Era l’8 ottobre del 2016 quando Arkadiusz Milik va in contrasto con il difensore danese Vestergaard. Da quello scontro massiccio il polacco ne esce malconcio. Urla, i medici entrano in campo, l’attaccante si rialza e gioca. Lasciatemi giocare. Avrà detto questo. Come hanno detto molti lottatori di questo Sport, accusato (giustamente) di essersi infighettato, come ha detto Fernando Gago – dejame jugar – lo scorso 5 ottobre nel match contro il Perù, raccontato dal nostro Federico Sessolo con l’allegorico realismo magico di Borges e Marquez. Il primo tempo termina, dagli spogliatoi Milik non rientra: rottura dei legamenti crociati del ginocchio sinistro.
Ouroboros
Era il 14 ottobre 2016 e, partendo da questo infortunio, firmavo per la prima volta un pezzo per numerosette. Provavo, così, a immaginare il risvolto nei tatticismi napoletani di Sarri. Con quel melting pot che contraddistingue la letteratura del nostro magazine e che cercava di toccare più corde, dal serio al serioso, dal folk al trash. Concludendo con quella che è una massima della cultura napoletana, un’espressione intima dell’essere partenopei, in cui il quotidiano si tramuta in genio e si offre all’arte.
Il Napoli si arrangerà come può.
E quel Napoli si è arrangiato alla grande. Non c’è bisogno neanche di scriverlo. Perché la sensazione è che si sia migliorato, evoluto, declinando l’estetica al puro movimento. È nato Mertens prima punta, e il Sarrismo ha toccato apici inimmaginabili di pura bellezza, azioni accompagnate da quel coro che tutti sanno a memoria e che fa:
Un giorno all’improvviso
mi innamorai di te
il cuore mi batteva
non chiedermi il perché.
Di tempo ne è passato
ma sono ancora qua
e oggi come allora
difendo la Città.
In questi pochi versi c’è tutto, veramente tutto. E quel primo verso diventerà il titolo dell’ultimo singolo di Clementino. La Iena vive Napoli e la napoletanità, anche tramite il calcio, custodendone gelosamente e fieramente la tradizione, ridipingendola in chiave personale, come solo gli artisti più emblematici di Napoli sono riusciti a interpretare, e quindi a essere eletti per sempre simboli, senza addentrarsi in inutili e forvianti paragoni, perché l’Arte non si paragona mai.
Il suo sguardo, quindi, non può che essere perduto, innamorato, e il testo è così semplice che non potrebbe essere differente. A Napoli, per i vicoli, c’è un sentimento che non s’avvertiva da troppo tempo.
In quell’articolo, altrettanto semplice era la mia teoria ed era tutta condensata nel titolo: Sarri al bivio, Manolo al varco (o al gabbio).
Il gioco di parole con Manolo Gabbiadini è evidente, e univoco. Sarri al bivio, invece, aveva un valore duplice e inquadrava due situazioni differenti che provavo a inserire all’interno dello stesso discorso, rendendole complementari.
L’ipotesi, infatti, che avevo avanzato prevedeva l’interpretazione del 4-3-3 con due giocatori, diversi per caratteristiche, che avrebbero sostituito il polacco fino al 20 gennaio, giorno che avevo previsto per il possibile rientro in seguito alla diagnosi del professor Mariani, cosa che realmente avverrà il 15 febbraio nell’andata degli Ottavi di Finale di Champions League, negli ultimi 4 minuti al Santiago Bernabéu, con i Blancos vittoriosi per 3-1 dopo il geniale gol di Insigne.
I due giocatori deputati a sostituire Milik erano Gabbiadini, ovviamente, e Mertens.
Ecco, l’ipotesi del belga in quel ruolo non prevedeva doti di chiaroveggenza allucinogena, ma era caldeggiata dagli addetti ai lavori vicino all’ambiente Napoli e, a ben guardare, Mertens aveva già interpretato quella posizione in alcune partite nell’Euorpa League 2015/2016 e durante le amichevoli estive della stagione 2016/2017 nella soglia temporale che seguiva la cessione di Gonzalo Higuaín alla Juventus e precedeva l’arrivo di Milik al Napoli.
