Può capitare che un giorno, uno qualunque della propria vita, cambi qualcosa. Senza averne avuto anticipazioni prima, senza aver potuto calcolare l’onda d’urto che avrebbe generato, quel particolare evento entra a far parte del ritmo vitale di una persona, influenzando lei e tutti quelli che ne condividono insieme qualcosa. Il trasferimento di Dwyane Wade è uno di quegli eventi terribili da un lato, meravigliosi dall’altro, perché a seconda della prospettiva dalla quale si osserva allora cambia anche modo di giudicare la riuscita di un’operazione.
I Bulls di coach Hoiberg e del fedelissimo Jimmy Butler stanno davvero facendo una buona impressione in questo inizio di Regular, con l’innesto del cittadino dell’Illinois tanto fondamentale quanto decisivo in chiave vittorie e psicologia. Sì, perché sapere che tra le proprie maglie si possiede il talento del numero 3, allora significa giocare con molta più tranquillità, consuma convinzione differente in ogni momento della partita, dal più critico al più semplice. Per questo Chicago è arrivata a 8 vittorie su 12 partite giocate, con ‘Flash‘ che continua a macinare doppie cifre in zona punti.
Utah è stata la vittima sacrificale della scorsa notte, uccisa su un altare sacrificale sotto i colpi di un Butler da 20 punti e 12 rimbalzi e da un Lopez da 10 e 12. Hobert, Exum, Hood, Hayward, anche loro hanno cominciato alla grande questa stagione, provando da subito a inanellare vittorie e gioco, con un Diaw che per l’ennesima volta ha deciso di rimettersi in discussione, e sta riuscendo nell’intento nonostante la brutta prestazione contro i tori rossi. Comunque le sette vittorie finora messe a referto dai Jazz sono decisamente un buon curriculum per iscriversi di diritto tra le squadre che lotteranno fino alla fine per un posto nei playoff, così lontani ma così vicini.
Così come sempre più vicina sembra la bandiera bianca che i tifosi di Philadelphia stanno preparandosi a sventolare nei confronti del tifo per la loro squadra, sempre più giù in classifica, mai combattiva, tranne per quel gioiello Embiid che non si è capito ancora se sia meglio vederlo soccombere con quei colori, o se, per il suo bene, sia meglio vederlo volare verso altre franchigie. Nel frattempo, mentre questo pensiero vola di testa in testa, Joel ha messo a segno una doppia doppia con 10 come cifra sia per i punti che per gli assist, ma contro i ‘ragazzi terribili‘ di Minnesota questo non è bastato.
Non tanto perché i TWolves siano più forti, quanto perché quei tre che rispondo ai nomi di Lavine, Towns e Higgins sono decisamente irriverenti. E questa, finora è la chiave del loro successo. E insuccesso. Si, perché vero è che hanno vinto quattro partite e che giocano davvero bene, ma dall’altro lato ne hanno perse 7 più per disattenzioni e menefreghismo che non per reale inferiorità. Anche perché vedere Wiggins e Towns prendere 20 rimbalzi in due e mettere 60 punti, sempre in due, considerando che hanno entrambi 21 anni, allora si capisce che questa lega sarà davvero roba loro negli anni a seguire. Ah, anche il numero 8 che l’anno passato ha vinto per la seconda volta lo ‘slum dunk contest‘ Lavine ha 21 anni, età nella quale pochi facevano parlare bene di loro. Sarà un segno? Comunque più attenzione e meno irriverenza. E il tempo dirà cosa avrà tra le mani.
Così come le lancette hanno decretato che la scelta di Mike D’Antoni di mettere Harden a giocare da playmaker sta decisamente dando i suoi frutti. Ennesima tripla doppia di inizio Regular, stavolta con 26-12-14, in ordine punti-rimbalzi-assist, in una squadra che se mai ci fossero stati dubbi, ha ribadito essere sempre più sua. Ma la vera bellezza sta nel fatto che il coach italo-americano è finalmente riuscito a far capire come si gioca di squadra a Houston, innescando un ‘effetto sicurezza‘ nel compagno di squadra che ha portato finora i Rockets a vincere sette partite su dodici. Non una media stratosferica, ma rispetto alla scorsa stagione quando l’unico che andava in doppia cifra (e solo nei punti) era il ‘barba‘, si può dire che un bel balzo in avanti è stato fatto.
Situazione simile a quella narrata nelle ultime righe di quanto precede, la sta vivendo Portland, che nonostante abbia un Lillard stratosferico e un McCollum che lo segue a ruota, non riesce a costruire un team che possa davvero dire la sua in tutte le zone del campo. Lo schema continua a essere troppo ripetitivo sul numero 0, poco fantasioso sul 3, decisamente nullo sul resto del roster. E’ compito di Stotts mettere mano al suo ingegno, provando a ricucire quei piccoli strappi che per ora non stanno costando molto i suoi, ma che alla lunga, soprattutto considerando le 82 partite regolamentari, possono decisamente tagliare le gambe.
Diversa la situazione di Miami e Washington, analizzabili insieme in termini di vittorie- sconfitte, entrambe 3-8, da tenere separate per quanto riguarda gli obiettivi che dovrebbero porsi. Mentre gli Heat sono stati decisamente spiazzati dall’addio di Wade, punto chiave per tredici anni delle rotazioni della squadra oggi allenata da Spoelstra, i Wizards continuano a viaggiare in una mediocrità che non gli appartiene, visto che di giocatori fondamentali non ne hanno perso nessuno. Wall, Beal, Gortat, ancora tutti con la canotta rossa e blu, stanotte vittoriosa sul parquet casalingo, ma troppe volte sconfitta per motivi non chiari.
Peccato per i Knicks, che hanno ormai trovato in una perfetta rotazione a tre, Anthony-Porzingis-Rose, quello che serviva alla squadra della grande mela, da troppo tempo nei baratri della classifica, che nonostante la sconfitta continua a ondeggiare in un limbo da 5 vittorie e 7 sconfitte. Tornando agli Heat, tanto di cappello per come stanno provando a giocare di squadra, per come cercano di aiutare il compagno in difesa, tornando e rispettando sempre tutti gli schemi in attacco; ma vincere contro i Bucks, che hanno nel solo Antetokounmpo il punto cardine della squadra, non ci vuole poi molto.
Le ultime quattro partite giocate tutte perse, ogni volta con più di due possessi di ritardo (tranne con Chicago, 98-95); il talento che Whiteside e Dragic dovevano tirar fuori ancora non si è visto. Così come sta succedendo a Milwaukee, team decisamente giovane, dove l’unico che ha mostrato per ora tutto il suo arsenale e sta reggendo la baracca, è il greco con il numero 34. Dellavedova è l’ombra del giocatore Cavs, Parker è ancora un punto interrogativo, Monroe si spera possa fare meglio di quanto abbia fatto con Detroit. E’ così Milwaukee, un cumulo di speranza che per ora ne ha vinte 5 e perse 6, che non si sa cosa farà domani, figurarsi tra 3 mesi.
Ma come detto all’inizio, può sempre arrivare quel vento diverso, quel momento inaspettato che cambia tutto. Un’essenza che senza essere avvertita, senza presentazione, s’impone ergendosi in piedi di fronte a qualcuno o a qualcosa, toccando tutti coloro che faranno parte di un mondo che deve cambiare per poter andare avanti. E in questo sport, su questo pianeta, su quei parquet, è davvero possibile che accada.