Il diritto di esprimersi

Doverosa premessa.
Questo non vuole essere un pezzo di critica verso chi non se la sente di prendere posizione, anche perché non sarebbe rispettoso verso le libertà individuali che ogni individuo – anche se ricco e famoso – ha il diritto di possedere.
Al contrario, l’atteggiamento “di denuncia” sarà rivolto verso un sistema che non permette a determinate persone, come i calciatori, di esprimersi sulla politica in piena libertà. Un sistema che non riesce a spiegare a molta gente che anche chi vive in un attico a CityLife ha il diritto di esternare le sue opinioni. Un sistema che fatica a credere che pure chi gioca a calcio possa avere le sue idee.
Quella che state per leggere è dunque una semplice riflessione su come l’argomento della politica per i calciatori stia persistendo come tabù, nonostante molti sostengano di vivere nel periodo post ideologico.

Punto di partenza

L’idea di trattare ed elaborare un pensiero su un argomento così spinoso nasce, in realtà, più che da una consapevolezza da una sensazione di stupore.
Uno stupore provato, tre giorni fa, nell’imbattermi in un post su Instagram di Paolo Maldini, in cui l’ex capitano rossonero dimostrava la sua vicinanza verso l’autoproclamato presidente ad interim del Venezuela, Juan Guaidó.

Ora, a prescindere da ciò che si possa pensare sulla situazione del paese latinoamericano – complessissima e quasi impossibile da giudicare per noi tutti – ho provato un senso di stranezza quasi vergognoso davanti ad una presa di posizione netta ma assolutamente lecita, considerando anche che la moglie di Maldini è venezuelana. Piuttosto, avrebbe dovuto sembrarmi strana l’orrenda scritta color verde acqua in sovrimpressione nella foto.
Eppure, converrete con me che non è comune in Italia vedere tali gesti di eclatante appoggio verso una figura politica. Tantomeno è usuale vedere gesti alla Colin Kaepernick, di totale dissenso verso le figure istituzionali.

Benché per i puristi dello sport questo potrebbe sembrare un aspetto positivo, non ho potuto fare a meno di pensare che, più che altro, la mia sensazione di stranezza derivi da una sorta di velata repressione, alla quale molti calciatori si sentono soggetti. Repressione intesa non in senso stretto, ma come la scelta di non esprimersi per paura di ripercussioni a livello pubblico.
Paura comprensibile visti anche i numerosi attacchi verbali subiti da diverse celebrità extra calcistiche che si sono esposte.

Contesto sfavorevole

Il problema di fondo di questa remissività è dunque proprio nel contesto.
Viviamo, purtroppo, in un Paese che, in generale, scoraggia un dibattito educativo e proficuo su politica e temi sociali, e spesso colui che prova ad esprimersi per cambiare le cose ne ha solo un ritorno di cattiveria gratuita e prese in giro.
Rimanendo in ambito sportivo, viene spontaneo fare l’esempio di Roberto Mancini a cui, dopo le accuse di omofobia rivolte a Sarri, sono state vomitate addosso una marea di malignità, molto più gravi di quelle dello stesso Sarri.
È chiaro dunque che, al di là di alcuni proclami collettivi piuttosto freddi, il margine di manovra sia piuttosto fragile e fin troppo difficile da interpretare.
E molte volte questo è sufficiente per scoraggiare un calciatore, magari giovane, che giustamente non ha voglia di sorbirsi le angherie di un pubblico social spesso molto cattivo e dedito all’insulto.

Le voci fuori dal coro si contano sulle dita di una mano.
Se, ultimamente, molti hanno apprezzato le uscite di Claudio Marchisio su alcune questioni di rilevanza sociale, il calciatore italiano che maggiormente si è esposto, anche nel criticare alcune figure istituzionali – cosa unica in Italia – resta Mario Balotelli.
Sebbene venga spesso criticato per i suoi atteggiamenti, l’attaccante del Marsiglia ha spesso dimostrato un coraggio che molti suoi colleghi non hanno avuto nell’esprimere le proprie convinzioni.
Andare contro alcune figure della politica odierna, per un calciatore, non è semplice, e per Balotelli, a causa di ciò che rappresenta, lo è ancora di meno.

Il figlio della nuova Italia che si “permette” di andare contro i rappresentanti di chi lo ha accolto, inutile dire che il tenore dei commenti alle sue esternazioni, nel loro delirio, erano per lo più di questo tenore.
Eppure lui ha rischiato, ha dimostrato di avere le spalle sicuramente più larghe di molti altri che avrebbero più interessi di lui a prendere posizione. Perché è troppo facile criticarlo, eppure non credo che molti di noi avrebbero il suo stesso coraggio a lanciare un certo tipo di messaggio.

Svilente

Facciamo un passo indietro.
Quando, come accennato prima, Marchisio si espose sulla questione dei migranti, tra i molti apprezzamenti, ricevette anche diverse critiche dal dubbio tenore. La maggior parte recitavano dei classici mantra quali “ospitali nella tua villa” oppure “facile parlare con tutti i soldi che hai“, come se l’ammontare del tuo conto in banca determini la solidarietà che puoi provare.

E tu da che parte stai?

Nel nostro discorso questo è un punto fondamentale.
Oggi sembra che, se guadagni i milioni giocando a pallone, certe cose, come la politica, tu non abbia il diritto di commentarle.
Se arriviamo a pensare che il valore di un cartellino – o di un salario – determini anche il valore di una persona, o peggio, quello che si può e non si può pensare e dire, allora poi non dobbiamo stupirci se in Italia le prese di posizione da parte dei calciatori sono rare come i diamanti.

Credo sia necessario comprendere che, cambiare questo status quo, debba diventare una priorità nel nostro modo di approcciarci al calcio. In primis per una questione di protezione dei giocatori che, in tema di politica, devono sentirsi liberi di poter dire la loro, in secundis perché personaggi con quella fama potrebbero davvero fare molto per la comunità.
Chiariamo, non credo ci sia bisogno, per quanta ammirazione si possa essere, di gente come Paolo Sollier, gli anni ’70 sono finiti e il mondo è cambiato, piuttosto ritengo sia necessario qualcuno che spinga gli altri a prendere posizione, a rendersi conto della propria coscienza politica.
Perché questo accada è però fondamentale un contesto che non svilisca i calciatori perché muovono milioni di euro o perché giocano a pallone per professione, ma che, al contrario, inviti ad esporsi, che esalti le diverse idee e le varie differenze.

Utopico? Forse, sì. Impossibile? Assolutamente no. In NBA per esempio ci stanno riuscendo, con molte difficoltà e in una società più variegata e complessa della nostra. Nel loro caso, i giocatori sono arrivati ad immedesimarsi nei problemi delle rispettive comunità, si sono fatti carico e portavoce dei loro problemi. E sì, guadagnano quanto, se non di più, dei calciatori.
Sebbene sia difficile riportare nel nostro mondo un contesto simile, è forse ora di cominciare a smettere di pensare ai calciatori come a degli esseri fuori dal mondo, che non possono avere idee sulla politica o sul mondo. Perché alla fine sono esattamente come tutti noi, solo giocano un po’ meglio a pallone.

 

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