Ma non era neanche impossibile immaginarlo per altri due fattori:
- le parole sempre schiette di Sarri, che non mostravano stima nei confronti del giocatore Gabbiadini che veniva incontro all’azione, mentre ne apprezzavano più chiaramente l’abilità di allungare gli avversari;
- il fatto che, uno come Gabbiadini, a quel punto diventava una risorsa più preziosa subentrando dalla panchina che partendo dall’inizio. Su questo punto ci ritorneremo presto tra qualche riga, e successivamente nella seconda parte di questo articolo.
L’idea, tuttavia, di schierare Mertens fin da subito titolare in quel ruolo (in realtà ci volle un mese e almeno 5 partite per renderlo tale) non era scontata. Immaginare il crack che gli avrebbe poi consentito di essere inserito nei primi 30 per il Pallone d’Oro, era a dir poco futuristico.
A Gabbiadini, invece, capitò la sorte peggiore che avevo pronosticato. Un’unica pallottola, quella contro la Roma. Anche qui, poi, il campo disse che gli venne concessa qualche chance in più, rovinata dall’espulsione contro il Crotone dopo mezz’ora che lo estromesse quasi definitivamente dal discorso iniziale.
Il primo snodo sta tutto qua. Gabbiadini floppa e Mertens esplode; il bergamasco diventerà decisivo a gara in corso (saluterà Napoli con 2 gol pesanti, da subentrato) e il belga sarà semplicemente imprescindibile: a gennaio Gabbiadini vola in Inghilterra al Southampton ritrovando gol, riscatto e Nazionale, mentre a Napoli arriva Pavoletti. Qui, scivoliamo presto al secondo snodo. L’ex Genoa è un pesce fuor d’acqua, non si integra mai nel sistema Sarri, risultando ben peggiore di Gabbiadini, e quando rientra Milik sparisce, mentre il polacco si accontenta degli spezzoni di partita.
È nato uno dei tridenti più spettacolari ed efficienti al mondo: Insigne, Mertens, Callejon.
La stagione 2017/2018 a Napoli si apre, quindi, con una certezza.
Tripla.
E verticale
Ceduto Pavoletti, l’apporto di Arek nel mese di agosto e settembre non è stato impattante come i primi due mesi della stagione passata (7 reti in 9 partite con 3 doppiette). Bisogna riconoscerlo. Senz’altro, questo è dovuto al fatto che il giocatore fosse ancora nella fase di rientro graduale, nel suo step finale, ma anche a un’accezione diversa nell’interpretazione del ruolo.
Il Napoli sulla carta non è cambiato, lo sanno anche le bandierine del corner, ma sul campo è possibile notare qualche leggera modifica: le posizioni medie di Insigne e Callejon si sono accentrate, il Napoli gioca meno in ampiezza con gli esterni offensivi, e più in profondità con l’attaccante centrale. Anche in questo senso è da leggere l’esplosione di Ghoulam, in costante spinta a sinistra, e il miglioramento nella qualità offensiva di Hysaj a destra, conseguenza di una maggiore costanza.
Cambia, in alcuni frangenti sia chiaro, anche l’interpretazione del terminale avanzato che aggredisce maggiormente la linea difensiva avversaria alle spalle. Ma ciò che è sembrato più paradossale in questo primo scorcio di stagione, e forse ci spiega perché oggi parliamo di Mertens indicandolo come fenomeno, è che questa variazione di movimenti nell’esecuzione di alcune dinamiche offensive, ha aumentato l’indice di pericolosità del belga, e diminuito quello di Milik. Il polacco non è una prima punta. E non la si può definire neanche come una prima punta “moderna”. Milik è una splendida seconda punta, basta vederlo con la propria Nazionale, nella qualità con cui si destreggia nel fare da sottopunta a Lewandowski. È palese, il polacco per caratteristiche naturali si evolverà sempre più in una prima punta autentica, abbandonando gli aggettivi di “moderno” e “contemporaneo” che lasciano sempre il tempo che trovano.
