Cominciamo con un aneddoto. Siamo nel 1519, e l’avventuriero Hernàn Cortés è appena sbarcato nelle coste del Messico centrale, poco più a nord dello Yucatan. Incontra una civiltà raffinata, complessa, dotata di città, capitali, eserciti, arte, letteratura. Era l’Impero Azteco, plurisecolare e glorioso. Il punto è che Cortés si rende subito conto di una faccenda strana: gli Aztechi non conoscono la ruota.
Hanno la migliore scuola d’oreficeria al mondo, lavorano le pietre preziose, costruiscono piramidi per farci truculenti sacrifici umani. Ma per trasportare l’oro dalle miniere a Tenochtitlàn devono usare il traino degli uomini. Un vezzo, questo, che si è tramandato nei secoli, radicandosi nel dna meticcio della futura popolazione messicana. Gente che, quasi per ripicca, se deve venirti a trovare prende la strada panoramica, dimenticandosi pure di fare il pieno. Gente come Andrés Guardado, che passerà alla storia come uno dei fantasisti più invisibili della storia del calcio moderno.
Biografia minima
Andrés Guardado prenderà parte al mondiale di Russia, dove il Messico s’è qualificato senza troppe fatiche e punta a fare ciò che storicamente gli riesce meglio: la mina vagante.
Il bello è che arriva al mondiale come secondo miglior marcatore all’attivo della storia del Messico (24). Il suo pallottoliere è cresciuto con costanza, fermandosi solo alle spalle di un altro invisibile, el Chicarito Hernandez (46). Anzi, a guardare la lista dei ventitré convocati dalla selezione messicana, pare di trovarsi davanti a un equipo invisibile. Ci sono nomi che evocano perlomeno un sorriso – come quando ci si ricorda di un lontano parente – o una vena di amarezza – come una scommessa su cui avevamo creduto. Leggere per credere: Carlos Vela, Giovani Dos Santos, Guillermo Ochoa, Hector Moreno.
Guardado e la ruota
Il Messico ha una nazionale che rispecchia in tutto e per tutto la sua cultura nazionale. Una cultura capace di costruire piramidi senza l’uso della ruota. Una cultura capace di generare un numero dieci incredibilmente sottovalutato, che all’alba dei 32 anni può prendersi – forse – il suo ultimo palcoscenico internazionale.
Si sa, ai mondiali ci sono riflettori un po’ ovunque e può essere che qualcuno, effettivamente, si accorga delle qualità straordinarie di questo giocatore. Un numero 10 vero e proprio, che si è abituato a pensare da gregario; un giramondo separato tra la Spagna e l’Olanda, i vecchi possedimenti di Carlo V, il sovrano sotto il cui regno si realizzò la gigantesca colonizzazione dell’America Latina. Pochi trofei in bacheca, tantissimi colpi di classe disseminati, come gemme, nelle compilation su YouTube.
La maledizione del diez
Molte volte vien da pensare che un talento non riesca a realizzarsi a causa di problemi fisici. O per scarsa attitudine al lavoro quotidiano. O per entrambe le cose contemporaneamente. Ma non è il caso di Guardado. Andrés è un professionista esemplare, che si è fatto amare da tutte le tifoserie per cui ha giocato: chiedere al Betis, fresco di un sesto posto in Liga, o al PSV di Eindhoven, dove ha vinto un paio di campionati storici nel 2015/16 e nel 2016/17.
E allora perché Guardado, che ha dei colpi da fuoriclasse, non brilla? Perché il giocatore più talentuoso del Messico non ha la giusta dose di riconoscenza nel palcoscenico internazionale?
Noi crediamo che sia soprattutto una questione di estetica. Guardado è un diez, un vero diez latino, ma non è nato in Argentina o in Uruguay. Lui è nato nel paese che non conosceva la ruota, e nondimeno fabbricava le piramidi. Per questo, il suo talento è racchiuso in un corpo sottile e tozzo, che a guardarlo non conserva nulla del campione sudamericano che noi, nella nostra testa, immaginiamo.
Ekphrasis latina
Prendete una sua qualsiasi performance, e capirete subito di cosa stiamo parlando. Guardado è un talento puro, ma le sue magie si compiono senza alcuna grazia particolare. I suoi assist migliori, forniti nella scorsa stagione alla prima punta di turno, sono dei tagli magnifici di trenta metri, precisi e forti, di quelli che ti vien voglia di far gol solo a guardarli. Sono gli stessi tagli di Toni Kroos, che è il migliore del mondo in questo fondamentale e non a caso gioca nella squadra più forte d’Europa.
