Euskadi Ta Askatasuna, letteralmente Paesi Baschi e Libertà. Abbiamo associato queste parole alla sigla ETA, gruppo armato che ha terrorizzato la Penisola Iberica, e non solo, per oltre mezzo secolo. Chi, come il nostro Invisibile Javi Martinez, è nato in Navarra, precisamente ad Ayegui, ha per forza di cose vissuto l’epoca più cruenta dell’ETA.
Ongi etorri, Javi
E’il settembre 1988, quando la signora Fortuna Martinez Aginaga mette al mondo il terzogenito Javi. Nel frattempo, il braccio armato indipendentista sta facendo capire qual è il suo obiettivo principale. L’accordo di tregua fra i militanti e il governo è sfumato del tutto, ragion per cui la Polizia sta tollerando ancor meno ogni forma di manifestazione secessionista. Che si tratti di divise blu o Guardia Civil, ai terroristi poco importa, persino nelle periferie risuona forte l’esplosione delle autobombe contro caserme e commissariati. Ma sin dall’infanzia, Javi Martinez si dimostra un basco atipico, non è un emotivo, bensì un personaggio caratterialmente equilibrato. Lucido programmatore, si allontana dalle proteste rivoltose che avvolgono nella comunità di Estella, focalizzandosi sul calcio.

Atipico
Javi Martinez racchiude in sé la massima espressione del concetto buddhista del Samatha. Tale pratica meditativa consiste nella coltivazione della calma per mezzo della concentrazione mentale, allontanando così le varie forme di caos. Da questa necessità la scelta zen di iniziare lontano di casa, nel Deportivo Berceo, regione della Rioja, tranquilla zona cantabrica nota per il buon vino. La riluttanza di Javi Martinez all’imprevedibile sarà una condizione fondamentale nel corso della sua carriera, si riflette soprattutto nelle scelte professionali e nello stile di gioco del centrocampista. Anche quando torna in terra natia, preferisce calcare i campi dell’Arenas, società di un comune basco da 2.000 anime che l’ha però proiettato nel mondo del fùtbol. Il fatto che Javi Martinez avverta diversamente il fervore politico locale, non intacca il proprio sentimento d’autodeterminazione. Difatti, entra già dalle giovanili dell’Izarra a far parte delle selezioni minori basche.

Il Kaiser di Ayegui
Spesso sentiamo parlare di leader silenziosi, giocatori che riescono a guidare il gruppo lasciando parlare più i gesti che la bocca, ed è il caso di Martinez. E’un saggio condottiero, anche tecnicamente, perfetto nella centralità con cui si schiera davanti alla difesa. Tempo fa, era diffuso dalle nostre parti il termine centromediano metodista, figura retrò nel calcio italiano inaugurata da Liedholm e Donadoni, che svolgeva il compito di regista arretrato, ispirandosi al modo in cui Franz Beckenbauer impostava l’azione dalla retroguardia. Non a caso, dopo il trasferimento in Germania, Javi Martinez verrà soprannominato “Il Kaiser di Ayegui”. Le doti tattiche e ambientali, per quanto concerne lo spogliatoio, di Javi, convincono l’Osasuna a tesserarlo e farne il capitano della seconda squadra. Eppure, quando l’adolescente futbolista pare avvicinarsi al traguardo, quel disordine tanto da lui temuto assume proporzioni inimmaginabili. Restando neutrale rispetto ai due conflitti mondiali, la Spagna non aveva mai subito ingenti perdite umane sul proprio territorio, la stessa ETA aveva spesso puntato su edifici governativi o alcune figure dello Stato, lasciando incolume la popolazione civile e colpendo prevalentemente il clima sociale. Fino all’11 marzo 2004, quando gli attentati dinamitardi alla stazione Atocha di Madrid mieterono 192 vittime. Seppur tutt’oggi l’indagine sia controversa, i media ricondussero la strage al terrorismo basco, così da inclinare l’ago dell’opinione pubblica verso una sorta di razzismo generale nei confronti di tutto il ceppo etnico.
Per un giovane emergente navarro la scalata si sarebbe inevitabilmente complicata, per sua fortuna Javi Martìnez ebbe l’opportunità di incontrare, al momento giusto, l’allenatore che l’ha plasmato a livello sportivo e mentale: Josè Angel Ziganda Lakunza, detto Kuko. Lo scorso campionato sulla panchina bilbaìna, Ziganda è stato il principale promotore di Javi Martinez, al punto da farlo diventare il più giovane calciatore della Segunda Divisiòn a soli 16 anni. Gli basta una sola stagione in maglia rojillos, e la garanzia di Ziganda, che da quelle parti non vale poco, per attirare l’attenzione dell’Athletic Bilbao.

