Aston Villa, nuova stagione, vecchia storia.
Non sono bastati acquisti a destra e manca per rovesciare la tendenza degli ultimi campionati, la prima squadra di Birmingham sia per storia che per palmarès, non decolla: il club sembra, ogni settimana che passa, un aereo in perenne ritardo. Difficile trovare una colpa, impossibile trovare un capro espiatorio. Il pilota, Steve Bruce, è conoscitore sublime della categoria: la promozione la ottenne, negli ultimi 10 anni, due volte con il Birmingham City – il rovescio della medaglia della second city – e due volte con l’Hull City. Non è lui, quindi, l’indiziato principale; di “serpenti”, come nel film Snakes On A Plane – per rimanere in tema – non ne sono saliti: sono lontani i tempi di Fabian Delph (definito snake – traditore per aver lasciato la barca che affondava) e Grealish, il talento più puro, è rimasto anche quest’anno.
A partire dagli anni duemila le gioie sono state davvero poche: una Intertoto, due secondi posti in FA Cup; per i più esperti, anche una Coppa Della Pace alzata al cielo dopo un torneo estivo che vide la vittoria in finale contro la Juventus del secondo Cannavaro e dei redivivi Diego e Felipe Melo. Il fatto più lampante, ad oggi, è che dopo tre giornate i Villans si ritrovano penultimi in Championship, con 1 punto in classifica, senza santi a cui essere devoti: sembra proprio un film horror infinito, che non dura la solita ora e mezza ma che non sembra ancora trasmettere i titoli di coda. Senza sangue, senza arti mozzati, ma con molti spaventi.

Profondo Claret & Blue
Ormai da un anno e mezzo, il calciomercato dell’Aston Villa – per fare un paragone “nostrano” – assomiglia sempre di più a quello del Genoa: tanti giocatori presi in qua e là per un risultato mediocremente imbarazzante.
La domanda è: rivoluzionare la squadra porta davvero dei vantaggi?
La risposta è: No. Categorico.
Non perché ad essere preso in esame è un relativamente piccolo club come l’Aston Villa, ma perché, dati alla mano, cambiare tanti giocatori è sempre servito solo a creare tanta confusione. Possiamo parlare, quindi di Profondo Rosso – più ideale che finanziario, visto il patrimonio del presidente, Dr. Tony Xia – scomodando il richiamo al capolavoro del maestro Dario Argento. L’anno scorso gli acquisti furono 15, quest’anno (per ora) 4: non sono troppi per un team che, di giocatori, ne conta 23? Un peccato, perché le individualità sono tutte potenzialmente devastanti: parliamo di Jedinak ex Crystal Palace, dello sceriffo di Nottingham Henri Lansbury, di Kodjia, di John Terry, l’ultimo arrivato; evidentemente, però, il problema se lo pongono tutti tranne i dirigenti e gli addetti al mercato, che in barba alle opinioni ed ai consigli dei tifosi continuano a spendere soldi dove non servono. Sembrano indemoniati, non fanno altro che firmare contratti: manca solo che di notte si mettano a scendere le scale con la spider-walk de L’Esorcista. Qualcuno ha il numero di Padre Amorth?
Un tranquillo week end di paura
L’abbiamo citato prima, e non potevamo esimerci dal non considerarlo in un punto a parte: John Terry. Esemplare è stato il suo gesto di scendere di categoria per affrontare nuove avventure, per dare l’esempio, per – ridendo e scherzando – provare a vincere una delle poche cose che non è ancora riuscito a vincere a livello britannico. La difesa formata da lui e James Chester, altro difensore di categoria superiore, è però un autentico buco nell’acqua. Saranno i 37 anni dell’ex capitano del Chelsea, sarà il doversi ancora intendere, ma i 6 gol subiti beh, fanno un attimo pensare. Terry, di per sé, è apparso in totale confusione, soprattutto nella sfida con il Cardiff City, dove Zohore – cugino del ex mate Didier Drogba – l’ha lasciato più volte a bocca aperta, a contemplare i tempi passati. Non si sa se le amnesie del “poco” fidato John siano dovute a voci o a presenze che, come nella casa di Amityville, gli disturbano il sonno: palese è che questo upside down ha colpito notevolmente, oltre che i due centrali, anche i terzini titolari De Laet e Taylor, provenienti da Leicester e Swansea. Attenti, che a diventare morti viventi è davvero un attimo.
Nightmare
In qualsiasi film horror che si rispetti, dove è presente un gruppo di amici, è ormai diventato un clichè la morte, tra i primi, del ragazzo di colore. Se parliamo di Aston Villa, però, possiamo affermare che la tendenza si è invertita: è proprio il più “colorito”, Gabriel Agbonlahor, a tenere vivo il reparto offensivo. Delle due reti segnate, l’attaccante nativo delle West Midlands ne ha segnata una ed ha servito l’assist per l’altra. Gabby, pur essendo sempre rimasto fedele alla causa, negli ultimi anni ha attraversato momenti di gelo con la società, che lo hanno allontanato dal campo anche a causa della sua eccessiva condizione fisica: si tratta di un ritorno importante, ben voluto da Bruce in primis. La notevole sterilità in zona gol non è stata data da qualche gioco pericoloso dell’enigmista Saw: l’infortunio alla caviglia di Kodjia è giunto per altri motivi, ed ormai è sulla via del risanamento. Hogan ha bisogno di carburare, McCormack è uno dei migliori del campionato ma è destinato ad altri lidi, Hepburn-Murphy è un continuo “vorrei ma non posso”. Circola, da tempo, il nome di Abel Hernandez: ma serve davvero una Joya per ritrovare la strada che dall’Altrove porta verso la Premier League?

Spesso e volentieri, le pellicole cinematografiche tendono a concludersi con un lieto fine.
Molte volte, succede anche che il “cattivo” non viene sconfitto. E che il film, con nuove sembianze, ricomincia. Venerdì 13, ad esempio, è stato messo in onda per la prima volta nel 1980 e Jason, il serial killer protagonista, conta 12 sequel a distanza di quasi 40 anni.
La speranza è che l’Aston Villa ripercorra la prima delle due vie. E che il suo film horror finisca presto.