Il talento di Guardado viene come offuscato dal suo stile di gioco. Basti guardare i passetti che fa dopo un assist decisivo, che lo fanno sembrare un soldatino; o quel modo di calciare le punizioni così old-fashioned, fuori moda, come non se ne vedono più: senza guardare la valvola, senza posizioni complesse del piede, con un passo di ricorsa e la gamba dura, monolitica, per nulla fluida. Come se il pallone fosse ancora di cuoio, e il piede diviso tra piatto pieno e collo pieno.
A vederlo da distante, Guardado non sembra un giocatore eccezionale. Ma in realtà fa girare tutte le squadre in cui gioca a una velocità tecnica impressionante. Come nel mondiale del 2014, quando il Messico si presentò con un 5-3-2 dichiaratamente contropiedista, e lui faceva, tecnicamente, la mezzala. Guardado, nelle quattro – meravigliose – partite disputate dal Messico in Brasile è stato il cervello della sua nazionale. Ma anche lì venne offuscato da un altro signore del calcio: un certo Rafa Marquez, ex Barcellona, che era riemerso dal campionato messicano per guidare la nazionale (e poi finire all’Hellas Verona, protagonista di un paio di stagioni altalenanti).
Incisività invisibile
Insomma, un mix di coincidenze sventurate ed estetica. Essere il centro di una squadra, ma non necessariamente sotto i riflettori; e soprattutto avere la sfortuna di essere un giocatore poco aggraziato nell’epoca dell’orpello, dei fisici perfetti, delle sinuosità dei calciatori del nostro tempo.
Guardado ha dei colpi eccezionali, ed è contraddittorio come l’anima profunda del suo Messico. Nel Betis dello scorso anno si è preso delle pause inspiegabili, che duravano anche intere frazioni di gioco. Ma quando si accendeva era capace di mettere in ginocchio tutti i dispositivi difensivi della Liga. Chiedere al Real Madrid, che quest’anno è caduto proprio per 1-0 (assist di Guardado), o al Barcellona, che ha rimediato un 2-2 in cui Guardado sembrava il doppio di Messi, uscito direttamente dai peggiori incubi della pulce, per farlo sfigurare.
La verità è che Guardado è sempre stato decisivo, in tutte le sue squadre, ma raramente gli è stato dato tutto il credito che meritava. Come quando a Valencia, nella sua seconda stagione da professionista, lo fecero giocare da terzino dopo l’infortunio di Mathieu; o come quando, senza troppi complimenti, il PSV lo ha scaricato regalandolo al Betis, e condannando all’esilio l’invisibile artefice della vittoria nella lega olandese.
Luce rifratta
Il mondiale è ormai alle porte, e ci sono così tante stelle del football che ben presto la Russia si trasformerà in una galassia. Ma il bello del mondiale è che rimane una competizione altamente aleatoria, in cui molto spesso fanno la differenza i numeri dieci: non tanto con il talento in sé, ma con la capacità di sfruttarlo al momento giusto, cogliendo anche l’unica occasione che capita nei 90 minuti.
Guardado è l’arma in più di un Messico agguerrito, che affronterà tre avversari difficili nel girone F. Se non altro, possiamo sperare che Andrés ci regali una delle sue perle su punizione, magari contro la Svezia, così, senza rancore.
Mentre le nazionali maggiori coccolano i loro gioielli nazionali, il Messico tiene ben nascosto il suo cervello pensante. Guardado ha tutta l’intenzione di ritagliarsi un ruolo da protagonista in quello che potrebbe essere il suo ultimo grande appuntamento con il calcio mondiale.
E noi, di conseguenza, guarderemo il torneo russo con un’occhio da esteti. E cercheremo nel numero 18 della selezione messicana quel vecchio stile che sa di civiltà antiche, con le piramidi e senza le ruote, capaci di intuizioni geniali e poche sottigliezze eleganti. E quando Guardado ci illuminerà con il suo timbro, l’assist di trenta metri raso-terra, noi capiremo che quel giocatore, proprio quel piccolo folletto che quando calcia fa tre passettini come se stesse per perdere l’equilibrio, brilla di luce rifratta. La luce della Luna, la luce di chi non si vede sempre.
La luce degli invisibili.