Giaccherini ha incarnato perfettamente il ruolo di giocatore-operaio in tutte le squadre in cui ha militato, sin dalle giovanili: la sua altezza e il corpo minuto lo hanno penalizzato fortemente agli occhi di persone terze, ma il suo spirito di sacrificio era la luce che copriva le ombre esterne. In questi casi, soprattutto in età adolescenziale, la vera forza è la famiglia che ti stimola a dare il massimo, ad essere anche superiore a chi ti denigra. Come se non bastassero tutti questi problemi, in uno scontro di gioco Giaccherini perde la milza e il rischio di non tornare più a giocare è forte, ma la determinazione ancora di più.
Avevo quasi mollato, non vedevo una via d’uscita. Ma ho voluto provarci fino in fondo per non deludere quelli che hanno sempre creduto in me. Un’amichevole estiva, con Bisoli in panchina, mi ha cambiato la vita.
La personalità è semplice e ha ancora quell’animo rurale che caratterizza la sua città natale, Talla, in provincia di Arezzo. Poco più di 1000 abitanti, un posto fuori dalla baraonda cittadina immerso nei valori tradizionali della famiglia e del duro lavoro. È questo il segreto dell’ex pupillo di Antonio Conte, colui che ha visto e lavorato sulle sue potenzialità in maniera rigida, da veri lavoratori in fabbrica.
Giaccherinho
La carriera di Giaccherini è sempre stata una montagna russa con tanti alti e altrettanti bassi, momenti in cui era il fulcro della squadra e altri in cui non si sapeva che fine avesse fatto. Perché arrivare dalla provincia, finire alla Juventus e titolare nella Nazionale arrivata seconda ad Euro 2012 non è una cosa che accade tutti i giorni. Un ragazzo dal corpo minuto di solo 167 cm, ma con la forza fisica e uno spirito di sacrificio da far invidia a tanti giocatori, oltre ad una buona qualità tecnica.
Giaccherini è l’esempio di come un giocatore che ha fatto la provincia può meritarsi la Juventus, e lo ha dimostrato stasera. Se si chiamasse Giaccherinho sarebbe molto più considerato.
E quando un allenatore come Antonio Conte, maniaco perfezionista, spende parole così qualcosa vorrà dire. La Juventus della rinascita aveva basato il proprio progetto su una squadra “operaia”, una macchina da guerra inarrestabile. Pane per i denti di Giaccherini, che pur non essendo titolare, era parte integrante di quel gruppo. La vita in provincia gli ha insegnato a farsi trovare sempre pronto nel momento del bisogno e accumulare, in quei frangenti decisivi, punti di rispetto sul proprio conto. Dimostrare di non spaventarsi per l’essere piccolo tra i grandi, contro tutti i pronostici del caso.
Essere calciatori professionisti è più di un privilegio e sicuramente molto meglio di una vita in fabbrica a spaccarsi la schiena. Quindi, impossibile lamentarsi. È sempre stato amato dalle tifoserie proprio per queste sue caratteristiche peculiari: generoso in campo, rispettoso fuori e, spesso, risolutore di gare determinanti. Soprattutto, ha legato tutti intorno a sé per essere un giocatore molto vicino al popolo tifoso. La sua figura è sempre stata lontana da quella del campione intoccabile, anzi, era ed è l’immedesimazione perfetta per la maggior parte dei suoi tifosi. Umiltà e testa sulla propria passione, il suo lavoro. Ora, dopo aver vagabondato in giro per l’Europa (Sunderland, Bologna, Napoli), sembra aver trovato la propria dimensione nel Chievo Verona, dove il concetto di invisibile calza appieno nelle sue corde e nella realtà calcistica in questione.
La nuova vita di Giaccherini
L’arrivo di Giaccherini in maglia clivense avviene nella scorsa sessione invernale, dopo l’esperienza partenopea senza successo, per cercare di rimettere in sesto una squadra in piena crisi e ritrovare la continuità che con Sarri è completamente mancata. Il Chievo è la piazza giusta per il ragazzo originario di Talla, dove la sua creatività e le importanti presenze in realtà ben più consolidate, gli hanno permesso di esprimersi al massimo. Non fraintendiamo il reale valore di Giaccherini, perché ha dimostrato senza problemi di sapersi fare spazio tra giocatori di grosso calibro e spesso conquistandosi un posto da titolare fisso. Qui a Verona, però, ha trovato l’equilibrio perfetto per essere un leader in campo con i suoi gesti tecnici e anche per trasformarsi nel traghettatore alla tanto agognata salvezza. Il girone di ritorno dell’ultima stagione è stata un’impegnativa scalata verso un obiettivo imprescindibile, culminata con il tredicesimo posto finale e il riscatto a fine stagione. Le sue reti contro Cagliari, Sassuolo e Bologna, quest’ultimo decisivo, sono state di vitale importanza per salvare il Chievo, ma oltre i semplici numeri il suo apporto era il tassello tecnico e tattico che mancava per riaccendere le speranze.
