Oggi, nel pieno degli anni Duemila e con una fresca ferita come la Brexit – sintomo che forse gli inglesi sentono di stare meglio così come sono – la componente italiana d’Oltremanica continua ad accrescersi e a creare aspettative sempre più alte. Non si parla dei soli tecnici che stanno guidando alcune delle migliori formazioni del calcio inglese, ma anche di tutti quei calciatori che dell’Inghilterra hanno fatto un trampolino di rilancio per le proprie carriere. Romanticismo a parte, sembrano comunque essere finiti i tempi dei Vialli e degli Zola, nel senso che sono davvero poche le scommesse vincenti.
In tempi non troppo sospetti, due fra i migliori italiani in Premier League sono stati senz’altro Graziano Pellè e Fabio Borini, entrambi uomini simbolo di Southampton e Sunderland. Dell’uno ricordano ancora i gol decisivi per l’approdo in Europa, dell’altro le reti salvezza. Andando però oltre questi due nomi, cresciuti fin dagli albori lontano dall’Italia e più propensi ad adattarsi a campionati e filosofie di gioco differenti, la situazione attuale non è delle più rosee. Numericamente si parla infatti di pochissimi calciatori italiani in Premier e di molte vecchie conoscenze della nostra Serie A.
A voler parlare di passaporti italiani, troveremo profili interessanti in Simone Zaza, Angelo Ogbonna e Matteo Darmian. Si parla infatti di uomini nel giro della Nazionale maggiore partiti per l’Inghilterra a suon di milioni, per trovare nuova linfa vitale o consacrarsi definitivamente.
Allo scopo di ritrovare sé stessi sono “volati via”, ad esempio, proprio i due ex Juventus Zaza e Ogbonna.
Per l’attaccante, fuggito dall’Italia in prestito oneroso, la Premier è diventata l’opportunità di una vita. A testimoniarlo anche la scelta di una società non troppo blasonata ma comunque ambiziosa come il West Ham. Gli Hammers, vittime incolpevoli di un cambio di stadio che sembra aver gettato il malocchio sull’inizio della stagione, hanno accolto Zaza con i migliori auspici, consapevoli che il bomber di Policoro avrebbe tutte le carte in regola per realizzare gol pesanti. Per ora il piatto piange alla periferia di Londra e ne sta risentendo anche lo stesso centravanti: medie voto crollate, tanto nervosismo e ben poche occasioni create.
E se Atene piange, Sparta non ride. A pensare poi che Atene e Sparta giocano pure nella medesima squadra, viene quasi da sorridere. Eh già, perché il problema che è di Zaza affligge quest’anno anche Ogbonna. Il 28enne difensore italiano, alla sua seconda stagione con la maglia del West Ham, ha dalla sua l’annata trionfale dell’anno scorso, stagione che ha significato per gli Hammers il ritorno in Europa League e per lo stesso ragazzo la garanzia di essere ancora un difensore affidabile dopo troppi anni di fantasmi e paure.
Ma se difendere e lottare è prerogativa della Premier League, caratteristica che ne fa uno dei campionati più seguiti al mondo, un difensore ne trae giovamento, tant’è vero che pur nelle difficoltà Ogbonna continua ad essere un punto fermo del made in Italy esportato in Premier League. A voler fare un parallelo, per Zaza la situazione risulta invece diametralmente opposta: saranno le gioie che regalerà ai tifosi degli Hammers a fare di lui lo striker preferito di Bilic. Ma serviranno gol per contrastare la concorrenza: una concorrenza chiamata Andy Carroll. Detto in altro modo: Zaza può senz’altro fare di più.
E se vita facile non la sta avendo l’attaccante che lo scorso anno indicò alla Juventus la direzione giusta per trovare il suo quinto scudetto consecutivo, un altro uomo d’area di rigore che sa bene di doversi conquistare il massimo campionato d’oltremanica, offrendo un discreto cinismo sotto porta, è Stefano Okaka. Lo avevamo lasciato in Belgio tra le fila biancomalva dell’Anderlecht e lo abbiamo ritrovato alla corte di Walter Mazzarri. Non è un dato casuale: il Watford parla italiano più di tutti in Inghilterra, addirittura più del sopracitato West Ham. Basta pensare alla presenza in squadra di vecchie conoscenze della Serie A, tutte dal passaporto straniero, come Britos o Pereyra, Ighalo o Holebas, Zuniga o Behrami.
Okaka, al secolo l’unico italiano nella società della famiglia Pozzo, dovrà inevitabilmente farsi spazio a spallate tra le punte a disposizione di Mazzarri, e sino ad ora non gli è andata troppo bene. Per uno che due anni fa aveva raggiunto la Nazionale e sperato nella convocazione al Mondiale brasiliano, ritrovarsi con soli 12 minuti giocati in otto partite, non deve essere dato confortante. Anche qui, e Mazzarri potrebbe averlo già capito, potrebbe essere necessario tutelare il calciatore, introdurlo gradualmente e farne un toro da gettare nella mischia e nella bufera della Premier League, dove i suoi gol potrebbero aiutare non poco la causa degli Hornets.
E se di Okaka poteva sembrare che ci fossimo dimenticati, non lo abbiamo certo tralasciato Matteo Darmian. Per il terzino ex Torino, arrivato al Manchester United l’estate scorsa per precisa richiesta di Van Gaal, si è trovato quest’anno relegato in panchina alle spalle di Josè Mourinho. La concorrenza nella retroguardia dei Red Devils è spietata e il mercato estivo aveva dato già qualche indicazione sulla possibilità di uno scarso impiego per l’esterno destro italiano. Colpa di una mentalità troppo schematica per adattarsi alla fisicità e all’eleganza disadorna della Premier League? Un problema, per gli italiani Premier League, sussiste ed è evidente. Non sarà la Brexit e non sarà il clima, ma il diverso approccio con le partite e la predilezione per un calcio difensivo fatto di pressing, densità e marcature a uomo, crea non pochi problemi a chi viene dalla Serie A.
Aumentare la componente italiana non può che far ben sperare per un ritorno a grandi livelli del parco giocatori nostrano anche in campionati stranieri. La strada è però ancora lunga per ritornare al tanto sbandierato “Italians do it better“.