Già grande fra i grandi
E’impressionante come i suoi piedi parlino una lingua diversa rispetto alla carta d’identità. Perché se debutti in Liga neanche maggiorenne, con la squadra simbolo dei Paesi Baschi, nella partita più sentita del Nord della Spagna, ossia il derby Athletic-Real Sociedad, vuol dire che la pressione non ti ha mai intaccato. La svolta principale nella maturazione di Javi Martinez è graduale, se al recupero di palloni e il posizionamento difensivo ha aggiunto una notevole gestione della sfera. Pian piano si afferma anche in quanto minaccia aerea. Svetta di testa ovunque, tant’è che toccherà i 6 gol nel torneo 2009-10. Sarà proprio un sigillo, segnato all’Almeria, a inserirlo eternamente nella Hall of Fame dei Leones, il triciclo. Una serie di dribbling ubriacanti che, mediaticamente, l’hanno innalzato a maggior talento del calcio iberico. E’ in corrispondenza della prodezza che entra a far parte del giro delle Furie Rosse.

La concorrenza è lauta, ma Del Bosque sa che potrebbe aver bisogno di un cardine arretrato nel suo mosaico di palleggiatori, quindi Javi Martinez partirà per la spedizione sudafricana. Malgrado abbia giocato un solo incontro mondiale, l’impatto personale di quell’impensabile trionfo fu grandioso.

Paradossalmente, è stato il decisivo gol di Puyol in semifinale alla Germania il ricordo più bello per Javi Martinez. Non a caso, al suo ritorno, ha inaugurato a Pamplona il ristorante “Durban”, luogo dove la selezione iberica staccò il pass verso la finalissima. Nel pieno della sua carriera, è già fra i migliori mediani in circolazione nonché l’unico perno imprescindibile per l’Athletic. I top club europei stanno cominciando a bussare al palazzo di Ibaigane, sede della società. Lo stesso presidente Fernando Garcìa Macua fissa una clausola da 40 milioni sul cartellino di Martinez per trattenerlo, ma il motivo per cui ritarderà il suo addio al San Mamès non saranno di certo le cifre. Dopo aver vinto, ritagliandosi più spazio, Euro 2012, il destino di Javi Martinez sembrava allontanarsi dalla Biscaglia. Un uomo in particolare non era d’accordo, uno di quelli che non vanno contraddetti. Il purosangue rosarino Marcelo Bielsa era giunto in città, con le sue ripetute e tutti gli stravolgimenti del caso. Il Loco costruì forse il miglior Atheltic Bilbao del Terzo Millennio: linea difensiva a tre con Javi al centro, per equilibrare il formidabile reparto offensivo, dove il bello e il cattivo tempo lo facevano Ander Herrera e l’amico Fernando Llorente. Sfiorarono le stelle, secondi sia in Europa League sia in Copa del Rey, e un ventaglio di plusvalenze senza eguali. Al termine del doppio, parziale successo, andarono via tutti, e la destinazione di Martinez fu Monaco di Baviera.

Mia san Mia
Il Bayern ha marchiato indissolubilmente Javi Martinez, giocatore sintesi dell’efficiente regolarità tedesca collegata alla spavalda tecnica latina, entrambe correnti che preferiscono aggirare la rapidità di gambe. I bavaresi vedono in lui il degno erede del tramontante Bastian Schweinsteger, cinematografica la prima volta in Bundesliga del centrale spagnolo che sostituisce proprio il 31. Basti ha tutorato il nuovo arrivato fino al triplete, dandogli i tempi di gioco giusti per dominare la metà campo monacense nei periodi a venire.

L’asso pigliatutto dei titoli di Javi Martinez ha aperto un ciclo in cui non è mai stato messo in discussione, persino Guardiola ha incentrato sulla sua predisposizione ai fraseggi rasoterra per germanizzare il Tiki Taka, affiancando l’intelligenza di Javi alla distratta fisicità di Jerome Boateng. I legamenti l’hanno talvolta condizionato, influenzando abbastanza i macchinosi movimenti di Javi Martinez. Di recente, predilige l’anticipo al tackle in scivolata che è stato, agli albori, un suo cavallo di battaglia. Sostanzialmente, si è guadagnato al Bayern Monaco il posto nella lista dei nostri Invisibili, data l’evoluzione da prolifico volante a riflessivo cardine, necessario in quelle partite dove bisogna quasi giocare a scacchi, attendendo l’errore avversario per poi colpire al momento giusto. La maturazione di Javi Martinez ha allettato la Serie A intera, da Milano a Napoli tutti hanno provato a portarlo via, per assicurarsi un metronomo nella propria rosa. Ultimamente Ancelotti l’ha cercato, difatti Javi Martinez è stato uno dei pochi fedeli al mister durante la sua travagliata esperienza all’Allianz Arena. Da quando indossa la numero 8 roten, ha sempre alzato il Meisterschale. Superata la trentina, dopo il fallimentare mondiale brasiliano, le strade di Javi e la Nazionale appaiono divise. C’è ancora da dare al Bayern Monaco, le assenze prolungate di Neuer gli hanno consentito frequentemente di portare la fascia al braccio.

Ed è cosi che ha iniziato la stagione attuale, segnando in Champions League ad Atene, per poi tornare al suo posto, nel cuore della gara. Antoine de Saint-Exupèry, autore de “Il Piccolo Principe”, diceva che l’essenziale è invisibile agli occhi, nulla di più rappresentativo per l’Invisibile: Javi Martinez.