Nella Palonia, Lewandowski è sempre il giocatore che occupa la posizione più avanzata: Milik è rabdomante.
Sarri ha, quindi, rinunciato a Mertens dal primo minuto solo in due occasioni, concedendo la titolarità a Milik nella prima giornata di campionato contro l’Hellas Verona (in cui apre le marcature) e nella prima di Champions League contro lo Shakhtar Donetsk (segnando su rigore). L’esito e, più che altro, la prestazione di Milik contro gli ucraini, hanno portato Sarri verso una decisione definitiva. Il tecnico toscano ha, così, rinunciato al turnover sistematico nel reparto offensivo, proseguendolo negli altri due reparti, e compiendo quell’evoluzione nella sua carriera d’allenatore, dando concretezza a quel secondo valore che, in quell’articolo, affidavo alla parola “bivio”: Sarri necessitava di migliorare nella rotazione dei suoi calciatori, un miglioramento che è giunto solo nella seconda parte della scorsa stagione e che, in questa, è diventata fin da subito prerogativa.
Ma quei tre, lì davanti, ora, non si toccano più.
Insieme hanno già segnato 19 reti sulle 33 totali (Mertens 9, Callejon 6, Insigne 4) e servito 14 assist (Mertens 5, Insigne 5, Callejon 4) impossessandosi del marchio di fabbrica di un’azione. L’assist di Insigne, a rientrare, sul taglio di Callejon, alle spalle del terzino sinistro. Con buona pace di Mertens.
La Insigne-Callejon
Buonasera a tutti, applausi.
Eppure, se andiamo a scavare nell’economia tattica del Napoli, l’infortunio di Milik, oggi, è più dannoso di quello avvenuto l’anno passato. Se l’incidente della scorsa stagione ha dato a Sarri l’opportunità di scoprire un talento inespresso, sarebbe ora impossibile vietare a quel talento di giungere all’apice di tale espressione. L’infortunio di Milik, allora, priverà al Napoli quella mossa offensiva che Sarri si era riservato in determinate partite, in cui poteva trasformare il 4-3-3 in un 4-2-3-1 senza rinunciare alla propria idea di gioco. Una mossa già sperimentata l’anno scorso con Pavoletti, e che sembrava aver trovato il suo compimento con Milik, per la capacità di raccordare l’azione con fisicità e una qualità maggiore rispetto al livornese, nel fraseggio corto e nelle palle aeree, in cui il polacco ha pochi rivali.
Contro la SPAL, il 23 settembre, nell’unica occasione in campionato in cui il Napoli ha usato il 4-2-3-1, Milik è subentrato a Zielinski al 70’ sull’1-1; dopo due minuti Callejon ha trovato il 2-1 di testa, su traversone di Ghoulam, anticipando con il suo classico taglio il diretto avversario, ma sfruttando anche il fatto che gli altri due centrali dovevano interessarsi non solo di Mertens, ma anche di Milik; l’esperimento si è concluso dopo sei minuti nel momento in cui Sarri passa al 4-3-3 togliendo Mertens, e subendo il pareggio due minuti dopo, fin quando al 83’ non sale in cattedra Ghoulam, manifestando doti rimaste spesso celate. All’89 è tutto finito. Milik va a terra, Mertens si mette le mani nei capelli, ha gli occhi lucidi, il polacco si rialza, esce subito sulle proprie gambe, sembra meno grave, ma la diagnosi è impietosa: rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro, questa volta, e tempi di recupero più lunghi stimati tra i 4 e i 6 mesi.
Chiudiamo il cerchio, come la tradizione greca impartisce. L’infortunio di Milik giunge quasi perfettamente un anno dopo, questa volta poco prima delle qualificazioni Mondiali, dove la sua Polonia si è qualificata per Russia 2018 battendo 3-0 il Kazakistan, e dove Milik avrà un posto che l’attende, lì vicino a Lewandowski, dopo 12 anni di assenza polacca al Mondiale (Germania, 2006). Al rientro dalla pausa, così come quasi esattamente un anno fa (la stagione scorsa si giocava al San Paolo il 15 ottobre) il Napoli ripartirà da Roma, contro la Roma. E lo farà ancora una volta senza Arkadiusz Milik.