Aggiungere un giocatore ibrido come Giaccherini, in grado di aumentare la qualità della manovra offensiva, è stato fondamentale. Dopo la salvezza, la sintonia tra Giaccherini e tutto l’ambiente si è consolidata maggiormente e lo stesso ha giurato fedeltà alla maglia promettendo di rimanere anche in caso di retrocessione. Un segno importante di maturità e voglia di concludere la carriera lasciando un ricordo ben più importante di quello sul campo. Dall’estate si sono già succeduti tre allenatori, cioè D’Anna, il “demonio” di Ventura, durato solo quattro giornate, e ora, dal 13 novembre scorso, in panchina siede Mimmo Di Carlo. Emanuele è preparato sotto l’aspetto mentale ad affrontare stravolgimenti continui e, riscattandolo, la società gli ha mostrato fiducia e chiesto implicitamente di trasmettere questa sua mentalità ai propri compagni.
Il passato che ritorna
Per un piccolo capriccio del caso, la prima partita in campionato il Chievo la gioca proprio contro la Juventus. Contro i campioni in carica i Clivensi non riescono a spuntarla, ma la prestazione lascia presagire ben altro per una squadra ora ultima in classifica. Ah, indovinate chi è l’autore del 2-1 del momentaneo vantaggio gialloblù? La prestazione fantastica del Giak ha fatto riaffiorare proprio il passato bianconero, con cui si è lasciato benissimo, come dimostrato dalla mancata esultanza al goal. Ma cosa ci ha voluto dire giocando da protagonista e sfiorando l’impresa? La sua carriera lo ha quasi sempre posto in un ruolo di gregario, un sostituto nel momento del bisogno, ma le varie esperienze con maglie diverse lo hanno fatto crescere non solo sotto l’aspetto della leadership. Allenarsi, osservare e giocare con rose di vario tipo ti permette di affrontare situazione differenti tra loro. Perciò, in quel 18 agosto 2018, la vera essenza di Giaccherini è venuta fuori: un ragazzo che ha sempre creduto nei propri mezzi, non si è mai creato barriere mentali di alcun tipo e ha colto i frutti del duro lavoro con due scudetti, una Supercoppa Italiana e il secondo posto con la Nazionale ad Euro 2012. Mario Sconcerti, in occasione della semifinale di Euro 2016 tra Francia e Germania, aveva definito Griezmann un Giaccherini con più qualità. Inutile dire quanto sia stato azzardato un paragone del genere, ma lascia intendere quanta visibilità aveva conquistato Giaccherini con le sue scorribande sull’esterno del campo. Prandelli non lo convocò per i Mondiali del 2014, mentre Conte lo volle fortemente per i successivi Europei e divenne centrale nel suo comparto tattico. Un amore che si rinnovava dopo gli anni felici alla Juventus. C’è una certa ciclicità in tutta la sua storia che arriva fino a questa stagione.
Mai smettere di crederci
Ora il Chievo, da noi indicata più volte come candidata alla retrocessione, stagna all’ultimo posto in classifica e la prima e unica vittoria in campionato è arrivata contro il Frosinone lo scorso 29 dicembre con un goal su punizione del nostro protagonista. Un destro a giro meraviglioso, un goal liberatorio che sembrava non arrivare mai. Il colpo da 3 punti che d’un tratto ha riacceso le deboli fiammelle speranze di salvezza, dopo un periodo nero. Prima di questo, Giaccherini era stato l’autore di un autogol clamoroso contro il Sassuolo in casa, lo scorso 4 novembre. Un momento che aveva sancito la distruzione di una squadra in crisi, senza una identità ben precisa e senza forze mentali. Era inverosimile, nessuno ci voleva credere. Il salvatore che si trasformava in kamikaze. Nonostante ciò, sarebbe da incoerenti trasformarsi nei detrattori di un ragazzo che ha inciso, e non poco, alla salvezza nella scorsa stagione. Giaccherini è abituato alle sfide impossibili e, per darsi la forza e lo stimolo giusto, non dimentica mai le proprie radici e i sacrifici fatti per arrivare dov’è ora. Gli infiniti viaggi con la Panda per allenarsi al Bibbiena, contro tutto e tutti. No, non si può buttare tutto all’aria per un misero autogol. C’è ancora da portare a termine un’altra impresa, l’ennesima della carriera di Giaccherini.
Una coincidenza vuole che il Giak sia nato vicino al luogo da cui è venuto fuori Roberto Benigni, un personaggio che pur essendo criticato durante la sua carriera cinematografica e letteraria, si è conquistato un posto d’onore nel settore. Entrambi hanno dovuto lottare arduamente per farsi conoscere, per dimostrare di potersi sedere accanto ai più grandi. Si potrebbe trovare un punto comune che riassume perfettamente l’intenzione di questo pezzo: quando La vita è bella vinse l’Oscar nel 1999 come Miglior Film Straniero, Benigni esultò saltando sulle poltrone avanti a lui senza freni, come sulle scale per arrivare sul palco. Il piccolo tra i grandi aveva messo tutti a tacere, aveva trionfato davanti a tutto il mondo. Adesso, immaginate la stessa scena ma con Giaccherini al suo posto e lo vedrete lì, su quelle scale, salire più su dei suoi detrattori e di chi lo ha sempre messo da parte.