Forza @arekmilik9: ti aspettiamo ???? #ForzaNapoliSempre ???? pic.twitter.com/sv9PmpZbN4
— Official SSC Napoli (@sscnapoli) September 25, 2017
Ancora Noi
Assodato che apparirebbe blasfemo derubare il gioco del Napoli di quei tre lì, e ancor più blasfemo sarebbe privarsi di Mertens titolare perché la storia lo sta dimostrando, non rimane che capire chi effettivamente guadagnerà considerazione nelle gerarchie offensive di Sarri, e quale soluzione alternativa si potrebbe venire a creare, negli sviluppi dei 90 minuti.
Il nome più atteso è senz’altro quello di Ounas, di cui poco si è visto e altrettanto poco si può dire. Il franco algerino, classe ’96, ha disputato un buon precampionato centrando il gol contro il Chievo, e impressionando al San Paolo nei 20 minuti finali contro l’Espanyol. In gare ufficiali ha disputato solo due spezzoni di partita poco significativi in casa: contro il Benevento (6-0) in cui ha messo a referto un assist e si è procurato un calcio di rigore, e contro il Cagliari (3-0).
Il cambio di direzione sul piede perno, e il tiro sono da futsal puro, che poi è l’estrazione formativa di Mertens, e della maggior parte dei giocatori più tecnici dell’ultima generazione.
Giaccherini, invece, appare sempre più una carta da centellinare nelle situazioni in cui è richiesta una certa gestione delle scelte. Insomma, in cui l’esperienza può prevalere sull’esplosività.
Ma il giocatore su cui Sarri sicuramente farà maggior affidamento è Marko Rog. Il merletto della Croazia non solo si è guadagnato progressivamente più minutaggio a centrocampo, ma ha siglato la prima rete in azzurro nel 3-1 contro l’Atalanta, ed è entrato definitivamente nelle rotazioni del reparto offensivo, prendendosi il ruolo di vice Callejon, che significa comunque giocare poco.
Appare, infatti, evidente che fino al rientro di Milik (o al prelievo di Inglese, acquistato il 31 agosto e lasciato in prestito al Chievo) il Napoli si affiderà al tridente Insigne, Mertens, Callejon andando a toccare un altro concetto molto intimo alla cultura partenopea, e spesso denigrato: il sacrificio.
La mancanza di uno dei tre assi (a questo punto imposta da fattori particolari) sarà rimpiazzata nell’ordine da: Rog, Ounas o Giaccherini. E, nel caso fosse assente Mertens, il ruolo di attaccante centrale sarà ricoperto molto probabilmente da Insigne, anticipando quella che sarà verosimilmente una sua evoluzione calcistica che, in senso umanistico, pone il talento al centro del campo, perché la storia ci insegna che per lasciare traccia di sé bisogna colpire al cuore.
Risulta, infatti, difficile pensare a un Napoli che non si schieri 4-3-3 nell’undici iniziale; mentre potrebbe tornare in auge il 4-3-1-2 originalmente sarriano come opzione in corsa. Una mossa forse più conservatrice che offensiva, con vari giocatori in grado di ricoprire il ruolo di trequartista: Zielinski in primis, ma anche Rog per un’accezione del ruolo in senso più esplosivo; Hamsik o Jorginho in ottica più conservativa d’amministrazione.
Ma una cosa è certa. Se il Napoli vorrà offendere, si affiderà, spremendoli fino all’osso, al tridente Insigne-Mertens-Callejon nella speranza di incanalare il match subito sulla retta via dei tre gol (è successo 8 volte in 11 partite, 7 su 7 in campionato) e risparmiarli, a turno, nel finale di partita.
Che canzon’ vuo’ senti’?
Ancora Noi.